di Pino Cabras.
La giornata del 5 dicembre 2025 è da ricordare. Oltre a scorrere nella routine di oltre otto miliardi di esseri umani, ha attraversato tre luoghi del potere che insieme sembrano annunciare un’epoca nuova. Non sono io a esagerare: se ne sono accorti in vari modi persino i trombettieri dei principali media. A Washington, a Nuova Delhi e a Chengdu, il 5 dicembre si è potuto misurare come si stanno redistribuendo i pesi del mondo.
Partiamo dall’America. A Washington abbiamo avuto la prova più nitida che, in quella che avevo definito «guerra civile in seno alle élite occidentali», stanno emergendo i primi vincitori. La nuova Strategia di Sicurezza Nazionale degli USA – pubblicata oggi dall’amministrazione Trump – imprime una svolta radicale destinata a sconvolgere l’Occidente così come lo conosciamo. Una svolta che va oltre Trump: il tono e i concetti del vicepresidente Vance, verosimile successore, emergono in ogni paragrafo, soprattutto nel ritratto dell’Europa. Washington abbandona la retorica della “minaccia russa” e rifiuta la logica di una NATO in continua espansione. Roba che sta già seminando il panico in tutti i luoghi che dominano il discorso pubblico europeo. L’ex ispettore statunitense dell’ONU in Iraq, Scott Ritter, sottolinea che per decenni la Russia è stata presentata come pericolo artificiale, e che questa narrativa ha causato un disastro per l’Europa e aumentato i rischi di scontro nucleare.
Nel nuovo disegno statunitense, l’Europa – nel suo ostinato perseguimento di politiche anti-russe – appare più una fonte di instabilità che un alleato strategico: la protezione americana tradizionale non è più scontata. A parere di Ritter, questa impostazione rappresenta la fine di un’era unipolare e l’avvio di un ordine globale più instabile e multipolare, con un rischio concreto: se l’Europa continuerà a sfidare Mosca, gli USA potrebbero non intervenire per difenderla. Le classi dirigenti europee stringono tra le mani una costruzione improvvisamente pronta a crollare sotto il peso della loro stessa micidiale miopia e stupidità, trovando erose le proprie basi materiali e spirituali: politiche, diplomatiche, economiche, militari, culturali.
Cambiamo emisfero, andiamo in India. Qui non è Ritter ma Alessandro Volpi a offrirci una chiave di lettura. La calorosa accoglienza riservata a Putin oggi a Nuova Delhi segnala una verità che l’Europa continua a rimuovere: il baricentro del sistema internazionale si sta spostando verso le società più popolose e verso i paesi che controllano energia e capacità militari. Cina, India, Russia e Stati Uniti stanno ridisegnando l’architettura globale, mentre Washington – con Trump o con altri – cerca semplicemente di non esserne travolta.
Nel mezzo di questa trasformazione, il vecchio continente compie un vero atto di autodissoluzione strategica. Avrebbe ancora due armi formidabili: una capacità di risparmio senza eguali e un potere di consumo che potrebbe dargli voce nei nuovi equilibri. Ma entrambe queste leve sono state consegnate agli Stati Uniti: il risparmio europeo alimenta la finanza americana, mentre i consumi sostengono monopoli digitali d’oltreoceano.
Questo suicidio non avviene per effetto del destino cinico e baro: è la scelta deliberata delle classi dirigenti neoliberali che governano l’Europa da decenni, incapaci di immaginare un’autonomia reale e rifugiate in un moralismo vacuo che non sposta nulla. Così, mentre il mondo si riorganizza, l’Europa si acconcia a spettatrice del proprio declino.
La conferma la ritrovo nella terza tappa di oggi: Chengdu, in Cina, la megalopoli da 21 milioni di abitanti nel cuore delle nuove vie della seta. Qui il presidente francese Macron, ricevuto con tutti gli onori dal presidente cinese Xi Jinping, ha firmato qualche accordo economico. Visita ricca di simboli ma povera di risultati: dodici intese tecniche, nessuna concessione su Ucraina o commercio. L’accoglienza calorosa di Xi evidenzia lo squilibrio di forza. Parigi chiede investimenti e trasferimenti tecnologici all’industria cinese, segno del divario crescente, mentre la Cina spicca il volo in ogni settore strategico. Ma a Bruxelles il suo uomo di fiducia, Séjourné, prepara norme per «ridurre la dipendenza da Pechino». La schizofrenia europea conferma il modesto peso negoziale francese (leggi europeo) di fronte alla potenza cinese.
Il momento più alto della visita è stata la passeggiata al santuario dei panda. L’avevo visitato nel 2018, quando Chengdu aveva “solo” 16 milioni di abitanti e 6 linee della metropolitana: ora ha 16 linee operative, e prevede di averne 36 entro il 2035. Il vero panda a rischio estinzione oggi è la manifattura europea.
Quanto all’Alto rappresentante – pardon: all’Altissimo rappresentante della politica estera dell’Unione europea – lo sapete, si chiama Kaja Kallas. Non viene ricevuta a Washington, non viene ricevuta a Pechino, non tratta con Mosca. In pratica nessuno dei decisori che plasmano il nuovo ordine mondiale ha un minuto da dedicarle. Così il continente che fu centro del mondo affida la sua voce globale a un’assoluta nullità.
Ho nel frattempo visto Giorgia Meloni intervistata da Mentana, che non poteva che parlare di Trump che scarica i leader europei. Di fronte a un mondo che pianta l’Europa in asso, Meloni mi è apparsa come una studentessa costretta ad affrontare l’esame con un po’ di faccia tosta e mestiere, ma travolta da tutte le lacune nella preparazione al cospetto di una commissione d’esame severa. Minuta e tesa come una corda di violoncello, ci ha sibilato che dobbiamo difenderci da soli. Affidando così anche noi alla sua custodia, il ministro Crosetto. Andrà bene, secondo voi?