‘
di Ziggy Molino, videomaker – Megachip.
Un recente articolo di Claudio Messora – interamente dedicato a un presunto addio alle web tv a seguito della delibera AGCOM atta a regolamentare il servizio di media audiovisivo sulla rete – offre parecchi spunti di discussione. Di questi tempi è facile gridare allo scandalo, appellarsi alla Costituzione e manifestare indignazione per ogni provvedimento che sembri minare i diritti della democrazia.
Gli organi di controinformazione e informazione indipendente dilagano – meno male – come mai prima d”ora, ma spesso si rischia di cadere nel tranello rappresentato dal facile sillogismo “controinformazione = verità “, rendendo tortuoso applicare dei distinguo.
Benché chiunque, qualsiasi preferenza politica manifesti, sia più o meno consapevole dei limiti che l”attuale classe dirigente manifesta senza nemmeno troppo pudore di fronte ai reali problemi del paese, ritengo ingiusto e riduttivo trattare ogni argomento partendo dall”idea pregiudiziale che ogni provvedimento, legge o decreto da essa emanato sia permeato da malafede e presupponga malaffari.
Premesso che è proprio grazie a voci come quelle di Messora che il dibattito in questo Paese resta ancora vivo, non riesco a comprendere il motivo di tanto accanimento su due punti fondamentali che egli, in video, dopo un” accurata lettura della delibera, descrive come inconcepibili: il diritto di postare il proprio filmino delle vacanze e l”autocertificazione antimafia.
In quanto diretto interessato, essendo un videomaker indipendente prossimo all”apertura di una web tv, ho subito preso in mano il testo.
La delibera 258/10/CONS redatta dall”Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) esordisce definendo chiaramente il concetto di “servizio di media audiovisivo”:
Articolo 1 d) un servizio, quale definito agli articoli 56 e 57 del Trattato sul funzionamento dell”Unione europea, che è sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi media ed il cui obiettivo principale è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico, attraverso reti di comunicazioni elettroniche.
Di primo acchito verrebbe da pensare che la definizione riguardi soltanto le strutture aziendali sotto “responsabilità editoriale”, dunque testate giornalistiche regolarmente iscritte in Tribunale (compresi i TG televisivi).
Tuttavia sappiamo che, giustamente, chiunque scriva qualcosa sul proprio blog, dica qualcosa nella propria web radio o web tv riconducibile alla diffamazione risponde personalmente delle proprie dichiarazioni, nella misura in cui un tribunale lo stabilisce. Ne è un esempio la storia riportata sul blog di Bruno Saetta.
Esistono comunque realtà in cui l”informazione e l”attualità non hanno un ruolo di primaria importanza e che dunque incorrono decisamente meno in questi rischi (una web tv che trasmette videoclip di sport estremi difficilmente rischia una querela).
L”articolo 1 d) continua dicendo:
Per siffatto servizio di media audiovisivo si intende o la radiodiffusione televisiva, come definita alla lettera i) dell”articolo 2 del Testo unico e, in particolare, la televisione analogica e digitale, la trasmissione continua in diretta quale il live streaming, la trasmissione televisiva su internet quale il web casting e il video quasi su domanda quale il near video on demand , o un servizio di media audiovisivo a richiesta, come definito dalla lettera m) dell”articolo 2 del Testo unico. Non rientrano nella nozione di “servizio di media audiovisivo” i servizi prestati nell”esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fine di condivisione o di scambio nell”ambito di comunità di interesse; ogni forma di corrispondenza privata, compresi i messaggi di posta elettronica; i servizi la cui finalità principale non è la fornitura di programmi; i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale, quali, a titolo esemplificativo:
– i siti internet che contengono elementi audiovisivi puramente accessori, come elementi grafici animati, brevi spot pubblicitari o informazioni relative a un prodotto o a un servizio audiovisivo;
– i giochi in linea;
– i motori di ricerca;
– le versioni elettroniche di quotidiani e riviste;
– i servizi testuali autonomi;
– i giochi d”azzardo con posta in denaro, ad esclusione delle trasmissioni dedicate a giochi d”azzardo e di fortuna;
– ovvero una comunicazione commerciale audiovisiva;
Â
Mi pare di capire, leggendo questo punto, che i videoamatori vacanzieri a cui fa riferimento Messora nel suo intervento, non corrano alcun rischio.
Il testo è decisamente chiaro. Quando si parla di web tv si fa presto a fare confusione. Lo stesso capita anche in ambito radiotelevisivo tradizionale quando si distingue tra emittenti commerciali e comunitarie: sono regolamentate più o meno allo stesso modo, ma con oneri e doveri differenti, soprattutto sotto l”aspetto economico. Lo stesso accadrà per ciò che di analogo avviene nella rete.
Web tv è un termine generico, spesso usato impropriamente per identificare qualsiasi sito disponga di un mediaplayer al suo interno. Youtube, per intenderci, non è una web tv, come non lo è nemmeno un videoblog.
La web tv è un”emittente televisiva che trasmette attraverso la tecnologia dello streaming sul web (lo dice la parola stessa) ed è in tutto e per tutto paragonabile ad un”emittente televisiva tradizionale. Ha una finalità imprenditoriale, è a tutti gli effetti un”attività a scopo di lucro (nella maggior parte dei casi) e come qualsiasi altra attività non può sottrarsi ad una regolamentazione.
L”avvento delle nuove tecnologie streaming non ha regalato uno strumento di comunicazione potente ed efficace ai soli blogger, cybernauti o privati cittadini desiderosi di pubblicare il filmino delle vacanze; ha messo nelle mani di nuovi e vecchi imprenditori mediatici una valida alternativa all”emittenza radiotelevisiva tradizionale, immobile da decenni a causa del limitato spazio sull”etere regolamentato da leggi discusse per la scarsa valenza democratica (la legge Mammì, che ha di fatto legittimato una situazione preesistente che vedeva l”allora Fininvest rivaleggiare con il monopolio Rai; la Legge Maccanico che, soprattutto nella controversia Rete 4 – Europa 7, non è stata mai attuata fino in fondo; la Legge Gasparri ritenuta addirittura anticostituzionale per alcune variazioni al tetto antitrust della raccolta pubblicitaria).
Gli stessi investitori di cui sopra, pur fiutando le enormi potenzialità del nuovo mezzo, sono rimasti spiazzati dalla totale assenza di regolamentazioni, che impedisce a qualsiasi operatore abituato a perseguire i propri interessi economici per vie legali e nel pieno rispetto della legge (e in Italia ne esistono parecchi, soprattutto nel mondo delle PMI), di agire con trasparenza e metodicità .
Negli anni ”70 abbiamo vissuto il far west mediatico che ha dato vita alla maggior parte delle attuali emittenti private sparse sul territorio italiano, per non parlare della creazione dei poli televisivi principali. Al contempo però, la maggior parte dei possibili investitori del settore sono rimasti esclusi vista la carenza di concessioni ministeriali e delle lunghe code burocratiche per ottenerle.
Oggi viviamo un secondo far west mediatico, proiettato sulla rete. Un far west dove vige l”anarchia, nelle sue accezioni positive e negative.
Negli anni ”70 non era difficile conoscere qualcuno, tra la gente comune, che trasmettesse abusivamente sull”etere attraverso una radio pirata. Era difficile invece trovare emittenti autorizzate in regola con la SIAE.
Di questi tempi, quanti possono vantarsi di non aver mai violato deliberatamente il diritto d”autore sulla rete?
Pubblicare un video registrato da una qualsiasi emittente televisiva (stralci di partite di calcio, telefilm, videoclip) su un sito di videosharing come Youtube viola le leggi sul copyright, come attestato da Youtube stesso. Anche musicare il proprio video delle vacanze con un brano di proprietà artistica altrui è da considerarsi reato. Ma nessuno sembra farsi carico di tali responsabilità tanto morali quanto penali.
Si sa, per il privato cittadino si può sempre chiudere un occhio, sopratutto se le sue finalità non tendono all”arricchimento personale, ed è giusto che sia così; ma si provi a cercare quante web tv “professionali” o siti di altro genere, che vivono di pubblicità e sponsorizzazioni e che utilizzano musica a piacimento, espongono l”autorizzazione SIAE nella propria home page, come previsto da regolamento: si noterà che i pochi in regola piazzano la dicitura in bella mostra, quasi con orgoglio.
I navigatori più lungimiranti ed onesti hanno capito ben presto le potenzialità del Creative Commons, del Royalty Free e delle licenze di pubblico dominio, supportando le comunità che diffondono tali strumenti nel pieno rispetto della legalità . Inoltre, in quanti dichiarano al fisco gli introiti pubblicitari ottenuti grazie alle proprie pagine web, cospicui o marginali che siano?
Sempre per rispondere a quanto affermato da Messora, non c”è niente di strano nel fatto che ad una nuova attività imprenditoriale, in qualsiasi settore operi, venga richiesta la documentazione antimafia. E” pratica consolidata: per accedere ad un finanziamento, per operare nel mercato immobiliare, per aprire un ristorante e per mille altri motivi è richiesta tale documentazione. Anche le pellicole oscuranti sul parabrezza delle auto sono vietate per lo stesso motivo. La documentazione antimafia è un autocertificazione che qualsiasi persona giuridica può ottenere presso la propria camera di commercio. La marca da bollo è quella standard.
Lo stesso vale per una testata giornalistica orientata ad un servizio di informazione di un certo tipo: lo testimonia il fatto che i giornali di annunci economici non siano regolamentati allo stesso modo. Le web tv non fanno eccezione: perché dovrebbero?
E” giusto, inoltre, che un libero cittadino utilizzi la rete per esprimere le proprie idee, e che questo suo diritto venga opportunamente preservato da tentativi illiberali di metterlo a tacere. La delibera di cui sopra non sembra ledere questo diritto. Quale giudice d”altronde condannerebbe un blogger per aver detto la sua senza munirsi di redazione e direttore responsabile? Altra cosa è se si confonde la libertà di espressione con la diffamazione o la pubblica accusa: allora è meglio dotarsi di tante prove e di un buon avvocato.
Le critiche ai singoli politici, ai loro schieramenti, ai garanti e alle stesse authority, in questo contesto, lasciano il tempo che trovano: anche in un utopico stato ideale le web tv commerciali verrebbero considerate alla stregua delle emittenti tradizionali. Stavolta però, a differenza degli anni 70, il rischio che la rete faccia la fine delle frequenze analogico/digitali non è neanche da prendere in considerazione. In tanti sono in corsa per investire nel settore: vogliamo lasciar loro la possibilità di operare nell”anarchia più totale? E” doveroso regolamentare un mezzo che definire con la parola “web” suona già obsoleto.
Le trasmissioni in streaming rimpiazzeranno presto tralicci e satelliti. Avranno la stessa diffusione delle emittenti tradizionali, con, in più, la possibilità di infrangere i confini nazionali. Le web tv viste esclusivamente al computer sono già roba vecchia. Saranno ovunque, dal nostro schermo al plasma all” IPAD. Anche nel frigorifero, quando ce lo potremo permettere.
Â
‘