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“Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. . Occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato.”
Antonio Gramsci
Siamo contenti che sulla scuola, durante quest”anno scolastico, non si siano quasi mai spenti i riflettori e l”attenzione dell”opinione pubblica, finora. A parte le parole e le frasi del Presidente del Consiglio dei Ministri, l”argomento scuola è spesso presente a stimolare la discussione politica e culturale italiana recente.
Vogliamo un po” uscire dagli schemi della discussione per proporre uno scambio di vedute nato all”interno di un gruppo di aderenti e simpatizzanti di Alternativa. La discussione si è dimostrata aperta, senza pregiudizi, non dogmatica. Offriamo questo estratto dello scambio di idee ai nostri lettori per favorire la conoscenza di posizioni anche molto diverse tra di loro ma che costituiscono un segnale di un confronto vivo: è abbastanza evidente che sulla formazione delle giovani generazioni si gioca il vero futuro del nostro Paese. È sempre più urgente una autentica svolta nelle politiche scolastiche: già , ma in quale senso?
Michele Maggino
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Cari amici di Alternativa,
Ma vi pare che uno come Berlusconi, in questa fase di controffensiva mediatica e di fronte ad un sedicente comitato dei “cristiano riformisti” potesse lasciarsi perdere l”occasione per tuonare contro la scuola pubblica? Lui, che ha studiato dai salesiani e che ha mandato i suoi figli alle scuole Steineriane, lui che sull”anti-Stato ha costruito la sua carriera politica? La “sinistra” è caduta nel gioco del riflesso condizionato ed organizza addirittura una manifestazione a favore della scuola “pubblica”? Così è pari-e-patta e ci siamo persi l”occasione per scatenare la controffensiva.
E invece no. Ci sono molte cose da dire, non per rispondere a Berlusconi, semmai per cogliere la palla al balzo. Ad esempio io direi.
Sì, signor Berlusconi, questa scuola pubblica fa schifo. Ci stiamo provando da 30 anni a cambiarla, ma ora ci siamo resi conto che ogni sforzo è vano.
Sì signor Berlusconi, lei ha ragione e per questo le chiediamo, da subito, di licenziare il suo ministro Gelmini e di smantellare del tutto – ripeto del tutto – l”apparato del Ministero dell”Istruzione. Se è necessario, come lei e la Costituzione dite, che lo Stato sostenga l”istruzione, appurato che secondo le medie europee uno studente di un Paese “avanzato” non può costare alla collettività meno di 6 o 7 mila euro l”anno, allora decida, ma subito, di stanziare l”equivalente somma per il prossimo anno scolastico, sulla base dei dati anagrafici forniti dai Comuni. Liquidi queste somme ai Comuni, e non alle Regioni come vorrebbe Formigoni, e lasci che siano loro, insieme alle famiglie ed alla comunità educanti, a decidere come gestire l”istruzione. Sarà , come lei desidera, un”Istruzione meno statale ma sicuramente ancora Pubblica, perché finanziata dalla fiscalità generale e perché governata dalle Comunità locali che lei, da buon federalista, non potrà certo rinnegare. Lasci che siano i Comuni a decidere volta per volta se e quali scuole meritino di essere salvate, non importa se di ragione sociale pubblica o privata. Ci basta il rispetto della Costituzione con il suo diritto-dovere all”istruzione fino alla maggiore età . E poi vedremo chi inculca e che cosa inculca.
C”è un aspetto che ad una persona nella sua condizione sociale probabilmente sfugge: la scuola – pubblica o privata non importa – oggi inculca un solo messaggio, quello postmoderno. La scuola attuale infatti sradica lo spirito critico anziché coltivarlo. Se “insegna” è per imprimere il segno del nulla, creando docili consumatori.
Magari ci fossero ancora quei docenti marxisti che cercavano nell”insegnamento di trasmettere l”idea che i fenomeni storico-sociali vanno compresi a partire dai rapporti di produzione. E che pertanto nulla è predeterminato ma va compreso, con la fatica, nella speranza di anticipare la direzione dei cambiamenti. E quindi bisogna studiare, studiare molto, leggere, interrogarsi, indagare nelle pieghe più recondite dei fenomeni sociali, del passato come del presente. Per capire qual è il nostro posto in questo mondo e come possiamo contribuire a migliorarlo o perlomeno per impedire che si auto-distrugga. Qualche eroe per la verità esiste ancora, io lo quoto attorno al 6-8% del corpo docente. Pochi, troppo pochi per riuscire ad “inculcare” alcunché.
Invece il nozionismo – a cui lei probabilmente è stato fin da giovane abituato – ha vinto. Insegnare oggi è enunciare formule verbali, da imparare preferibilmente a memoria. Un po” come i suoi tecnici hanno insegnato alla Carfagna a parlare da Ministro. Il trionfo del Bignamino. Il sapere senza riferimento alla verità , senza ricerca della verità . Giusto per lasciare spazio all”unica e grande Verità a cui tutti quanti vi siete immolati e da cui lei ha tratto così grandi vantaggi: il consumismo. Non importa se privo di prospettive.
No, signor Berlusconi. Stavolta non casco nei suoi tranelli. Non sono più uno di “sinistra” e non ho alcuna intenzione di discutere con lei di che cosa significhi essere comunista. Voglio parlare di cose concrete. Stiamo sul pezzo. Dia seguito alle sue affermazioni. Licenzi la Gelmini e chiuda il Ministero da essa presieduto.
Le dirò di più. Prenda a calci in culo anche i sindacalisti della scuola. Decreti che la professione di docente è libera, che non vi è alcun valore legale nei titoli universitari. Stabilisca centralmente (un po” di decisionismo, suvvia) che chi esercita la professione di docente deve essere pagato come un magistrato (forse che i docenti svolgono funzioni meno importanti? Sappiamo che lei non ama i magistrati ed allora ne approfitti).
Soprattutto dica che il tutto è demandato alle Comunità locali. Non vi saranno più programmi ministeriali, né circolari ministeriali, né organi collegiali e soprattutto non vi saranno più impiegati statali al cui posto di lavoro dobbiamo immolare il futuro dei nostri figli.
E nascerà la Nuova Scuola, in grado di formare la nuova generazione, quella che dovrà risollevare l”Italia dai disastri arrecati da gente come lei e dai politici che ci hanno ingannato per 30 anni promettendo la “riforma scolastica”.
Romano Calvo
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Caro Romano,
ho letto con attenzione il tuo scritto. L”ho trovato estremamente stimolante: in un certo senso, una ventata d”aria fresca. Tuttavia non mi ha convinto. Non sono un esperto e non posso ribattere con competenza ai tuoi argomenti. Scrivo queste considerazioni solo per stimolare un dibattito che sarebbe interessante avesse luogo, tra un pinocchio e l”altro. – Mi sembra che tu dica, più o meno: approfittiamo del processo in atto (lo smantellamento della scuola statale). Anziché opporci, come sempre facciamo, talvolta ottusamente, accettiamo la sfida: rilanciamo, cavalchiamo quest”onda e cerchiamo di incanalarla verso nuovi e più ameni orizzonti.
Qui si tratta di rapporti di forza. Se pensiamo di avere qualche chance contro i grossi poteri economici e ideologici – legati o meno alla Chiesa – che sono già in campo o sono pronti a scendervi per fare affari su larga scala, occupando un”area di mercato sterminata e preziosissima, tanto per i profitti economici immediati quanto per le prospettive di diffusione e riproduzione sempre più capillare dell”ideologia dominante (penso, per esempio, a Comunione e Liberazione, ma anche ad aziende, partiti, fondazioni, banche…); se veramente pensiamo che i tempi siano maturi per sfidare questi poteri; e se pensiamo che la società italiana sia talmente matura e vitale da poter liberare una grande quantità di energie positive, orientate alla creazione di idee e prassi educative efficaci e non convenzionali, allora può essere il momento giusto per provare a “liberare” la scuola. In caso contrario facciamo attenzione, perché rischieremmo di offrire un aiuto insperato ai nostri avversari.
Io ho due figlie che frequentano la scuola primaria e che hanno la fortuna di avere delle ottime insegnanti, che tentano di trasmettere (magari non sempre nei modi migliori, magari qualche volta con eccesso di retorica) dei valori che sono l”antitesi di quelli dominanti : tolleranza, rispetto, senso critico, amore per il sapere ecc. E anch”io mi sento fortunato, perché posso percepirle come mie alleate, e percepire ancora e nonostante tutto la scuola come una cittadella, un”isola, un”oasi extraterritoriale non dominata dalle leggi di mercato. So che sarebbe diverso se le mie figlie fossero capitate nella classe accanto, e temo che sarà comunque diverso procedendo verso le medie e le superiori. Tuttavia il fatto che, nonostante tutti i tagli e le umiliazioni, ci siano ancora degli spazi di manovra tali da consentire a un insegnante coscienzioso di fare della scuola com”è oggi qualcosa di sensato, mi lascia supporre che non tutto sia perduto e che una scuola pubblica statale riformata e degnamente finanziata possa ancora assolvere, pur imperfettamente, alla sua funzione formativa.
Quel che mi lascia più perplesso nella tua proposta è il momento della valutazione e della scelta delle scuole private da finanziare con il denaro pubblico. Anche senza tener conto del contesto economico, ideologico, politico e culturale, anche trascurando le disfunzioni, la cattiva gestione e la corruzione, il controllo e la valutazione dell”operato dei singoli insegnanti e della qualità delle singole scuole è impresa delicatissima e ardua, se non impossibile. A quali organi o istituzioni sarebbe affidato questo compito? E quali sarebbero i criteri di giudizio?
Ma aldilà di tutto questo, ho una perplessità più profonda. La scuola è stata, storicamente, un utile strumento per creare un”identità nazionale – per quanto debole e traballante – e per dotare gli italiani di una base comune di conoscenze e di miti: insomma, in qualche modo, un patrimonio condiviso, una narrazione. Per quando discutibile sia stata e sia tuttora tale narrazione (non entriamo nel merito), resta il fatto che un orizzonte comune di riferimento culturale è indispensabile per la formazione e la sopravvivenza di una società che sappia dialogare con se stessa (con ogni sua parte, in tutte le sue componenti e articolazioni, geografiche e di classe). Un patrimonio condiviso è un presupposto necessario per lo sviluppo di un comune senso civile e per la stessa coesione di una nazione. Probabilmente gli Stati Uniti continuano a esistere in quanto nazione in virtù dei loro miti, cioè di una narrazione che nel bene e nel male è ancora forte e radicata. Non so se sia la scuola a tramandarla, o le famiglie o se sia l”aria che respirano, oppure ancora il cinema. L”Italia è diversa. L”Italia sta sfaldandosi. Ora, io (che ho appena riletto, grazie a Michele Maggino, il famoso discorso di Calamandrei del 1950), io sono tentato dalla scuola “libertaria”. Sono contrario alla gestione burocratica dell”istruzione, all”insegnamento istituzionalizzato, ai programmi ministeriali. Se avessi la possibilità di fondare una scuola privata che praticasse la sovversione come metodo educativo, io lo farei. Ma confesso che oggi l”idea di una “liberazione” totale e generalizzata mi darebbe più di un brivido. Finché c”è una scuola di Stato a dotare gli studenti di un patrimonio condiviso, posso sentirmi libero di fare quel che voglio.
Ma se domani la scuola di Stato non ci fosse più, e fosse messo a rischio quel fragile patrimonio di valori e miti condivisi che mi consente di fare un”allusione a Giuseppe Garibaldi o a Carducci (che detesto) e di essere capito, cosa succederebbe? Succederebbe che gli unici miti fondativi della nostra Nazione rimarrebbero i Quiz, Il Grande Fratello, Striscia la Notizia e Lady Gaga (che non so chi sia). Certo, non sarebbe una novità : la Televisione funge da collante nazionale almeno a partire da Lascia o Raddoppia e dalla TV dei Ragazzi. La differenza è che già oggi (e lascio da parte il problema della qualità ) la TV non è più di Stato. Inoltre la TV “generalista” sta già scomparendo e i nuovi media (canali televisivi specializzati e soprattutto internet) non avranno più il potere di mettere davanti allo stesso spettacolo tutta la nazione. Il che è indubbiamente un bene, se esistono altre fonti diverse e autorevoli di cultura condivisa, ma se altra fonte non c”è?
Probabilmente in futuro non ci saranno più nazioni, né saperi nazionali, né scuole statali. Ma intanto che facciamo? Di fronte alla catastrofe della cultura, in una società che si disgrega e si atomizza, non abbiamo bisogno di una scuola che lavori per tenere insieme i frammenti di tutto? Di una scuola riformata e pluralista, capace di accogliere al suo interno le contraddizioni, le diversità e le sperimentazioni, anche le più audaci, ma senza per questo frantumarsi e rinunciare a essere la scuola di tutti? Ripeto, non sono competente e non ho la pretesa di aver ragione. È solo per chiarire e mettere in comune alcune riflessioni, alcune perplessità . Ciao. Andrea Sottile
La scuola senza “odore di scuola”: sulla scuola facile.
La base della distruzione della scuola la troviamo nelle azioni di Bassanini e Berlinguer con la pedagogia di un pedagogista tanto al chilo, tal Maragliano. Egli sosteneva nella Sintesi Maragliano (il sunto di quanto deciso dalla Commissione dei 44 saggi per varare la Riforma Berlinguer) alcune cose che in simultanea dovevano far divertire gli studenti e prepararli al mondo del lavoro in modo molto docile.
Il miracolo viene fatto dai pedagogisti (con psicologi e docimologi) al servizio di Berlinguer che iniziano con la loro opera di spostamento dell”asse della scuola dai contenuti ai metodi che si avvitano su se stessi (una vera e propria deriva). Il fine ultimo, dietro frasi accattivanti per i non addetti ai lavori, è costruire una scuola neoliberista che formi pochi bravi e competenti ed un mare di consumatori. La Sintesi Maragliano (fatta insieme a Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe e Mario Vegetti nel maggio 1997) che spinge su nuove tecnologie è emblematica del clima: “Le nuove tecnologie dell”informazione hanno in questo senso un valore paradigmatico, dal momento che coniugano in modo visibile la componente materiale costituita dall”hardware, fondamentale per svolgere le funzioni che loro competono, con la componente simbolica del software, che determina le operazioni che vengono effettuate e dà loro senso.” e nessuno spiega che non si studierà quell”hardware né tanto meno quel software.
E la destrutturazione colpisce tutto, anche la storia: “Per quanto riguarda la storia recente, va tenuto presente che il Novecento non si caratterizza solo per un insieme notevolmente complesso di avvenimenti ma anche per l”affermarsi di ottiche, teorie, linguaggi assai diversi da quelli tradizionalmente adottati dalla scuola …. Gli attuali strumenti di studio vanno dunque adeguatamente integrati, ad esempio, con l”impiego di repertori di dati, immagini, ricostruzioni visuali”. Insomma cronaca e non storia, immagini per non fare fatica e taglio drastico sulla storia antica, sulle radici cosicché, quando ad esempio si studierà la questione palestinese, chi conoscerà la storia di quelle terre? E senza questo riferimento ogni disciplina umanistica e scientifica non ha più basi. La Sintesi prosegue: “Maggiore attenzione, nell”ambito della didattica, dovrebbe essere data alla utilizzazione di una pluralità di strumenti educativi, quali: testi di buona divulgazione, per tutti gli ambiti disciplinari, scritti con abilità narrativa e capaci di attrarre l”interesse degli allievi;…. pratiche di gioco, e non solo a livello elementare. Il vero gioco è vivace, lieve, ma anche appassionato, e quindi serio. L”esigenza di alleggerire il carico culturale e materiale della nostra scuola va inteso anche in questo senso: vale a dire come invito a proporre, tutte le volte che ciò sia possibile, contesti didattici all”interno dei quali apprendere sia esperienza piacevole e gratificante; impiego delle macchine della conoscenza e dell”elaborazione di informazioni e problemi. In particolare, gli strumenti multimediali sono estremamente motivanti per bambini e ragazzi, perché non hanno affatto odore di scuola [sottolineatura mia], danno loro il senso di disporre di risorse per il saper fare e consentono di non disperdere, ma valorizzare, in un quadro intellettuale più strutturato, forme di intelligenza intuitiva, empirica, immaginativa, assai diffuse tra i giovani.”
Insomma: illustrazioni, foto, filmati, disegni, immagini, divulgazioni, libri con molta iconografia, gioco, tutto piacevole, dibattiti, gite, conferenze, uscite, . Walt Disney insomma. Tutto meno che scuola perché quest”ultima ha odore sgradevole. Al fine del saper fare! E di adagiarsi su capacità intuitive, empiriche, immaginative.
Anche le scienze, forti di intuizione, empirismo ed immaginazione degli studenti, hanno il privilegio della citazione:
“La ricerca sulla matematica non scolastica indica la necessità di insegnare agli studenti ad usare idee e tecniche di tipo matematico nella soluzione di problemi diversi (sia di scienze fisico-naturali sia di scienze sociali). Sembra essenziale, a questo riguardo, che bambini e ragazzi non perdano il piacere del matematizzare, non siano demotivati da eccessi di formalismo e siano aiutati dagli insegnanti e dagli stessi compagni a pensare a percorsi alternativi di soluzione e ad utilizzare in positivo le dinamiche degli eventuali errori.”
Qui si sta dicendo che uno degli ultimi luoghi dove si conquistano le abilità astrattive, va demolito, con tutto ciò che segue. E si dice anche che il formalismo matematico è da buttare (era inevitabile che dopo il latino si attaccasse la matematica). La fisica, poi, fa un poco di paura ad un pedagogo. Parla di simulazioni al computer, riuscendo con un colpo di penna, a vanificare gli sforzi di chi, per anni, ha tentato di fare la prima rivoluzione scolastica, quella galileiana. Simulare un esperimento, al livello scolare di cui si discute, è fuorviante se non si conosce bene cosa è un trasduttore (un certo evento che diventa segnali elettromagnetici che poi traduciamo in dati di spazi e tempi) e se non si è ancora in grado di cogliere l”onestà dello strumento. Insomma: il fenomeno è prodotto dallo strumento o è simulato da esso? Riguardo poi al pedagogo che parla di scienza con “contrasti con altre forme del pensiero“, lasciamo perdere.
Occorre togliere alla scuola ciò che sa di scuola perché la scuola non interessa, soprattutto se pubblica:
“Bisogna intervenire sull”editoria scolastica, sollecitandola a (e fornendole le condizioni per) maturare nuove scelte produttive, a favore di testi essenziali (per gli studenti) e più ampi e documentati (per i docenti)”. Quindi i testi scolastici devono essere concisi e non disperdersi in cose, magari importanti, che fanno perdere tempo; sono i docenti che devono sapere di più e quindi, loro, debbono avere testi più ricchi su cui prepararsi.
“Si intende puntare seriamente sulla riqualificazione permanente dei docenti; dalle opportunità offerte da un mercato interno e internazionale in cui si fa sempre più forte la domanda di prodotti di divulgazione di elevato profilo culturale e che utilizzino al meglio le risorse della tecnologia”.
In definitiva i testi più ricchi per i docenti servivano a questo. Sono sempre possibili poi corsi a distanza per aggiornare chi non conosce il proprio mestiere e soprattutto chi non sa divulgare. Ma ciò a cui si tiene di più è al fatto che gli insegnanti sappiano usare le nuove tecnologie, cioè internet (perché immagino che la TV ed il video venga concesso loro come acquisito). Come poi ci si istruisca con internet, senza avere una importante preparazione di base, i pedagoghi non lo spiegano.
“L”istruzione e la vita famigliare dovrebbero essere maggiormente connesse che nel passato. [.] Dibattiti e discussioni, rigorosamente preparati, sono strumenti cruciali, anche all”interno del gruppo classe, per la creazione di quel “mettere in questione” e di quella autonomia intellettuale che idealmente formano le basi di una moderna società civile.”
Dibattere quindi, come in TV. E, dati i livelli di preparazione di base, questo dibattere scimmiotterà proprio la TV. Ma quale sarebbe questa società civile? Lo dicono, lo dicono; non sono reticenti:
“Far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova cultura del lavoro significa investire su due fronti: l”orientamento e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il superamento della “cultura del posto” a vantaggio di una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la preparazione all”autoimprenditorialità . Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano all”impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme dell”apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell”educazione permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo.”
Le intenzioni sono chiarissime: la scuola deve preparare secondo i voleri dell”Impresa neoliberista educando anche alla sottomissione ed all”accettazione dell”esistente.
Non si può non concordare con uno dei più severi ed autorevoli critici di queste riforme: “Di recente sono ripartite – con più virulenza che mai – le fantasie sulla “privatizzazione”, ammantate di modernismo e celate dietro un inaccettabile disfattismo sul presunto sfascio della scuola pubblica. Si confonde autonomia con privato, quasi che il concetto autonomia non fosse un concetto anche e corposamente pubblicistico. Si rimette in discussione il patto costituzionale che cattolici e laici democratici hanno stipulato per impegnarsi nella qualificazione e nelle garanzie pluralistiche della scuola pubblica. Si diffonde l”insana illusione che la salvezza educativa del paese sia nelle mani dell”efficienza di novelli managers privati (che tutti sanno abilissimi nell”attingere continuamente ai fondi dello Stato). Ora poi si racconta che le università – sprecone e inconcludenti – devono procacciarsi da sé i mezzi per lavorare, stravolgendo così una grande tradizione e valori radicati nella storia d”Europa, che hanno fatto libera (e per questo grande) la nostra ricerca. Reaganismo e confessionalismo d”accatto”. Costui lucidamente descrive ciò che accade. È il futuro ministro Luigi Berlinguer, su La Repubblica del 28 settembre 1988.
Io dopo molti anni di insegnamento mi sono convinto che la scuola non è un luogo di svago per studenti ma un luogo dove si devono apprendere determinate cose che sviluppano determinate abilità soprattutto mentali.
A mio giudizio non è divertente imparare a memoria delle poesie ma è indispensabile.
Non è divertente fare analisi logica e grammaticale di brani di prosa ma è indispensabile.
Non è divertente studiare dimostrazioni di teoremi di geometria ma è indispensabile.
Eccetera.
Alla fine di questi processi non è interessante mantenere i contenuti attraverso cui si è passati (un medico o un lavoratore qualunque non è necessario che conosca il Teorema di Talete) ma ciò che è stato acquisito dal cervello del ragazzo.
In definitiva concordo con quanto sostenne molti anni fa uno dei massimi pensatori italiani (non a caso studiato in tutto il mondo meno che in Italia), Antonio Gramsci:
Gramsci nel Volume III dei Quaderni dal Carcere scriveva (1935):
“Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola “disinteressata” (non immediatamente interessata) e “formativa” o di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di signori e di donne che non devono pensare a prepararsi un avvenire professionale e di diffondere sempre più le scuole professionali specializzate in cui il destino dell”allievo e la sua futura attività sono predeterminati.”.
E proseguiva:
“Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. . Occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato.”
[Vi è un ponderoso libro di M. Alighiero Manacorda, Il principio educativo in Gramsci, Armando 1970, che consiglierei vivamente, prima di avventurarsi nella pretesa pedagogia anglosassone ripresa scioccamente dai nostri pedagogisti copiatori ma ignoranti del nostro passato.]
Roberto Renzetti
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