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Il Cavaliere e la Televisione

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9 Febbraio 2013 - 14.59


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Il lato oscuro (o quasi) dell”irrisolto conflitto d”interessi di B.

cavaliere televisione 20130209

di Alex Sfera*

Questa “spiegazione” ci è stata gentilmente concessa, quache anno fa (era il 2008, ndr) durante una lezione di “Economia dell”audiovisivo e del multimediale”, tenuta nella Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza di Roma da un anziano funzionario Rai che si chiamava Francesco Devescovi (ignoriamo se sia ancora in vita oppure no).

Tutti noi sappiamo che le tre Reti Rai sono da sempre lottizzate dai partiti. Sappiamo che nonostante la Rai si avvalga di un “canone” non sfugge comunque ai criteri aziendali dell”essere gestita in modo tale da rimanere economicamente in attivo, e dunque non costituisca un peso ma una risorsa per la collettività.

 

Il vero motivo per cui a B. è stata lasciata la possibilità di accrescere il proprio “impero mediatico” (soprattutto dal punto di vista televisivo), è che ai partiti che controllavano la Rai (DC = Rai1; PSI = Rai2; PCI = Rai3) occorreva un soggetto imprenditoriale particolarmente forte, che riuscisse da solo a competere con le Reti di Stato e nello stesso tempo potesse usufruire dell”assenza di una normativa stringente sulla quantità di presenza pubblicitaria all”interno dei palinsesti delle Reti, senza essere frenato dal fatto che imponendo un canone ai suoi telespettatori avrebbe poi dovuto attenersi ad una serie di regole etiche, che la RAI si è sempre impegnata a rispettare (sia pure da un punto di vista formale) nei confronti dell”audience, proprio in virtù della sua natura di network “statuale”, dunque al servizio della collettività.

Serviva, insomma, un imprenditore abbastanza forte da poter competere con la Radiotelevisione italiana, e non avesse alcun tipo di freno per quanto riguarda l”aumento della presenza massiva di pubblicità nelle sue reti. Tenete a mente che pubblicità = sponsor, i quali permettono all”azienda di ricevere dei considerevoli introiti.

Essendo una rete commerciale, la tv di Berlusconi non aveva alcun freno, e a fronte di programmi sempre più ammiccanti e pepati, ha saputo far pensare al telespettatore medio che l”aumento degli spot in tv era un prezzo tutto sommato accettabile qualora, a fare da contropartita, ci sarebbe stata una programmazione meno ingessata, più brillante e divertente  meno seria e più da intrattenimento che in definitiva rispecchiava la personalità brillante e spregiudicata del Cavaliere.

Grazie alle reti del biscione la presenza degli spot pubblicitari in tv aumentò sempre di più. finché la Rai ebbe la giustificazione, ormai più che evidente, per “adeguare” le norme che regolamentavano la presenza pubblicitaria nei suoi palinsesti con il fine di rimanere “competitiva” con Mediaset. La cosa sarebbe andata a tutto vantaggio dei media che proponevano una visione commerciale ed aziendale della società, cosa che invece la Rai, almeno su un piano formale, ha sempre voluto intendere di voler contrastare (sempre per via delle reponsabilità derivanti dalla natura di servizio pubblico).

A parole, per l”appunto.. perché in realtà dietro a questa storia c”è alla base un profondo interesse di tutta la politica verso la possibilità di aumentare i profitti delle aziende televisive, in modo da premiare la fedeltà di ogni singola Rete al suo dominus di partito – ricordiamo la spartizione classica: DC = Rai1; PSI = Rai2; PCI = Rai3 -, onde poter continuare ad avere la propria voce all”interno dello spazio mediatico.

Come ha ben detto Travaglio ieri sera a in Onda, “sappiamo che le tv riescono a spostare una fetta notevole di elettorato solo nel lungo periodo, veicolando modelli di pensiero e di comportamento che influenzano (anche a livello subliminale) il modo di pensare e gli attegiamenti mentali dell”opinione pubblica, fino ad arrivare ad influenzarne il comportamento (si pensi a quanto in questo ultimo periodo pre-ettorale i politici si affannano a farsi vedere dal pubblico mentre accarezzano un cane, per comunicare a livello subliminale una sensazione di affidabilità e di familiarità).

Insomma, per farla breve, dietro al conflittto d”interesse mai risolto di B. ci fu una storia di appetiti pubblicitari, sia per poter aumentare gli introiti delle due aziende e continuare a competere tra di loro (Rai vs Mediaset), sia per poter resistere ad una competizione sempre più “scorretta” (perché incredibilmente più ricca dal punto di vista dell”offerta del proprio palinsesto) dei nuovi media, prima fra tutti Internet, con il suo World Wide Web, che nel giro di una decina di anni (siamo nella seconda metà degli anni ”80) sarebbe esploso come fenomeno di massa, procurando non pochi guai e deficit alle aziende televisive.

 

* Alex Sfera è giornalista pubblicista. Si occupa di informazione sul web da alcuni anni e coordina il magazine on-line newsphera. Alex è raggiungibile su facebook qui.


 

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