Noi siamo qui perché voi siete lì con la guerra | Megachip
Top

Noi siamo qui perché voi siete lì con la guerra

Una conferenza internazionale ad Amburgo, interamente auto-organizzata dai rifugiati di mezza Europa. Non solo crisi migratoria, ma veri interlocutori [Nina Lepori]

Noi siamo qui perché voi siete lì con la guerra
Preroll

Redazione Modifica articolo

2 Marzo 2016 - 22.24


ATF

dalla nostra inviata

Nina Lepori.

AMBURGO
(Germania) – C”è un” importante lezione da imparare dall” ondata di migrazioni
che interessano l”Europa in questi ultimi anni: era davvero una bugia colossale,
quella alla quale ci hanno fatto credere negli anni più giovani della nostra
vita, ossia che esistano due mondi separati, quello della pace e del benessere,
da una parte, e quello della povertà e delle guerre civili, dall’altra.

Con
presunzione osservavamo sullo schermo eventi lontani, ci mostravano immagini di
morte di gente sconosciuta, diversa da noi. Inorriditi inveivamo contro i
massacri di bambini, donne, uomini per poi passare a finire di compilare la
nostra lista della spesa. Ma potevamo forse immaginare che quel mondo potesse
riversarsi nelle nostre vite quotidiane, presentarsi sotto casa per chiedere il
conto? Può darsi. In un giorno lontano. Non oggi.

Eppure
quel giorno è arrivato. E quel mondo è qui e chiede il conto. E chiede di
prendere in mano il proprio futuro.

«We are here» è
il motto ufficioso principale delle giornate intense che vedono l”incontro internazionale dei rifugiati e
migranti
ad Amburgo dal 26 al 28 Febbraio negli spazi messi a disposizione
dalla fabbrica-teatro Kampnagel.

A organizzarlo sono gli
stessi rifugiati
attraverso associazioni internazionali
come Lampedusa in Hamburg,
CISPM – International Coalition of Sans-Papiers Migrants and Refugees, Voix des
Migrantes, Refugee Movement Berlin, Refugee Protestcamp Hannover
.

A
incontrarsi sono migranti, rifugiati, attivisti da Amburgo, Berlino, Hannover,
da Francia, Italia, Olanda, ecc. Il titolo ufficiale della conferenza è «The Struggles of Refugees – How to go on?»
(“Le lotte dei rifugiati – Come andare avanti?”). Si vuole
discutere, scambiare esperienze, mettere in atto nuovi reti di interazione.

La
situazione ai confini dell’Europa, le condizioni nei campi di accoglienza, le
difficoltà nei paesi di origine e l’inasprimento delle leggi sul diritto
d’asilo sono i temi più importanti.

Per
la giornata finale della conferenza si vuole giungere ad una risoluzione
comune, un piano d’azione per
contrastare l’emarginazione, fermare i rimpatri, migliorare le condizioni di
vita nei campi di accoglienza. Di fatto il primo e più importante traguardo è
stato raggiunto: essere riusciti a dare vita a uno dei più grandi incontri mai
organizzati dagli stessi rifugiati, dove stavolta
a parlare sono gli stessi protagonisti della «crisi europea dei migranti»

che riempie le cronache.

È
un incontro scandito da ritmi africani.
Suonatori di djembe ti accolgono all”
ingresso dell”ampio foyer trasformato in un grande bazar. Su piccoli stand le associazioni
presentano le loro attività, piccoli gruppi discutono, un video della
conferenza della sala adiacente viene trasmesso in contemporanea su uno schermo
gigante, poco più in là una mensa distribuisce pasti gratuiti, nell’asilo
accanto si offre servizio di baby-sitting
per i bambini.

C’è
anche una «legal clinic» con avvocati professionisti che offrono consulenza
giuridica individuale. Si parla inglese, francese, tedesco. Vengono distribuite
cuffie e piccoli apparecchi con i quali è possibile ascoltare la traduzione
simultanea su frequenze diverse: si traduce in 7 lingue, tra le quali Farsi,
Tigrino, rom e linguaggio dei segni. Per essere una Babele, ci si capisce
benissimo.

Si sviluppano diverse discussioni plenarie e 30 workshop. Il tutto è frutto
dell’auto-organizzazione e i finanziamenti (più di 17mila euro) provengono da una campagna di crowdfunding lanciata su una piattaforma di Amburgo. Oltre 1600 le
persone iscritte, ma siamo almeno 2000. Per un centinaio di rifugiati vengono
messi a disposizione su uno spazio adiacente parecchi posti letto: piccole
cabine di legno chiuse da tende, una sorta di piccolo villaggio. Per molti
altri, posti letto privati sono offerti da attivisti e sostenitori in città.

Nei
diversi workshop, dislocati nel complesso del teatro, si discute di razzismo, sessismo, di colonizzazione,
di violenza alle porte dell’Europa, si fanno giochi di ruolo, si
scambiano opinioni, le donne
ricevono un proprio spazio dietro l’edificio centrale per incontrarsi e
discutere tematiche specifiche. Un
centinaio di loro irromperà sul palco della sala centrale il secondo giorno
della conferenza, occupandolo per protesta: al grido di «women space is
everywhere», chiedono di non essere messe in disparte, vogliono fare sentire le
loro voci, raccontare le loro esperienze, dare valore alla loro presenza. È
infatti sulla pedana della sala centrale che si accende il dibattito più vivo
sui temi che stanno maggiormente a cuore, si raccolgono i racconti di chi ha
vissuto la fuga, si mostrano le immagini delle vicende che accadono poco fuori
dalle nostre città.

A
raccontare sono eritrei, nigeriani. marocchini, tunisini, e poi afghani, curdi,
siriani. C’è la storia dell’Africa. Che è poi la nostra storia. Storia di
guerra, di terrore, di lotta e di emarginazione. È il racconto della lotta nei
paesi di origine, dei pericoli della fuga, dello scontro con la chiusura delle
porte della fortezza Europa, con le dure leggi del diritto d’asilo. 

Ci
sono le immagini delle condizioni catastrofiche dei campi di accoglienza
descritti come «psychological prisons»,
la denuncia dell’impossibilità di fare sentire la propria voce, di muoversi
liberamente. 

La
cultura dell’accoglienza, quella che da queste parti si chiama “Willkommenskultur” assomiglia
a tutt”altro. Anche sugli eventi della notte di Capodanno a Colonia si discute,
di come la destra abbia strumentalizzato i fatti per inasprire il clima di
paura tra i rifugiati. Una cosa è chiara: le responsabilità individuali non
possono essere scaricate su un intero popolo.

La
critica principale è alla politica di asilo tedesca: la lentezza
delle procedure per ottenere un permesso di soggiorno, la mancanza di programmi
di integrazione, l’impossibilità di spostarsi dalle aree di prima accoglienza,
di inserirsi nel mondo del lavoro, di prendere contatti con la società.

Illegali,
legali, “tollerati”, o con permesso di soggiorno stabile: i
partecipanti sono tutti diversi sul piano giuridico. Ma «siamo tutti umani», é
il messaggio comune a tutti: «We are here», noi siamo qui. Noi siamo qui e
desideriamo far sentire la nostra voce, siamo qui e vogliamo esercitare
diritti, siamo qui e non vogliamo stare ai margini delle vostre città, «we are
here to stay» (siamo qui per restare). Ma soprattutto «we are here, because you
are there». Noi ci troviamo qui poiché voi siete là, con le vostre armi, i
vostri interessi e distruggete i nostri paesi. La stessa Germania deve porre
fine alle esportazioni di armi nelle aree di crisi e smettere in questo modo di
alimentare i conflitti che sono la causa principale della fuga: le bombe saudite che creano gli
sfollati in Yemen
sono fabbricate da aziende tedesche in Sardegna. Viva la
globalizzazione.

Parola
chiave è auto-organizzazione, e unità. Bisogna essere solidali per agire
insieme. Se all’interno del sistema legale non vi è spazio per fare sentire la
propria voce, si tratta di andare al di là della legge. Creare reti di aiuto e sostegno, attivare
movimenti all’interno della società civile, documentare gli atti di violenza,
manifestare insieme per fare sentire la propria presenza. Si portano a
conoscenza gli esempi migliori di cooperazione: le proteste del CISPM contro le
violenze perpetrate ai confini dell’Europa, il progetto “AlarmPhone”, il numero di assistenza che permette
di mettere in contatto gli attivisti con i migranti sul Mediterraneo e di poter
chiedere aiuto in caso di emergenza.

Si
tratta di intervenire contro l”ideologia della Fortezza Europa e i guardiani
dei suoi confini: questi, è evidente, non sono più in grado di fermare i
movimenti che spingono alle porte.

Si
tratta di documentare gli atti di violenza, di fare sentire la propria protesta
contro la situazione di emergenza dei profughi che aspettano di poter
attraversare i confini nei Balcani, delle migliaia di migranti che vivono in
condizioni catastrofiche in campi come quello di Calais, di quei rifugiati che
vengono rimpatriati in paesi come l’Afghanistan, che sono ben lontani
dall’essere sicuri.

Alla
fine della Conferenza le organizzazioni si danno nuovi appuntamenti. Centinaia
di manifestazioni sono previste in diverse città europee. L’appuntamento
principale è però quello per l’anno prossimo a Berlino, per un nuovo incontro internazionale
nella speranza di poter scambiare esperienze sulla base di successi raggiunti.

È
un movimento di giustizia sociale che cresce e non può essere governato con le
vecchie regole. È la società civile che si organizza e i confini giuridici non
bastano a descriverla. È il mondo che chiede di cambiare. Perché il mondo è
uno. E il passato non è passato. Che si voglia riconoscere in queste migrazioni
un” opportunità o che vi si veda una minaccia per il proprio «benessere».

[GotoHome_Torna alla Home Page]

Native

Articoli correlati