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Per una scuola della Costituzione

Per una scuola della Costituzione
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3 Aprile 2012 - 20.32


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scuola 20120403

di Fabio Bentivoglio

La cosiddetta “scuola tradizionale”, anteriore all”entrata in vigore dell”autonomia, aveva bisogno di essere radicalmente riformata. I criteri della riforma, però, avrebbero dovuto essere attinti dalla cultura e dal pensiero e non da una sorta di aziendalismo caricaturale. A partire da una lettura storica della stagione delle riforme si propone qui l”avvio di un nuovo percorso che, ispirandosi alla fondamentale missione della scuola moderna – la formazione dell”uomo e del cittadino – dia alle nuove generazioni risposte adeguate al nostro tempo.

L”analisi critica

La società contemporanea ha bisogno di più conoscenza e di più scuola. Su questo punto gli esponenti di tutte le forze politiche ed economiche sono d”accordo: le conoscenze, si dice, sono la principale risorsa di un”economia altamente tecnologizzata, perché grazie ad esse i lavoratori possono adempiere con la necessaria agilità ai loro compiti e perché, più in generale, l”intero sistema produttivo ne guadagna in qualità e competitività. Per impostare, però, una riflessione critica sullo stato della scuola e quindi sulla formazione delle giovani generazioni è preliminare chiarire come parole quali conoscenza e scuola abbiano assunto nella realtà attuale un significato sganciato da quello di cui sono state storicamente portatrici.

Negli ultimi trent”anni si è progressivamente affermata una società “globale” caratterizzata da un tipo di economia che ha assunto il principio aziendalistico come principio universale di organizzazione dell”intera sfera sociale: le forze politiche e i poteri economici protagonisti di questa trasformazione, quando si sono trovati di fronte a istituzioni non “economiche”, come nel caso della scuola, hanno operato aggressivamente per sradicarle da ogni vincolo pubblico che le disciplinasse secondo regole non mercantili. L”orizzonte contemporaneo coincide con il mondo della produzione, con lo sviluppo e il suo ambiente tecnologico, per cui le “conoscenze” auspicate per la quasi totalità dei lavoratori consistono in un”alfabetizzazione elementare e informatica e in un”istruzione di base alle tecnologie e ai consumi. Le conoscenze che formano il cittadino consapevole e che sviluppano la razionalità comunicativa (quindi l”acquisizione, attraverso lo studio, di un”adeguata razionalità dialogica), lo spirito critico e l”autonomia del pensiero (quindi la capacità della mente di prendere le distanze dall”immediatezza dell”attualità), la memoria del passato (quindi l”acquisizione di una coscienza storica in grado di far osservare il presente non come un dato di natura), l”atteggiamento scientifico (nell”accezione di atteggiamento razionalmente problematico) sono conoscenze che nell”attuale orizzonte storico vivono solo nelle parole, perché nei fatti non sono più richieste in quanto non funzionali a proiettare i giovani nell”agone competitivo.

Per la prima volta nella storia, le giovani generazioni vivono in una società caratterizzata da innovazioni continue e incontrollate, prodotte dalle forze impersonali del mercato e della tecnica, al di fuori di ogni progetto collettivamente elaborato. Gli individui, plasmati da tali forze, sottoposti alla sollecitazione ossessiva al consumo, sono trascinati dalla corrente sempre più veloce delle innovazioni, senza i contrappesi costituiti in altre epoche dalla forza delle tradizioni, dalla fissità dei mestieri, da un”etica generalmente condivisa. Per queste ragioni l”inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, oggi, dovrebbe essere preceduto non da un percorso all”insegna dell”istruzione strumentale e di un acritico adattamento alle richieste del mercato e della tecnica, ma da un processo di autentica istruzione-educazione alla cittadinanza consapevole. La condizione affinché ciò sia possibile, è che la scuola realizzi la missione storica per la quale è stata istituita nell”Europa moderna e cioè la formazione dell”uomo e del cittadino, in ottemperanza allo spirito della nostra Costituzione.

La scuola moderna, ricordiamolo, nasce in Francia, con la legislazione della Convenzione del 1792-95, e si diffonde in Europa tra l”ultimo scorcio del Settecento e i primi due decenni dell”Ottocento (in Italia con la legge Moscati-Paradisi del 1802), come istituzione nazionale, statale, laica, con il compito di fornire agli individui gli strumenti culturali per comprendere ed esercitare i diritti di cittadinanza. Questa è la concezione della scuola che, con contenuti e metodi ovviamente aggiornati all”orizzonte storico attuale, dobbiamo esigere ancora oggi: una scuola in grado di offrire contenuti di vero spessore culturale la cui assimilazione consenta ai giovani di decodificare dal punto di vista sociale, politico, antropologico ed esistenziale il mondo in cui si è chiamati a vivere.

Se per scuola s”intende l”istituzione deputata a trasmettere da una generazione all”altra saperi, valori e memoria di una società, per i quali quella società esprime una forma di civiltà, in Italia, e non solo, quel tipo di scuola non c”è più. La scuola ridisegnata dalla stagione delle riforme iniziata alla fine degli anni Novanta non corrisponde più al modello moderno-costituzionale di cui si è detto, né sotto il profilo organizzativo né per le finalità formative che ad essa sono state assegnate, subordinate alle necessità dello sviluppo, del mercato e della tecnica.

Oggi, solo formalmente la scuola è “pubblica”: la cosiddetta “autonomia” ha trasformato ogni singolo istituto in modello privatistico-aziendale, così come, all”opposto, ha trasformato di fatto la scuola privata in scuola pubblica, spostando progressivamente il costo del sistema a carico delle famiglie. Questo radicale cambiamento di statuto e finalità della scuola italiana è stato reso possibile con l”autonomia delle istituzioni scolastiche, introdotta con il governo Prodi dall”articolo 21 della legge Bassanini sul decentramento amministrativo del 15 marzo 1997, che ha aperto la strada ai successivi interventi sulla scuola gestiti in alternanza dai governi di centrosinistra e di centrodestra, incentrati essenzialmente sui seguenti punti (solo per citarne alcuni).

  1. Disarticolazione della dimensione pubblica e unitaria dell”educazione del cittadino: ogni istituto si caratterizza per un cosiddetto Piano dell”Offerta Formativa, una novità, questa, che ha inaugurato il penoso fenomeno delle scuole che competono con dépliant pubblicitari per magnificare le proprie qualità;
  2. fine dell”idea che la trasmissione di saperi e valori di civiltà da una generazione all”altra sia compito nazionale, attraverso un insegnamento disciplinare organico ancorato a programmi nazionali: è il passaggio – annunciato a suo tempo dai riformatori – dalla scuola per “materie e programmi” alla scuola per “progetti”;
  3. una deregolamentazione coatta dell”organizzazione e dei tempi della vita scolastica, che assorbe un”incredibile quantità di energie e di tempo per questioni di natura pratico-organizzativa;
  4. un localismo che mira a raccordare ciascun istituto scolastico al suo territorio, inducendolo a calibrare la cosiddetta offerta formativa sulle esigenze produttive e sui contenuti professionali del territorio stesso e, in prospettiva, a reperirvi fonti di finanziamento: un localismo, quindi, che dipende dall”insieme dei poteri economici e amministrativi che dissolvono l”autonomia vera della cultura e dell”educazione nella strumentalità utilitaria dell”economia e dei poteri locali;
  5. imposizione da parte della burocrazia ministeriale, a ondate successive, di un asfissiante didatticismo consistente in una valanga di insulse e defatiganti prescrizioni di metodo, e imposizione di procedure di valutazione propagandate come “oggettive” (con sconcertante insipienza culturale) allo scopo di omologare il sapere a modelli e finalità di cui si è detto poco sopra;
  6. infine la piaga del precariato, che meriterebbe un capitolo a parte per le dimensioni che ha assunto, e per il modo vergognoso con cui tanti giovani docenti sono trattati dall”amministrazione, con danni che ricadono su tutte le componenti della scuola.

Un corretto metodo storico di analisi esige che un determinato processo di trasformazione della realtà sociale e politica sia valutato in i suoi esiti oggettivi, astraendo dalle intenzioni soggettive dei protagonisti che l”hanno determinato. Nel caso della scuola la stagione delle riforme ha prodotto questi esiti: si sono moltiplicate le rivalità tra istituto e istituto, tra collegio e collegio, tra insegnante e insegnante; si sono moltiplicate le interruzioni della didattica per dar spazio al proliferare dei “progetti”; le energie che dovrebbero essere dedicate alla cultura e alla relazione con gli allievi sono sempre più dirottate in competizioni meschine e attività organizzative fasulle. Nella scuola “riformata” ogni organicità dell”insegnamento disciplinare è stata depotenziata dalla mancanza di ancoraggio a un disegno educativo nazionale, dalla frantumazione dell”orario di cattedra e dall”irresponsabile incentivazione ai più disparati progetti dei singoli istituti in concorrenza tra loro per accaparrarsi studenti-clienti.

Sul versante della preparazione degli studenti è unanime la constatazione di una perdita di fondamentali competenze culturali nella padronanza della lingua, nello sviluppo del pensiero logico e nella capacità di mantenere la concentrazione. Una vasta letteratura ha ormai dimostrato il carattere illusorio di tali innovazioni e gli effetti destrutturanti sull”intero sistema: sotto la cascata di queste innovazioni, tutte le componenti della scuola e le sue dinamiche interne sono tragicamente peggiorate. C”è ormai uno scarto paradossale tra l”immagine onirica della scuola trasmessa dai tanti ministri che in questi anni l”hanno smontata e la realtà effettuale che si vive nelle aule scolastiche. Buon ultimo Francesco Profumo che annuncia la prossima ondata che si abbatterà sulla scuola, quella tecnologica con lavagne interattive (oniriche) e altre amenità.

Avremo poi la “Scuola in chiaro” propagandata con enfasi dal dossier che “La Repubblica” le ha dedicato con questi accenti: «Arriva la rivoluzione trasparenza, corsi, hi-tech e iscrizioni: tutto online. Strumenti multimediali, lezioni di lingue, mense, palestre… basterà collegarsi con il sito del ministero per conoscere gli istituti e scegliere quello che si preferisce»[1]. Fantastico! Speriamo che in questo elenco siano indicati i nomi delle sempre più numerose scuole costrette all”accattonaggio per reperire i fondi necessari all”acquisto di carta igienica, detersivi, sapone per lavarsi le mani, gesso e cimose: oggi senza i “contributi delle famiglie” molte scuole non sarebbero in grado di funzionare. Questo è il vero volto della tanto decantata “autonomia”

La proposta

Gli insegnanti colti e preparati, quelli cioè che attraverso le loro competenze disciplinari insegnano il rigore dello studio, il valore della cultura e dell”impegno, sono stati emarginati da questo processo riformatore di cui abbiamo tracciato le linee essenziali. Sono tali insegnanti, però, che mantengono ancora in vita nelle scuole un modello culturale di riferimento per le nuove generazioni. La proposta che segue è rivolta ai tanti docenti che nel difendere la loro dignità professionale e la loro specifica competenza disciplinare, difendono l”insostituibile ruolo formativo della scuola. Poiché una proposta quadro di riforma della scuola non è riassumibile in poche battute, in questa sede ci si limiterà a indicarne in forma assertoria le direttrici essenziali.[2]

La scuola, proprio perché è diretta a nuove generazioni senza memoria collettiva, abitanti di una società senza radici, dovrà darsi un asse culturale di tipo storico: ciò significa la storicizzazione di tutti i suoi contenuti scientifici, tecnici, artistici e letterari. Per definire gli itinerari didattici di una simile storicizzazione occorrerà – come per tante altre questioni inerenti la scuola – un serio lavoro collettivo, culturale e politico.

Un valido sistema scolastico dovrebbe ancora oggi rimanere articolato nei tre ordini di scuola elementare, media e superiore in quanto corrispondente a tre fasi dell”età evolutiva che non sono cambiate negli ultimi due secoli, caratterizzate da distinte strutture cognitive, le quali richiedono modi distinti e distinti contenuti di apprendimento.

Ogni ciclo scolastico dovrebbe terminare con un esame di Stato affidato a esaminatori esterni, quale forma di pubblico controllo dell”effettivo raggiungimento delle finalità educative di quel tipo di scuola. In questi anni l”idea “gentiliana” di esami di Stato conclusivi di ogni ciclo scolastico è stata oggetto di continui attacchi, perché, si dice, riflette un”idea di scuola selettiva, mentre la “vera” scuola è quella che porta tutti al successo formativo (“la scuola di tutti e di ciascuno”).

L”esperienza di questi anni ha mostrato il contrario: la mancanza di esami, finalizzati allo scopo di cui si è detto, si è tradotta nel favorire prassi didattiche che hanno reso più virulento quel classismo che si voleva eliminare. Se la scuola, infatti, si frammenta in percorsi parziali e incontrollabili, i titoli che fornisce sono privati del loro valore sociale, per cui è inevitabile che accada quel che è accaduto: lo spostamento della selezione a momenti successivi alla scuola e alla stessa università, quando lo svantaggio dei ceti bassi è incolmabile, perché si misura sull”entità del patrimonio familiare e sul livello delle relazioni sociali che possono garantire l”accesso alle professioni.

La scuola elementare è quella da cui maggiormente dipende il successo o l”insuccesso dell”intero sistema di istruzione pubblica. Essa può assolvere il suo compito di educare all”apprendimento, se sussistono una serie di condizioni: massima valorizzazione sociale con insegnanti di alto profilo professionale adeguatamente formati; strutture che consentano ai bambini di frequentare la scuola con orari prolungati; veri professionisti che educhino al movimento e allo sport; un asse culturale di tipo linguistico, finalizzato al pieno possesso della lingua materna in tutti i suoi aspetti e usi. La filosofia ha dimostrato che il rapporto dell”individuo con le radici storiche costitutive del suo essere è in origine un rapporto immediato, anteriore a ogni conoscenza e riflessività, e che tale immediatezza è il linguaggio: le lacune, le opacità, le strettoie nell”articolazione del linguaggio non superate nell”infanzia sono elementi frenanti o addirittura preclusivi di tanti apprendimenti nelle età successive.

La scuola media corrisponde a una fase successiva dell”età evolutiva, quella in cui l”ancoraggio immediato al linguaggio proprio dell”infanzia tende a trasformarsi nella manipolazione mentale dei suoi simboli, astratti dal contesto concreto in cui sono dati. Il compito educativo proprio di una scuola media, dunque, consiste nello sviluppo della capacità astrattiva formalistica, produttrice di quelle entità che la filosofia ha definito universali astratti. Si tratta di una capacità cognitiva fondamentale, perché, pur non coincidendo né con lo spirito critico né con la creatività mentale, ne è la condizione di base. Ne discende che è la matematica la disciplina più educativa che deve dettarne l”asse culturale; attorno alla matematica dovrebbero esserci poche materie importanti, tra queste la geografia dell”Italia, dell”Europa e del mondo, fisica, politica e astronomica. La scuola media è quella più adatta per un primo insegnamento di una lingua straniera. Per quanto concerne lo sport, il discorso è analogo a quello svolto per la scuola elementare.

La scuola superiore è frequentata dagli adolescenti, nell”età della ridefinizione identitaria, dei problemi relazionali, dell”ansia esistenziale e dei bisogni ideali: in una società integralmente costruita intorno alla logica del mercato è l”età più a rischio. Per ritrovarsi e dirsi chi è e cosa vuole, l”adolescente deve riannodare mentalmente i contenuti della propria esistenza a un contesto globale che contiene le loro ragioni generative, cioè a una storia. Senza una storia di riferimento, tutto è dato senza significato alcuno. La storia dovrebbe costituire dunque l”asse culturale di una scuola superiore che sia veramente tale, in tutti gli indirizzi in cui la si voglia ripartire. Ciò significa che tutte le discipline di studio superiore, dalla letteratura alla filosofia, dalla fisica all”arte, dall”informatica alle scienze, dovrebbero essere insegnate in modo tale da poter essere collocate nella storia e comprese sotto l”aspetto storico.

Anche nella scuola superiore deve essere riservato uno spazio vero (con conseguenti strutture) allo sport, portando a compimento il lavoro impostato nei cicli precedenti.


Fonte: ItalianiEuropei, Marzo 2012.


[1] S. Intravaia, Arriva la “rivoluzione trasparenza”. Corsi, hi-tech e iscrizioni: tutto online, in “la Repubblica”, 2 gennaio 2012.

[2] Il testo completo è consultabile sulla rivista online “Megachip”, al seguente indirizzo: www.megachip.info/tematiche/cervelli-in-fuga/6290-alternativa-scuola-statale-la-grande-rifor-ma-.html

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