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di Giorgio Israel – http://gisrael.blogspot.it/
Il Periódico di Andorra informa che una docente della Scuola spagnola dell”infanzia del Principato è stata cacciata per aver insegnato a leggere e a far di conto ai suoi alunni. L”imputazione a suo carico è che bambini di 4 e 5 anni sappiano già leggere, fare somme e sottrazioni e stiano perfino apprendendo a scrivere (il che in India e in molti paesi asiatici è un obbligo).
I genitori dei bambini hanno fatto ricorso all”ambasciata spagnola sostenendo che in Spagna sono richiesti minimi educativi ma non è definito alcun massimo. Un ispettore ha respinto il ricorso, confermando la cacciata dell”insegnante. Le si è generosamente concesso di completare il corso di quest”anno a condizione di abbassare il livello dell”insegnamento .
Sarebbe un grave errore accantonare questa vicenda come un episodio folkloristico. Essa è la logica conseguenza di un andazzo che va avanti da anni in gran parte dell”occidente e che mira a trasformare la scuola in una “comunità di apprendimento-intrattenimento” in cui gli insegnanti sono ridotti a “facilitatori”, a fornitori di un servizio di supporto nel quadro di un variegato complesso di attività in cui l”insegnamento disciplinare è l”ultimo degli obbiettivi (se pure lo è) e in cui il primo degli obbiettivi è lo svago e attenersi a standard minimi senza stancare.
Non a caso si è aperta da noi la discussione se diminuire o sopprimere i compiti a casa, sull”onda di un”iniziativa di genitori francesi che, stressati dallo stress dei figli, hanno proclamato che i compiti “fanno male” e impediscono le “attività alternative”. Questo dibattito ha messo in luce la schizofrenia di proclamare come valore assoluto l””autonomia” scolastica e poi voler definire per decreto se e quanti compiti vanno dati, sottraendo all”insegnante un aspetto importante della sua libertà educativa.
Ma questo è niente a fronte dei discorsi surreali sull”insegnamento “capovolto”: niente spiegazioni in classe, si studia a casa con videoregistrazioni e su internet (meglio se in gruppo) e poi a scuola l”insegnante si limita a facilitare l”applicazione delle conoscenze trasformandole in “competenze”. È la scuola vista come “web community” in cui tutto viene costruito “dal basso” con materiali e metodi “accattivanti”.
Sembra che da noi tutto ciò piaccia molto al ministro Profumo. Il ministro Fornero si lamenta che i nostri giovani non sappiano leggere, scrivere e far di conto: farebbe bene a rivolgersi al collega di governo. Nell”orgia della trasformazione della scuola del sapere in quella del “saper fare”, dell”insegnante nel senso di Hannah Arendt – «che si qualifica per conoscere il mondo e istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto, di quel mondo, si assume la responsabilità » – non resta nulla. Certo, gli insegnanti non sono tutti santi e impeccabili. Ma non si ripete di volerli sempre più qualificare, esaltare la loro funzione, restituirle dignità ? Il modo corretto per farlo sarebbe di trasformarli in dipendenti di terz”ordine doppiamente subordinati al dirigismo ministeriale e alle idiosincrasie dell””utente”?
È proprio quel che propone la legge sull”autogoverno delle istituzioni scolastiche recentemente approvata dalla commissione istruzione della Camera. Essa è centrata sull”idea di trasformare le scuole in istituzioni “autonome” e legate al territorio, come se questo fosse di per sé un toccasana. Ma l”unica autonomia che questa legge non garantisce, o piuttosto annulla, è quella degli insegnanti.
La scuola sarebbe gestita da un consiglio dell”autonomia presieduto da un genitore – scelta bizzarra visto che la componente genitoriale è la più transeunte di tutte. Il consiglio prevede una presenza paritetica di genitori e insegnanti, con l”aggiunta di rappresentanti di «realtà » culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi nonché degli studenti (per le scuole superiori) e quindi mette i docenti in minoranza.
Alla funzione docente si riserva la «piena libertà » di programmare e attuare l”attività didattica, ma di fatto la si toglie, subordinandola da un lato alle direttive ministeriali (alle indicazioni, agli standard nazionali, alla certificazione delle competenze e alle innumerevoli prescrizioni) e dall”altro a interessi particolari, in quanto deve attenersi «alle linee educative e culturali della scuola» da negoziare con genitori, studenti e le famose “realtà “.
Se già la scuola è ridotta a un emporio di attività frammentate è facile immaginare a cosa verrebbe ridotta da questa legge trasversale, frutto di due debolezze politiche che, sorreggendosi a vicenda come due zoppi, hanno realizzato il capolavoro di accoppiare una visione aziendalista con una demagogia assembleare, in salsa di costruttivismo. Se questi sono i capolavori che riescono a partorire le forze politiche allora non c”è da stupirsi se il paese è in mano alla tecnocrazia e al ribellismo protestatario.
Fonte: http://gisrael.blogspot.it/
L”articolo è stato pubblicato su Il Giornale (9 maggio 2012).
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