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L'economia politica della pena

'Movimenti sociali e gestione dell''ordine pubblico. Intervista a Donatella della Porta. [COMMONWARE]'

L'economia politica della pena
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4 Giugno 2015 - 18.20


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(a cura) di Commonware

Pochi giorni prima della grande manifestazione milanese contro l’Expo (e poi anche successivamente), a Torino, a Cremona e a Bologna alcuni attivisti sono stati raggiunti da pesanti provvedimenti cautelari. Non è la prima volta che la magistratura dispone misure di questo tipo in occasione delle grandi manifestazioni, al contrario la cronaca giudiziaria degli ultimi anni ci racconta di una tendenza consolidata all”uso preventivo di queste misure penali, non solo a ridosso degli eventi di piazza più importanti ma anche in funzione della gestione locale dei conflitti sociali. Abbiamo intervistato Donatella Della Porta, sociologa e attenta studiosa dei movimenti sociali e delle politiche di gestione dell”ordine pubblico, per analizzare il significato di questa prassi penale ed offrire una lettura critica di quello che sembrerebbe essere (il condizionale è d”obbligo) un progressivo ridimensionamento del ricorso preventivo al carcere, orientamento confermato dalla riforma del codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali, entrata in vigore lo scorso 8 maggio. Si tratta infatti di un intervento che da un lato dovrebbe rendere eccezionale l”uso della carcerazione preventiva ma che dall”altro allunga i tempi di applicazione delle misure cautelari alternative. [Commonware]

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Da una quindicina d’anni si è consolidata una sorta di giurisprudenza preventiva, con ampio uso di misure cautelari, quindi con la comminazione della pena prima della conclusione del processo. Negli ultimi anni tali misure non poggiano nemmeno più solo su fantasiose ipotesi associative, ma vengono usate anche per reati minori, come la resistenza. E possono durare molto tempo: per esempio, sono solo di recente finite le misure cautelari di un attivista messo sotto indagine per la manifestazione del 15 ottobre 2011. Come legge e analizza questa tendenza consolidata all’utilizzo delle misure cautelari preventive?

La vedo come una tendenza in parte di lungo periodo e in parte accentuata da vicende più recenti. Soprattutto dall’attentato alle Torri Gemelle, si è nuovamente sviluppata una tendenza – dopo gli anni Settanta – a un’applicazione emergenziale di leggi in parte nuove, che vengono definite come leggi anti-terrorismo ma che sono poi utilizzate in maniera meno selettiva, e anche di vecchie leggi che vengono riproposte. Dato che in Italia sono ancora in vigore molti articoli del Codice Rocco, ciò comporta il fatto che riemergono poteri di polizia, aumentati da una serie di misure prese rispetto a tematiche non politiche come le violenze nel calcio, che vengono però utilizzate sempre più anche in chiave politica. Sul lungo periodo vengono utilizzati diversi tipi di giustificazione: sempre quando i temi sono stati affrontati come emergenze, c’è stata poi una tendenza a utilizzare le leggi pensate per alcune specifiche fattispecie di reato in maniera più ampia. In parte anche perché l’utilizzazione di alcuni reati permette maggiore libertà nelle indagini, per esempio per fare intercettazioni occorre che le indagini siano su reati particolari, così come permette specifiche misure di indagine cautelare.

Nello specifico, poi, credo che quanto più negli anni della crisi economica è aumentata la percezione di scontento sociale diffuso, tanto più anche nell’ambito di conflitti che si radicalizzano in situazioni socialmente drammatiche sono state ancora una volta utilizzate le misure che erano state giustificate come misure che riguardavano altri tipi di reato. Nel breve periodo, quindi, credo che le dinamiche del conflitto sociale nella crisi e di fronte a politiche di austerità abbiano portato a un’ulteriore accentuazione dell’uso di queste misure. Esse sono spesso innovative rispetto al passato: per esempio, sono state utilizzate molto misure economiche, la minaccia di penalizzare attivisti infliggendo loro multe o obbligo di pagamenti molto alti, oppure reati di devastazione e saccheggio applicati per danni estremamente ridotti, o ipotesi di associazione sovversiva per reati sostanzialmente minori.

Abbiamo spesso ragionato sul travaso di misure come il daspo dagli ambienti delle curve a quelli politici. Non a caso, a ridosso di ogni grande manifestazione il ministro della giustizia di turno dichiara che si sta studiando la possibilità di applicare questo dispositivo giuridico per i cortei. Tuttavia queste misure cautelari preventive non sono forse già una sorta di daspo non formalizzato?

Ci sono daspo, ci sono anche tante misure che conferiscono poteri alla polizia che molto tempo fa erano state pensate per la criminalità organizzata e che vengono applicate ad attivisti; c”è il divieto di dimora che è una specie di confino, oppure il divieto ad accedere a una città. È particolarmente grave perché in alcuni casi si tratta di misure che vengono applicate direttamente dalla polizia senza un controllo giudiziario. Per opporsi l’unica strada è quella dei tribunali amministrativi regionali che non sono neanche istituzioni adeguate per decisioni che riguardano tematiche relative ai diritti civili. In molti casi è successo che attivisti giovanissimi per reati minori si sono visti imporre l’obbligo di non entrare in alcune città, talvolta in quelle in cui andavano a scuola, quindi con conseguenze di grande disturbo per la loro vita sociale.

Il divieto di dimora per esempio viene utilizzato soprattutto in contesti particolari per tentare di colpire e smembrare le forme di aggregazione collettiva…

L’aggravante ulteriore è che in vari casi si tratta di poteri di polizia, che vengono utilizzati in maniera preventiva, senza essere soggette a decisioni della magistratura e senza possibilità di opporsi di fronte all’autorità giudiziaria. In genere vengono utilizzate misure che sono state pensate per altri contesti, come il daspo per lo stadio, o per la mafia e la criminalità organizzata, o ancora per il terrorismo. L’escalation nell’attribuzione di questo tipo di reati si è vista negli anni più recenti, legata spesso a misure che definivano gli spazi territoriali del conflitto come zone militari, i casi della Val di Susa e delle proteste sui rifiuti in Campania sono emblematici. Definendo come aree soggette a vincoli militari zone di costruzione delle ferrovie o di deposito dei rifiuti si possono poi applicare una serie di misure per reati di attentato allo Stato.

Nella crisi vi è dunque un aumento dell’intreccio tra poteri e magistratura contro i movimenti e le lotte…

Non ho dati quantitativi, però quello che emerge studiando conflitti specifici è la tendenza all’utilizzo di questi reati di per sé molto gravi, quindi con rischi estremamente elevati anche per iniziative che un tempo si consideravano come disobbedienza civile.

È interessante analizzare quella che possiamo definire l’economia politica della pena. Le cosiddette misure alternative possono essere lette come risultato delle lotte contro il carcere, però possono anche essere intese come misure neoliberali, in quanto tendono a scaricare i costi della detenzione sul detenuto stesso. Con misure come gli arresti domiciliari o i divieti di dimora lo Stato non paga i costi economici, scaricandoli appunto su chi subisce la pena. Un discorso simile può essere fatto per altre istituzioni disciplinari, come gli ospedali, in cui la tendenza è quella di scaricare sul paziente/utente i costi della cura. Con le misure “alternative” lo Stato non paga neppure i costi politici delle sue azioni, perché mettere agli arresti domiciliari o all’esilio degli attivisti non suscita lo stesso clamore che portarli in carcere. Sono misure, inoltre, che puntano a individualizzare e isolare i singoli detenuti, privandoli della socialità (per quanto coatta sia) del carcere, e tenta di rendere più difficoltosa la risposta collettiva. Attorno a queste dinamiche si crea poi un indotto di cooperative e comunità di recupero e assistenza che costituiscono un campo di profitto allettante per vari soggetti imprenditoriali. Cosa ne pensa?

È un’analisi molto interessante, perché si collega al tema della privatizzazione di molti compiti di polizia. È a uno stadio molto avanzato in paesi come gli Stati Uniti, dove vi è un outsourcing e una privatizzazione della stessa detenzione carceraria. Un esempio più macroscopico sono i centri dove vengono detenuti gli immigrati senza documenti, che sono peraltro decisivi nei casi recenti di corruzione, quello romano è il più eclatante. Con la delega al privato o al terzo settore, che non è certo solidale bensì interessato al business, si creano da un lato grandi circuiti di potenziale acquisizione da parte delle cooperative di risorse che un tempo erano pubbliche, dall’altro si determina una riduzione dei diritti. Come si è visto quando sono scoppiati gli scandali di corruzione sui centri di prima detenzione, molto spesso il modo in cui diventavano affari estremamente lucrativi consisteva nell’assenza di diritti degli “utenti”. Già la privatizzazione della polizia è una tendenza che ha sollevato tantissimi problemi dal punto di vista della responsabilità e del controllo democratico. In questi casi si aggiunge il fatto che, rivolgendosi a soggetti che sono stati privati dei diritti, il potenziale di sfruttamento è ancora più elevato. Uno studente attivista italiano ha più possibilità di protestare e contestare le regole, renderle pubbliche, scandalizzare l’opinione pubblica, rispetto al migrante clandestino.

L’economia politica della pena è sicuramente un tema da analizzare, senza ovviamente mettere in discussione il fatto che le riforme legate alle pene alternative sono state anche riforme di civiltà in quanto orientate a considerare la pena non come una vendetta ma come un potenziale di reinserimento nella società. Quindi, l’idea alla base di queste misure era di civilizzazione, però in una situazione in cui la politica istituzionale è molto penetrata dall’economia e dalla corruzione sono diventate altro. Partirei per fare una ricerca sull’economia politica della pena dal caso romano, perché lì si vede bene come quello che dovrebbe essere un trattamento umano diventa ancora più disumano perché è delegato dallo Stato a cooperative che non hanno niente di solidale ma che sono pensate come modi per arricchirsi attraverso collegamenti corrotti con la politica.

[url”Donatella Alessandra della Porta”]http://apps.eui.eu/Personal/DonatellaDellaPorta/index.htm[/url] (Catania, 1956) è una sociologa italiana, attiva nella ricerca su: movimenti sociali, corruzione, violenza politica e sociologia politica.

(4 giugno 2015)

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