Corruzione, sesso e nuovi stereotipi femminili | Megachip
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Corruzione, sesso e nuovi stereotipi femminili

Corruzione, sesso e nuovi stereotipi femminili
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8 Marzo 2011 - 16.13


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saeminemeledi Serena Ferrara – Megachip.

La versione originale dell”articolo è stata pubblicata su “Pol.is, per la riforma della politica e delle istituzioni”, Nuova Serie, anno 3, n. 5, giugno 2010. Titolo originale: “Corruzione e sesso. Il nuovo racconto di un vecchio fenomeno”

Corruzione, intercettazioni e sesso. Sono ormai questi gli ingredienti che accomunano indagini giudiziarie e inchieste giornalistiche sulla cosiddetta “nuova corruzione”. Un”uniformità di linguaggio che, secondo larga parte della classe politica e dell”opinione pubblica italiana, sarebbe il risultato di un utilizzo delle intercettazioni ai limiti del voyeurismo.

I magistrati, secondo questa tesi, sarebbero i nuovi “paparazzi” della società dello spettacolo, intenti a cercare casi che abbiano il colore dello scoop. Vi e poi una variante cospirativa nella quale il voyeurismo si tinge di tinte sovversive: in questo caso, l”obiettivo sarebbe il golpe della Magistratura contro la casta dei politici.

Dal punto di vista giornalistico, si potrebbe ritenere che le intercettazioni siano diventate un nuovo genere narrativo utilizzato per appassionare le notizie di corruzione: una scelta resa forse necessaria dal fatto che – dopo le inchieste di Tangentopoli e con l”avvento della Seconda Repubblica – la corruzione era diventata un fenomeno difficilmente “notiziabile”. Di qui l”esigenza di costruire una rappresentazione inedita, capace di offrire all”immaginario collettivo un cast di personaggi assolutamente originali (dai transessuali suicidi, alle massaggiatrici che si mettono a servizio di funzionari iper impegnati e bisognosi di relax, fino al popolo delle escort): attanti le cui vicende personali si intrecciano in modo ambiguo con le cronache di attualità, in un groviglio di vicende private e fatti di interesse pubblico su cui solo le intercettazioni sembrano in grado di aprire uno squarcio.

Questo tipo di narrazione contribuisce a spogliare la corruzione della sua sostanza di fenomeno politico-sociale per riproporla come una sorta di pièce teatrale in cui figure sociali insolite si impongono in modo carnevalesco sulla scena, rendendo nuovamente avvincenti delle trame altrimenti scontate.

Dal punto di vista politico, invece, la definizione di questa “nuova corruzione” porta con sé la riduzione del fenomeno corruttivo a “fenomeno privato” o, al più, “di costume”. Un artificio che consente di ridurre la questione alle contrapposizioni fra morale privata ed etica pubblica, fra la “presunzione” del reato e la “sacralità” del diritto alla privacy. In breve, la vecchia e logora querelle, tutta italiana, tra garantismo e accanimento giudiziario.

Dal punto di vista culturale, infine, non si può non osservare che mentre si torna a discutere di cattiva selezione della classe dirigente, tale fenomeno sembra riguardare solo le donne che ruotano attorno alla vita privata del premier. Come dire che, ai vecchi stereotipi femminili propinati dalla tv, se ne va aggiungendo silenziosamente uno nuovo, più insinuante e pericoloso, perché finisce per delegittimare la presenza delle donne nella vita politica del Paese.

 

LE INTERCETTAZIONI E IL CORPO DELLA DONNA: LA SPETTACOLARIZZAZIONE DEL “PARTICOLARE”

Un”opinione pubblica matura, avvezza a riconoscere i meccanismi comunicativi su cui si fonda il lavoro dei professionisti dell”informazione, saprebbe sicuramente operare una distinzione tra realtà e rappresentazione, e cioè discernere criticamente il “fatto” (ossia il presunto coinvolgimento di un imprenditore o di un politico in un illecito), dalle forme del racconto (ad esempio le conversazioni private riprodotte in forma di fumetto) usate dai giornalisti per appassionare la notizia. Se così fosse, le intercettazioni, una volta sottratte alla loro spettacolarizzazione, tornerebbero ad essere quello che effettivamente sono: uno strumento di indagine. Di conseguenza, la storia dei “giudici voyeur” non reggerebbe e ne verrebbe immediatamente colto il carattere di interpretazione politica superficiale e poco aderente alla realtà.

Ma in Italia, la capacità critica del pubblico è considerata più un rischio che un valore. È probabilmente questo il motivo per cui i talk show dominano la scena televisiva (a scapito di un giornalismo di inchiesta e di approfondimento) e si ritiene necessario bilanciare la presenza dei giornalisti (oltre che quella dei politici) all”interno dei tempi televisivi.

Ed è forse per lo stesso motivo che, a fronte di una nuova ondata di eventi che rimettono in discussione i requisiti di legalità e di eticità dell”agire politico, si vorrebbe continuare a dirottare l”attenzione degli elettori sulla presunta illegittimità delle intercettazioni oppure sull”uso del corpo femminile come sinonimo di “tangente”. Queste interpretazioni, infatti, contribuiscono a distogliere l”attenzione dalle implicazioni politiche ed economiche della corruzione tout court e, contemporaneamente, dalle implicazioni etiche e culturali di un certo tipo di rapporto tra uomini e donne che poco ha a che fare con la corruzione stessa.

Nella definizione della “corruzione come favore sessuale” finiscono cioè per appiattirsi due fenomeni che pesano come macigni sulla vita del Paese:

  • la corruzione
  • l”assenza di politiche a favore della donna

 

LA CORRUZIONE

È un dato di fatto (spesso taciuto dai mezzi di informazione) che la corruzione costituisca tuttora un fenomeno largamente diffuso, con costi economici e sociali rilevanti per l”intero Paese.

Quasi un anno fa, in un”intervista televisiva sulle differenze tra la corruzione di ieri e quella di oggi, Carlo Freccero ha osservato che, ai tempi della prima Tangentopoli, le inchieste sulla corruzione ebbero una grande rilevanza politica anche perché furono raccontate dai media come un processo unico e di portata storica.

Un processo che assunse un significato culturale di «redenzione» di un”intera classe politica. Il racconto della nuova corruzione, invece, si caratterizza non soltanto per la sporadicità degli episodi, ma anche per la debolezza delle immagini con cui questi vengono raccontati: se le immagini televisive di allora sono rimaste impresse nella memoria per la loro carica simbolica ed emotiva, quelle attuali sono delle banali «figurine», simili alle foto “rubate” che popolano le riviste del gossip.[1]

La corruzione viene così ridotta a “mal costume” di una piccola parte della società e ne viene ridimensionata la rilevanza nell”attuale contesto storico. Inoltre, essendo confinata nella sfera delle relazioni private, essa perde la sua specificità di reato e il giudizio al quale è sottoposta viene ad essere prevalentemente un giudizio morale.

 

I RAPPORTI DI GENERE E GLI STEREOTIPI FEMMINILI

L”uso del corpo femminile come strumento di corruzione (ma è evidente che il discorso andrebbe esteso anche alle relazioni omosessuali) viene spesso interpretato come il segnale di una concezione maschilista ancora dominante nella società italiana. Pur condividendo questa interpretazione, vorrei osservare che la questione femminile trascende il coinvolgimento di alcune donne in fatti di corruzione o in pratiche di selezione della classe dirigente quantomeno discutibili e che occorre stare attenti a non costruire nuove rappresentazioni negative dell”universo femminile.

In Italia, le donne sono frequentemente vittime di violenza dentro e fuori dalla famiglia; faticano più dei maschi ad affermarsi nel mondo del lavoro e guadagnano meno dei propri compagni; non possono contare su strutture e politiche pubbliche che consentano di conciliare la vita professionale con la cura della famiglia: di fatto, perciò, la loro libertà di scelta è praticamente azzerata.

La presenza delle donne nella vita politica è ancora definita in termini di “quote rosa”, mentre il loro contributo alla produzione culturale è subordinato alla difficoltà di accesso e di carriera all”interno delle strutture produttive.

In questo contesto, affidare il termometro dei rapporti di genere alle abitudini sessuali del premier o alla pratica (quanto realmente diffusa?) dei favori sessuali è sicuramente poco utile, se non addirittura fuorviante. Vi è, invece, l”esigenza di discernere criticamente le storie di vita quotidiana e gli spazi pubblici in cui i diritti delle donne sono realmente e sistematicamente violati, da quelli in cui questa violazione è banalmente “messa in scena”.

In questa pratica di discernimento, ovviamente, i media giocano un ruolo rilevante. Essi, infatti, da una parte si presentano al pubblico come testimoni/informatori incaricati di sollevare il velo sui vizi e sui peccati degli italiani; dall”altra, costituiscono i principali megafoni di una cultura maschilista che, nel momento stesso in cui va in scena, si auto-assolve. La tematizzazione giornalistica del rapporto tra sesso e corruzione non sfugge a questo meccanismo.

Ma chi è la donna oggetto di queste transazioni illecite? È l”aspirante attrice/velina di sempre? è una escort (novella figura mitica, a metà tra l”arrampicatrice sociale e la sex worker)? è vittima/oggetto passivo della transazione? oppure è spregiudicata e consapevolmente impegnata nella propria scalata sociale? Quel che è certo è che si tratta di una “comparsa”, in un mondo in cui gli affari li fanno e li decidono sempre e solo gli uomini. In questo senso, ci troviamo di fronte all”ennesimo modello negativo, all”ennesima rappresentazione superficiale e distorta dell”universo femminile.

Di questi modelli negativi, l”Informazione è uno dei veicoli più subdoli. L”immagine della donna rimane perennemente confinata nella sfera delle relazioni private e familiari ed è ritratta quasi sempre al negativo. La donna appare come una figura irrazionale (ad esempio la madre che uccide il propri figlio), debole e bisognosa di protezione (è il caso delle vittime di violenze e abusi sessuali) o, all”opposto, spregiudicata e immorale (la ragazzina che si spoglia on line).

Queste immagini sono ancora più pericolose dei tanto condannati “stereotipi di bellezza femminile” propinati dalla pubblicità e dai varietà. Perché, se è vero che questi ultimi nascondono una rappresentazione parziale della donna, funzionale ad una società consumistica, è pur vero che di essi è facile cogliere il carattere “opaco” di frammento, di finzione, o meglio, di costruzione simbolica della realtà.

Diluiti nel contesto della notizia o dei dibattiti televisivi, invece, gli stereotipi si caricano di un effetto di realtà, che li fa apparire “trasparenti”, rendendone più difficile la messa in discussione. La notizia della ragazzina che usa YouTube per vendere i propri video a luci rosse ai compagni maschi o quella delle adolescenti protagoniste di atti di bullismo nei confronti dei propri coetanei non restituiscono un ritratto completo delle nostre adolescenti, eppure sono passibili di facili generalizzazioni.

Notizie come queste chiamano in causa fenomeni complessi, ma lo fanno in modo superficiale: spesso non fanno riferimento a dati e statistiche ufficiali e, quasi mai, propongono soluzioni possibili o modelli di comportamento positivi. D”altro canto, esse contribuiscono a rinforzare tanto nei ragazzi, quanto negli adulti, la percezione di un”ingovernabilità dei primi e di una rassegnata impotenza dei secondi. E, soprattutto, nel lungo periodo, questi modelli influenzano la percezione che le nostre adolescenti hanno di se stesse e del proprio rapporto con l”altro genere.

In questo quadro, il connubio tra sesso e corruzione contribuisce a consolidare l”immagine di una donna impegnata sin da giovanissima nell”uso del sesso come strumento di affermazione personale. Ne deriva uno spostamento di prospettiva per cui il corpo femminile smette di essere “oggetto” e diventa “strumento” scientemente utilizzato da una donna che è sempre meno vittima e sempre più complice, se non addirittura artefice, della propria sottomissione.

Dietro questa visione si cela, ma neppure tanto, uno sguardo prevalentemente maschile sulla realtà che, lungi dal riconoscere i limiti e le storture della propria visione, continua a riproporla come mainstream, come “senso comune” che, in modo sempre più subdolo, si vorrebbe perfino a tinte rosa.

Ma il milione di persone (uomini e donne) scese in piazza lo scorso 13 febbraio, che qualcuno vorrebbe etichettare come una massa strumentalizzata dalla sinistra antiberlusconiana, porta sulla scena una rinnovata consapevolezza e, insieme, una speranza. La speranza che si stia finalmente sgretolando il consenso costruito attorno ad un populismo che si alimenta di pochi “maneggevoli” concetti, di strategie a breve termine e dell”immagine ingombrante del leader.

La speranza che, finalmente, possa esserci spazio per rifondare una dialettica politica e, soprattutto, un humus culturale da cui possa trarre forza e vigore una visione credibile del nostro futuro.

 


[1] Intervista dell”11 aprile 2010 a Glob, l”Osceno del Villaggio, programma di Rai Tre dedicato ai modi e ai mondi del comunicare.

 

 

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