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Cosa cambia per le donne

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29 Gennaio 2012 - 09.09


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donne 20120129

di Lamia Oualalouwww.monde-diplomatique.it

Da alcuni anni, alla guida di stati latinoamericani vi sono delle donne. L”emergere di queste figure politiche di primo piano suggerisce un progresso – spesso timido – della condizione femminile nella regione. Si può sperare in un”accelerazione?

 Il 9 marzo 2001, il sindaco di Bogotá, Antanas Mockus, proponeva una singolare soluzione al tradizionale predominio maschile in Colombia: dalle 19,30 all”una del mattino, solo le donne sarebbero state autorizzate a circolare in città. Per par condicio, la settimana successiva Mockus consegnava la città ai soli maschi, negli stessi orari. Le donne da una parte, gli uomini dall”altra?

 

In realtà, i progressi nell”eguaglianza tra uomini e donne seguono altre strade, in particolare in campo politico. E le latinoamericane non se ne lamentano. Negli ultimi anni, quattro donne sono state elette alla più alta carica nel continente. Quando Cristina Fernández in Kirchner diventa presidente dell”Argentina, nel 2007, molti osservatori la paragonano alla sua concittadina Isabel Martínez in Perón (la prima donna al mondo a diventare presidente, nel 1974). Ma entrambe erano, prima di tutto, «mogli di»: la prima dell”ex presidente Nestor Kirchner, presidente dal 2003 al 2007; la seconda, vedova di Juan Domingo Perón, al potere dal 1946 al 1955, poi dal 1973 al 1974.

Quattro anni dopo, nessuno osa più un tale confronto: nell”ottobre 2011, con il 54% dei voti al primo turno, la presidente diventa la prima donna rieletta a capo di uno stato latinoamericano. In Argentina, non si parla più di «Cristina Kirchner», come all”inizio del suo primo mandato, ma di «Cristina Fernández», il suo cognome da ragazza.

L”Argentina non è il solo paese in cui le donne possono ormai fare a meno di mariti illustri. All”inizio del 2006, Michelle Bachelet, un”ex rifugiata politica che ha allevato da sola i suoi tre figli, succede al socialista Ricardo Lagos, in un Cile che ha appena istituito il divorzio. Nell”ottobre 2010, in Brasile, è la volta di un”altra divorziata, Dilma Rousseff, nota per la sua partecipazione a organizzazioni guerrigliere di sinistra durante la dittatura degli anni ”60 e ”70. Alcuni mesi prima, anche il Costa Rica aveva scoperto che la sua tradizionale cultura maschilista non aveva impedito l”elezione di Laura Chinchilla (centro-sinistra).

Un”evoluzione della mentalità talvolta accompagnata dall”introduzione di sistemi di discriminazione positiva. L”Argentina ha aperto la strada, nel 1991, con la legge sulle quote, che imponeva ai partiti il 30% almeno di candidature femminili. Con il 38% di donne in Parlamento, figura oggi tra i primi dodici paesi quanto a partecipazione femminile al potere legislativo. Da allora, undici nazioni della regione ne hanno seguito le orme (Bolivia, Brasile, Costa Rica, Ecuador, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana, Uruguay).

«Da noi, l”elezione di donne come Michelle Bachelet si spiega soprattutto con il fatto che danno l”immagine di persone meno corrotte», spiega Maria de Los Angeles, direttrice della Fondazione Chile 21, a Santiago del Cile. Da sempre escluse dal potere, apparivano poco coinvolte negli scandali relativi a sottrazione di fondi – una caratteristica che scompare con il loro ingresso nella vita politica. Del resto, la parità promossa dalla Bachelet non le è sopravvissuta. La metà dei ministeri del suo primo governo era occupata da donne; nella squadra del suo successore di destra, Sebastian Piñera, sono solo il 18%.

La buona volontà del potere esecutivo non basta. Al suo arrivo al palazzo presidenziale del Planalto, a Brasilia, la Rousseff ha annunciato di volere fare spazio alle donne – una scelta derisa dalla stampa, che ha definito il suo governo una «Repubblica sui tacchi a spillo». È riuscita a inserirle solo nel 24% dei ministeri e nel 21% dei posti detti di «secondo livello», cioè i gabinetti e le grande imprese pubbliche. Le nomine dipendono dalle formazioni politiche della coalizione, che, Partito dei lavoratori (Pt) a parte, sono poco inclini alla discriminazione positiva.

Secondo uno studio della Banca interamericana di sviluppo (Bid), nel 2009 le donne occupavano il 16% dei posti di presidente e di segretario generale dei partiti latinoamericani, e rappresentavano il 19% della direzione nei comitati esecutivi. In Venezuela, sono state le più attive negli organismi di governo partecipativo voluti dal presidente Hugo Chávez nel corso dell”ultimo decennio. Pur consapevole che le sue osservazioni potrebbero passare per dei «cliché», la sociologa Margarita Lopez Maya, dell”Università centrale del Venezuela, a Caracas – e candidata alle legislative del 2010 per il partito di opposizione Patria para todos – spiega: «Ieri come oggi, i livelli intermedi del potere sono occupati da uomini. Le donne partecipano quando si tratta di questioni concrete, e sono meno interessate al gioco politico». Certo, tre donne guidano altrettanti organismi di potere pubblico, ma, secondo la sociologa, «sono state scelte per la loro lealtà verso il presidente Chávez, e per attirare il voto femminile».

Del resto, le donne al potere si mostrano particolarmente attente a far progredire i diritti del loro sesso? Non è detto, suggerisce María Florez-Estrada Pimentel, sociologa dell”Università del Costa Rica: «Sovvertono l”ordine sociale tradizionale, ma ciò non significa che assumano un atteggiamento progressista. In America centrale, le presidenti sono state e restano molto conservatrici, tanto sulle questioni economiche quanto su quelle sociali – comprese quelle che riguardano direttamente le donne, come il diritto all”aborto.» A parte Cuba, dove l”interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) è autorizzata, e Città del Messico, dove i deputati dell”Assemblea locale l”hanno votata, questa questione – salvo casi di stupro o quando la vita della madre è in pericolo – resta tabù nella regione.

Nell”ottobre 2010, le militanti femministe brasiliane sono rimaste sorprese dalla violenza con cui il tema ha fatto irruzione nella campagna elettorale per le presidenziali. Ricordano ancora i video messi in rete che mostrano dei feti morti. Visti da milioni di persone, ostentavano pastori evangelici che invitavano a non votare la Rousseff, la quale anni prima si era pronunciata contro la criminalizzazione dell”aborto. José Serra, l”avversario della candidata del Pt, pur conosciuto per le sue posizioni progressiste sulle questioni sociali, vi ha visto una possibilità di rovesciare il risultato elettorale. Ha quindi cominciato a fare campagna elettorale con la Bibbia in mano, mentre sua moglie girava per i quartieri popolari inveendo contro chi voleva «uccidere i bambini», ma tacendo di essere ricorsa lei stessa all”aborto negli anni ”70, secondo quanto rivelato dal quotidiano Folha de São Paulo. Messa alle strette prima del secondo turno, la Rousseff ha firmato una lettera nella quale si impegnava a non inviare al Congresso alcun progetto di legge sulla legalizzazione dell”Ivg.

Eppure, gli aborti clandestini, stimati intorno agli ottocentomila l”anno in Brasile, hanno conseguenze drammatiche: quasi duecentocinquantamila donne soffrono di infezioni o perforazione dell”utero, e il loro tasso di mortalità è di sessantacinque donne ogni centomila gravidanze, il che ne fa una questione di sanità pubblica (1). «Rispetto a oggi, credo che vent”anni fa sarebbe stato più facile portare avanti una discussione su questa questione», dichiara Maria Luiza Heilborn, ricercatrice presso il Centro latinoamericano per la sessualità e i diritti dell”uomo (Clam), dell”Università di stato di Rio de Janeiro. Ottenendo dalla Rousseff un impegno scritto, le Chiese si sono garantite dal rischio che la depenalizzazione dell”aborto venga inserito all”ordine del giorno. Perché al Congresso, dove nelle ultime elezioni la presenza di deputati religiosi si è raddoppiata (per raggiungere i sessantatre seggi), giacciono più di trenta progetti che chiedono, al contrario, un irrigidimento della regolamentazione dell”aborto legale, e la sua proibizione anche in caso di stupro o di pericolo per la vita della madre. «Non saranno mai votati, ma paralizzano ogni dibattito progressista», recrimina la Heilborn.

La difficoltà, prosegue, «deriva dal fatto che i conservatori fanno ormai un discorso moderno, dal momento che si proclamano salvatori del feto in nome dei diritti dell”uomo e non più della famiglia o di valori morali». «È una grandissima ipocrisia: le donne che possono pagare per abortire lo fanno tranquillamente; le cliniche non si nascondono, anzi, godono della protezione di poliziotti corrotti», insiste con forza. Secondo uno studio dell”Università di Brasilia pubblicato nel 2010, nel paese ha abortito una donna su cinque (2). «Nonostante questo, il diritto all”Ivg resta assente dall”immaginario sociale. Anche le donne che vi hanno fatto ricorso si dicono contrarie, e presentano la loro decisione come un fatto eccezionale», dice Maria José Rosado che dirige l”Associazione cattolica per il diritto di scegliere.

Il solo paese della regione ad avere fatto marcia indietro è il Nicaragua. Nel 2006, la gerarchia cattolica, con una prova di forza, ha concluso un accordo con Daniel Ortega, allora alla ricerca di sostegni per riconquistare il potere. Non appena eletto, il sandinista ha fatto cambiare la legge che permetteva alle donne vittime di stupro di interrompere la gravidanza. L”aborto è ormai proibito in ogni caso. «È la prova che questa questione non ha niente a che vedere con la sinistra e la destra», ribadisce la Helborn. Di fatto, è nella Colombia del conservatore Alvaro Uribe (presidente dal 2002 al 2010) che la Corte costituzionale ha percorso il cammino inverso. Ha concesso l”autorizzazione ad abortire per «problemi di salute», permettendo un”interpretazione molto ampia di questi ultimi, che possono comprendere anche problemi di natura psicologica.

In Venezuela, malgrado l”esame di diversi progetti di legge all”Assemblea nazionale dopo l”arrivo al potere di Chávez, è difficile immaginare una depenalizzazione a causa dell”accordo tra religiosi e militari, per non parlare della parere contrario del presidente Chávez: «L”aborto è autorizzato in altri paesi, per quanto mi riguarda, datemi pure del conservatore, non sono d”accordo. Se un bambino nasce con un problema, bisogna dargli amore», ha dichiarato il 26 aprile 2008. Il dibattito si è surriscaldato a causa dell”esplosione del numero di gravidanze in Venezuela. Secondo la Società venezuelana di puericultura e pediatria, nel 2009, il 20% dei parti ha riguardato madri tra i 10 e i 18 anni.

In Uruguay, la decisione del Congresso di legalizzare l”Ivg si era scontrata col veto di Tabaré Vasquez (2005-2010), allora a capo di un governo di centrosinistra. L”8 novembre 2011, il Senato ha rilanciato l”iniziativa: molto probabilmente la legalizzazione sarà votata. È sostenuta dal 63% della popolazione e il presidente Jose Mujica ha già fatto sapere che non si opporrebbe. Le trattative proseguono, come pure in Ecuador, Bolivia e Argentina, dove cinquecentomila aborti clandestini hanno luogo ogni anno. Anche se la Kirchner si dichiara personalmente contraria, all”inizio di novembre una commissione legislativa ha riaperto il dibattito e nei prossimi mesi sarà discusso un progetto di legge che tende a rendere più flessibili le condizioni dell”Ivg.

Secondo il sociologo Mario Pecheny, il voto del Congresso argentino a favore del matrimonio omosessuale, lo scorso anno, è un precedente incoraggiante. La grande preoccupazione delle donne latinoamericane resta però la violenza. «Il femminicidio, cioè l”uccisione di una donna solo perché è una donna, è sempre più frequente in America centrale e in Messico», riassume la Florez-Estrada Pimentel. Il record è detenuto da El Salvador, con un tasso di 13,9 donne assassinate per 100.000 abitanti. In Guatemala, la percentuale è di 9,8. Negli stati messicani di Chihuahua (nel quale si trova la città di Ciudad Juàrez, nota da vent”anni per i sistematici assassinii di donne [3]), Bassa California e Guerrero, è triplicata dal 2005 al 2009 fino a toccare l”11,1 per 100.000 abitanti. La crescita esponenziale è dovuta in particolare allo scontro tra governi e narcotrafficanti.

La normalizzazione della violenza la banalizza anche all”interno delle coppie. D”altra parte, «la guerra contro la droga e il crimine organizzato ha conseguenze specifiche sulle donne: come in ogni guerra, lo stupro crea coesione all”interno dei gruppi armati, riafferma la loro virilità e viene vissuto come una sfida nei confronti del nemico», afferma Patsilì Toledo, giurista dell”Università del Cile (4). In Messico, il numero di donne incarcerate per crimini federali – essenzialmente traffico di stupefacenti – è aumentato del 400% dal 2007 (5). I baroni della droga diversificano le fonti di reddito creando reti di prostituzione e di tratta delle donne. Secondo l”Organizzazione internazionale delle migrazioni, il guadagno in America latina sarebbe di circa 16 miliardi di dollari l”anno, il che spiega il sequestro di migliaia di donne, minorenni comprese (6).

Per la Heilborn, il femminismo, anche se meno visibile del movimento Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali), «è diventato più popolare. Ha ormai raggiunto tutti gli strati della società». D”altra parte, «le donne più povere sono quelle che hanno ricevuto i benefici maggiori dalle politiche sociali», ricorda la Rosado. Il sussidio Bolsa famiglia («Borsa famigliare»), che in Brasile viene concesso a quasi tredici milioni di famiglie, è assegnato per lo più a donne. Idem per il programma di alloggi popolari «La mia casa, la mia vita»: il governo fa di tutto perché la proprietà sia intestata alle donne. «Questo dà loro un maggior potere negoziale nei confronti degli uomini, e migliora la situazione della famiglia, perché sono loro a preoccuparsi in primo luogo della salute e del sostentamento dei figli», sottolinea Rebecca Tavares, che dirige l”agenzia delle Nazioni unite per l”uguaglianza dei sessi e l”autonomia delle donne (Onu-Donne) per Argentina, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay.

L”ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro ha modificato la situazione: secondo la Banca mondiale, dal 1980 la mano d”opera latinoamericana ha assorbito più di settanta milioni di donne, passando da un tasso di presenze del 35% in media al 53% nel 2007, soprattutto nel settore dei servizi. Il peso del settore irregolare rimane però notevole: nelle città boliviane, ad esempio, la percentuale di donne che lavora in nero è del 71%, contro il 54% per gli uomini (7). «Le violente crisi economiche degli anni ”90 hanno dimostrato la capacità delle donne nel cavarsela, spesso meglio degli uomini. Ne hanno guadagnato in fiducia e in legittimità», ricorda Pecheny.

Attive sul mercato del lavoro, ma sempre con il carico della maggior parte delle mansioni non remunerate (casa, cura dei figli e delle persone anziane o handicappate), le donne mettono in discussione la cultura maschilista, ma fanno sempre più fatica a conciliare tutto. Si tratta solo di una coincidenza? Certo però nella regione si assiste ad una netta diminuzione delle nascite. In Brasile, il rinnovamento delle generazioni non è più assicurato: di fronte al grande lavoro e al costo che implica il mantenimento di una famiglia – istruzione e salute sono ampiamente privatizzate -, le donne, nei quartieri eleganti come nelle favelas, optano per un figlio, due al massimo, a volte nessuno. Un fenomeno che ormai si osserva anche in Uruguay, Costa Rica, Cile e a Cuba, con, in più, un”accelerazione nell”invecchiamento della popolazione che i bilanci nazionali continuano a ignorare. «Le donne, più autonome, vogliono studiare, consumare e viaggiare. Rifiutano di continuare a farsi carico degli altri, osserva la Florez-Estrada Pimentel. Ciò pone al capitalismo un notevole problema sociale: la divisione sessuale del lavoro è cambiata, ma né gli stati né le imprese investono abbastanza per creare un”infrastruttura sociale adatta alla nuova realtà.»

Note

(1) Maria Isabel Baltar e Regina Maria Barbosa (a cura di), «Aborto no Brasil e países do Cone Sul», Università dello stato di Campinas, ottobre 2009.
(2) «Segredo guardado a sete chaves», Università di Brasilia, giugno 2010.
(3) Leggere Sergio González Rodríguez, «La strage di donne a Ciudad Juárez», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2003.
(4) Patsilí Toledo, «The drug-war femicides», Project Syndicate, 9 agosto 2011.
(5) Citato da Damien Cave, «Mexico”s drug war, feminized», The New York Times, 13 agosto 2011.
(6) «Human trafficking: an overview», Ufficio delle Nazioni unite contro la droga e il crimine, New York, 2008.
(7) «Latin America: 70 million additional women have jobs following gender reforms», Banca mondiale, Washington, DC, marzo 2011. (Traduzione di G. P.)

Fonte: http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Dicembre-2011/pagina.php?cosa=1112lm01.01.html

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