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Hillary, Bernie, e il viaggio dell'eroe

'Avevamo tutto previsto perché era una sceneggiatura: la corsa truccata delle primarie come non l''avete mai vista [Simone Santini]'

Hillary, Bernie, e il viaggio dell'eroe
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27 Luglio 2016 - 21.00


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di Simone Santini.


AGGIORNAMENTO DEL 27 LUGLIO 2016

L”articolo che qui riproponiamo è stato pubblicato la prima volta l”8 giugno 2016. Ora riprende una sorprendente attualità.

La politica, ovvero la vita reale, ci ha provato in tutti i modi a guastare la festa della Convention democratica. Ma non è bastato lo scandalo delle e-mail, che ha dimostrato come le primarie fossero state una carnevalata col trucco; non sono bastate le manifestazioni e le rimostranze rumorose dei sostenitori di Bernie Sanders contro il loro stesso beniamino, reo di averli traditi.

Alla fine, Bernie “l’antagonista buono” ha dimostrato tutta la sua pochezza, politica e umana, quando in prima persona ha invocato l’acclamazione di Hillary nella notte della sua incoronazione a candidata ufficiale del partito democratico alle presidenziali di novembre.

La platea, come nei migliori finali da film, grondava commozione ed emozione. Tutta roba finta, emozioni da popcorn e coca-cola. Ma questo bastava, questo chiedeva lo “spettatore”.

La drammaturgia, alla fine, l’ha spuntata ancora una volta, come avevamo previsto un paio di mesi fa. Chissà se a novembre vedremo lo stesso film o un film diverso?

Intanto buona lettura.

Hillary, Bernie, e il viaggio dell”eroe 

Nei film c”è un antagonista buono e uno cattivo. Il buono è spesso burbero e stravagante e si mette in contrasto nel primo sviluppo del plot con l”eroe

di Simone Santini – 8 giugno 2016 23:07

.

In ogni film che si rispetti c’è un
antagonista buono e un antagonista cattivo.

L’antagonista buono è spesso un tipo burbero
e stravagante che si mette in contrasto nel primo sviluppo del plot con l’eroe, il protagonista del
film. Eppure, benché sia chiaramente un antagonista di colui che amiamo fin
dalle prime scene, l’eroe appunto, esso non ci desta mai antipatia ma su di lui
aleggia un’aurea benevola e simpatica. La sua capacità più straordinaria è
quella di mettere in luce i fatal flaw,
i lati d’ombra, dell’eroe, non per enfatizzarli quanto piuttosto per
esorcizzarli e renderli “umani”. Permette all’eroe di confrontarsi con il
proprio demone oscuro, superandolo e sublimandolo.

Ad un certo punto però, nel punto di snodo
della parte centrale della trama, l’eroe si affranca dall’antagonista buono e
prende il sopravvento su costui che gli riconosce cavallerescamente la
superiorità morale per combattere contro l’antagonista cattivo, il comune nemico
che nel frattempo ha continuato a stagliarsi minaccioso sullo sfondo.
L’antagonista buono, da “guardiano della soglia” si può trasformare addirittura
in “mentore”, colui che allena e istruisce l’eroe e lo spinge all’avventura,
diventando un elemento decisivo per la vittoria finale sull’antagonista, la
vera “ombra” (shadow) della storia.

Non è difficile ritrovare questo schema
drammaturgico nella vicenda delle primarie americane in campo democratico.
Hillary Clinton e Bernie Sanders incarnano perfettamente gli archetipi
descritti da Chris Vogler nel suo fondamentale “Il viaggio dell’eroe”, il manuale di base su cui si
formano tutti (e dico tutti) gli sceneggiatori di Hollywood.

Applicare tali schemi alla dialettica
politica consente agli spin doctor di
ridurre tutta la narrazione ad un frame
perfettamente controllabile e già interiorizzato, anche a livello inconscio,
dagli spettatori-elettori che lo hanno già visto svolgersi in migliaia di
storie, tutte diverse ma incredibilmente uguali. Tutte dunque con lo stesso
finale, esaltante e consolatorio, in cui il buono vincerà contro il cattivo.
L’elettore-spettatore sa già qual è il finale e non potrà fare di testa sua.
Non potrà scrivere un finale diverso. Non distinguerà la realtà dalla finzione.
Anzi, sarà lui stesso a desiderare, con tutte le sue forze, quel finale che già
vive dentro di sé e scalcia ansiosamente per uscire fuori.

Si possono fare molte considerazioni
politiche, tutte corrette, del perché Bernie Sanders attenda ancora per
incoronare definitivamente Hillary Clinton quale candidato democratico alla
presidenza. Magari aspetta di sapere come finiranno le sue vicende giudiziarie
(lo scandalo delle e-mail) oppure vuole fino alla fine prendersi ogni delegato
per arrivare alla convention di Philadelphia e buttare sul piatto tutto il suo
peso politico per influenzare la futura Amministrazione.

Ma se non si fanno i conti con la drammaturgia,
tali analisi politiche non appariranno comunque in grado di illuminare il succo
della vicenda. Alla convention verrà tributato a Sanders un grande onore, come
ogni antagonista buono si merita, farà un discorso molto di sinistra che
infiammerà la platea. Poi abbraccerà Hillary e le consegnerà tutti i suoi
delegati. Chissà, magari gli sarà offerto pure il ticket della vice-presidenza (la trasformazione in mentore).

Ma la narrazione, quella vera, non è stata
scritta da Bernie. È stata scritta da uno come Chris Vogler e lui l’ha solo
interpretata.

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