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La normalità e la patologia

La normalità e la patologia
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23 Dicembre 2010 - 07.29


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salviamouniversitadi Giuseppe D”Avanzo – repubblica.it.

Questi ragazzi hanno intelligenza politica. La cattiva politica li attende lungo i confini delle “zone rosse” e militarizzate della Capitale nella irresponsabile attesa che ci siano tumulti per rilanciare uno “stato d”eccezione”, dispositivo politico di un governo tanto autoritario quanto spaventato dalla sua fragilità. È un establishment che immagina la vita – e quindi la politica – soltanto nella polis, nei luoghi consolidati e riconoscibili del Potere o nei set della sua rappresentazione televisiva. Questi ragazzi hanno un”altra esperienza della vita e del mondo.

Per loro una stazione della metropolitana, un edificio degradato, una fabbrica in disuso, un viadotto, una tangenziale, un terrain vague, gli spazi nascosti della metropoli sono i luoghi dove la loro invisibilità sociale si integra e si allinea all”invisibilità della città e di chi, dimenticato, la abita. Sono questi territori metropolitani che modellano il loro vivere quotidiano.

Molti di loro sono i figli dell”alchimia sociale che vi si produce e sono voluti tornare qui – a San Lorenzo, a Porta Maggiore, al Prenestino, sotto e lungo la Tangenziale Est fino all”autostrada A24 – per dare pubblicità e quindi trasformare in spazio pubblico luoghi “vuoti” e in discorso pubblico esistenze “invisibili”. Vogliono dimostrare – credo – che il loro disagio di studenti e universitari è la sofferenza di interi segmenti sociali, abbandonati sulla soglia della catastrofe dall”ordine consolidato.

In quest”attraversamento della città ricevono applausi, grida di gioia, l”incoraggiamento a continuare, a non mollare. È allora una giornata che qualcosa ci mostra. Se la società è un organismo, come si dice, è sano e funziona quando i costituenti “normali” prevalgono su quelli “patologici”. Dopo una giornata come questa ci sembra di averli, in bell”ordine e sotto gli occhi, gli elementi della normalità e quelli della patologia.

È patologico il ritorno di Silvio Berlusconi alla ribalta politica. Si tiene in piedi per il rotto della cuffia, con tre voti alla Camera. Gli appaiono sufficienti per rilanciare l””agenda” politica. In quell”agenda ha scribacchiato un solo impegno, sempre quello: se stesso, Io. Attende la decisione di costituzionalità del “legittimo impedimento” che lo salva dai processi per l”anno prossimo. Ne teme la bocciatura e allora minaccia.

Avverte la Corte Costituzionale. Sfida la magistratura che dovrà giudicarlo. Promette di affrontarla “nelle piazze e in televisione”.

Nella sua egopatia, Berlusconi vede riflesso nella vita pubblica soltanto il suo destino. Non c”è spazio per null”altro. È patologico che non sappia ascoltare le parole che vengono dal Paese. Da ogni angolo del Paese. Dalla scuola, dall”università, dalle imprese, dalle famiglie, dall”amministrazione dello Stato, addirittura dalle polizie.

È patologica l”ostinazione di voler approvare – presto, subito, come se fosse un atto di forza (ne è immagine parossistica la leghista Mauro quando presiede il Senato) – una riforma che il ministro che l”ha pensata giudica già da oggi necessaria di modifiche e restauri. Affrontiamone soltanto un aspetto, il meno controverso.

La riforma ha un perno. È l””Agenzia per la valutazione degli atenei”: per la prima volta si prevede che i fondi pubblici alle università siano assegnati in funzione dei risultati. La valutazione diventa l”unico modo per non sprecare risorse, per fornire agli studenti un”istruzione migliore, dicono.

Bene. Purtroppo, ci vorranno anni prima che la nuova agenzia sia in grado di produrre i primi risultati. Ammettiamo però che sia in grado di produrne subito, il lavoro sarebbe inutile perché non ci sono fondi adeguati che possano premiare le università migliori. Una possibilità che delude anche un pragmatico sostenitore della riforma come Francesco Giavazzi. Scrive: “Se i fondi verranno lesinati, la riforma sarà stata un esercizio inutile”. Non è patologico un “esercizio” così divisivo, per di più inservibile, soltanto per consentire a un governo incapace di modernizzare il Paese di poter dire: “Una riforma l”abbiamo fatta!”?

Ordiniamo ora gli elementi di “normalità” che affiorano in questa giornata. L”intelligenza politica del movimento degli studenti, innanzitutto. Mette in fuori gioco maggioranza, governo, l”informazione che lo sostiene, gli uomini venuti dal fascismo (La Russa, Gasparri, Alemanno) e i tecnocrati (Sacconi) che si augurano nuove violenze per poter invocare leggi d”emergenza, “arresti preventivi”, “repressione”. È un movimento che, al contrario di quanto ha mostrato il 14 gennaio, non è soltanto attraversato dal rancore e dal risentimento. Non si lascia attossicare dalla sua lunga impotenza (da due anni, il governo si rifiuta di riconoscerlo come interlocutore). Si riscopre con un”energia che consente di liberarsi della rassegnazione, di una condizione algida in cui non c”è posto per la speranza perché l”esperienza consiglia di stare un passo indietro e con i piedi per terra.

È una generazione che non vuole essere “perdente”. E” un movimento che oggi sembra voler parlare non soltanto di se stesso ma – a partire dalla sua difficile condizione – del Paese intero, della democrazia che lo governa, dell”impoverimento che l”affligge, di un generale declino sociale, culturale, economico. C”è chi in piazzale Prenestino lo spiega con poche frasi lette da qualche parte: “In Italia più del 50 per cento della forza lavoro è poco qualificata e solo il 10 per cento ha ricevuto un”istruzione terziaria. Il Wall Street Journal si è chiesto: come può l”Italia appartenere al G8, il gruppo delle economie leader mondiali, quando l”India produce seicentomila laureati in ingegneria per anno e la Cina sta costruendo cento università di livello mondiale? Ecco noi poniamo questa domanda a tutti quelli che hanno voglia di lavorare con noi a una risposta”.

È un elemento di “normalità” (e di fiducia) che il capo dello Stato voglia ascoltare le loro proposte e abbia aperto le porte del Quirinale a chi se l”è trovate chiuse a Palazzo Chigi. È di una democrazia “normale” tener aperto un canale di dialogo tra la società – che alcuni vogliono “invisibile” – e la politica; tra cittadini – come destinati all”insignificanza – e lo Stato.

È sana “normalità” se Giorgio Napolitano spinga in fuori gioco chi pensa che, della città, contino soltanto i luoghi del Potere e i suoi abitanti.

È benefica “normalità” che il capo dello Stato contraddica un esecutivo convinto che governare sia soltanto comandare.

 

Fonte: http://www.repubblica.it/scuola/2010/12/23/news/editoriale_d_avanzo-10519306/?ref=HREA-1.

 

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