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Zuckerberg vuole prendersi anche i soldi della tv

Dall’intelligenza artificiale ai nuovi format video, ecco come Facebook si sta muovendo per invadere il campo di vecchi e nuovi media. E arrivare ovunque.

Zuckerberg vuole prendersi anche i soldi della tv
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27 Febbraio 2017 - 10.27


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di Federico Gennari Santori

Il 2016 sarà ricordato come un annus mirabilis
per Facebook. I ricavi dell’azienda hanno sfondato la soglia di 27
miliardi di dollari, con un tasso di crescita su base annua superiore al
51%. Mentre gli utenti attivi mensilmente sono ormai più di 1,86
miliardi. Ce ne sarebbe abbastanza per ritirarsi a vita privata. O,
quanto meno, per festeggiare e concedersi una pausa. Invece il 32enne
fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, non canta vittoria. Anzi,
avverte: «Rallenteremo». Perché essere i migliori sul mobile non basta
più. Il mercato delle inserzioni pubblicitarie – che negli ultimi tre
mesi hanno fruttato circa l’82% dei ricavi – potrebbe raggiungere la
saturazione.

Così durante la presentazione dei dati dell’ultimo trimestre 2016,
Zuckerberg ha parlato dei programmi per il futuro: sistemi di analisi
dei dati più affidabili, nuovi format per l’advertising, contenuti video
più complessi. E un impiego massiccio di tecnologie di intelligenza
artificiale. Annunci che mostrano come a Menlo Park stiano mettendo a
punto una strategia per ampliare il modello di business. Per fare di
Facebook qualcosa di più di un social network.

Dopo il mobile first

Facebook è riuscito meglio di chiunque altro a
strutturare le sue funzionalità in modo che assecondassero in pieno
l’utilizzo da smartphone e la tendenza video-centrica assunta dal web.
Investimenti coraggiosi hanno messo il social network nelle condizioni
di offrire soluzioni per la pubblicità su dispositivi mobili assenti
altrove e di raggiungere la cifra di oltre 8 miliardi di visualizzazioni
di video al giorno. Dopo tre anni di crescita vertiginosa, però,
qualcosa rischia di incepparsi.

La stragrande maggioranza degli avvisi (i cosiddetti post sponsorizzati)
compare nel News Feed, la bacheca in continuo aggiornamento sui cui
vedere l’attività degli amici e delle pagine seguite. Facebook l’ha
spremuta come un limone: ora servono spazi nuovi. Ma non solo. Perché
nell’era del native advertising, gli spot devono essere targhettizzati nel dettaglio e ben integrati con i contenuti non sponsorizzati.
Per non dare agli utenti l’impressione di essere soggetti a un
bombardamento e calarli in un flusso continuo, all’interno del quale
risulti sempre più difficile distinguere tra cosa è pubblicità e cosa
no. Proprio in questa direzione vanno i piani di Zuckerberg.

Un algoritmo intelligente

Quante volte vi è capitato di ritrovarvi il News Feed
inondato di contenuti che non ritenevate interessanti sebbene avessero
moltissimi Like, commenti e condivisioni? Probabilmente molte. Spesso
Facebook ha dovuto rimettere mano al suo algoritmo, il sistema che
stabilisce cosa, quando e perché ogni singolo utente vede sulla sua
bacheca – in base agli interessi che manifestiamo utilizzando la
piattaforma e, soprattutto, a ciò che ottiene più interazioni da parte
dei nostri amici. L’intelligenza artificiale permetterebbe di
fare un passo in più, cogliendo nelle attività degli utenti aspetti
caratterizzanti a cui l’attuale algoritmo non può risalire.

Facebook dispone già di strumenti per il riconoscimento di volti e oggetti
all’interno delle foto. Basterebbe estenderli ai video e usarli per
analizzare qualitativamente che cosa un utente vede, senza bisogno di
aspettare l’eventuale Like, che potrebbe non arrivare mai. Nel tempo –
grazie al machine learning, la capacità dell’algoritmo di
imparare dall’esperienza affinando le sue capacità – si potrebbe
raggiungere una conoscenza di interessi, gusti e inclinazioni degli
utenti ancor più profonda e tarata sull’identità del singolo individuo.
Che consentirebbe all’algoritmo di mostrare agli utenti contenuti
organici attinenti, seppur non “condivisi” con i loro amici, e –
ovviamente – spot più efficaci. Liberando spazio sulla bacheca
personale di molti altri utenti che sarebbero rientrati in un target
meno specifico.


Il potere dei numeri

Ma forse a Menlo Park stanno correndo troppo. Più di una volta il Facebook ha ammesso di aver erroneamente gonfiato dei numeri, confermando i dubbi di advertiser
e agenzie pubblicitarie che ritengono le metriche del social network
non affidabili. Un esempio? Sono conteggiate visualizzazioni di video
della durata minima di tre secondi, un intervallo di tempo che non
lascia spazio a valutazioni qualitative sull’efficacia di un filmato,
tanto più con l’auto-play (l’impostazione che lo fa partire
nell’esatto momento in cui compare davanti agli occhi dell’utente). In
sostanza, Facebook potrebbe mostrare che un video è stato visto da 10
mila persone, 8 mila delle quali lo hanno soltanto fatto scorrere sulla
propria bacheca senza soffermarsi. Inducendo a ritenere un contenuto del
genere più performante di uno che ha la metà delle visualizzazioni ma
una durata tripla.

Mark Zuckerberg è recentemente corso ai ripari
mettendo in piedi collaborazioni con una ventina di agenzie
specializzate tra cui Nielsen, che hanno ottenuto l’accesso ai database
per fornire agli advertiser metriche che siano monitorate da
terze parti. Nuovo di zecca è anche Marketing Mix Modelling, uno
strumento che permette di comparare le prestazioni della pubblicità su
Facebook con quella su stampa, tv e siti web.

Soldi per gli utenti

Altre rimostranze sono da tempo oggetto di riflessione
negli uffici di Menlo Park. I produttori di contenuti, in particolare
video, che macinano milioni di visualizzazioni si domandano: perché
Zuckerberg non ci paga neanche un dollaro? Un social network vive di
relazioni, ma anche dei contenuti che contribuiscono ad alimentarle.
Guai se delle star o alcuni grandi brand decidessero di boicottare la
piattaforma. Fino a oggi, del resto, Facebook ha permesso ai suoi utenti
soltanto di spendere, non di guadagnare. Ed è tempo di risolvere il
problema. Il modello è quello già sperimentato con gli Instant Articles
(contenuti di un sito web pubblicati direttamente su Facebook per
annullare i tempi di caricamento), su cui i ricavi della vendita degli
spazi pubblicitari vanno per il 70% a editori e giornali, mentre il
social network trattiene il restante 30%.

Presto nei video saranno probabilmente introdotti dei pre-roll, gli stacchi pubblicitari che precedono l’inizio di un video su cui YouTube ha costruito il suo business. E, addirittura, mid-roll:
pubblicità non prima, ma durante i video, che apparirà soltanto dopo
almeno 20 secondi di visualizzazione. Gli spazi dovrebbero essere
venduti agli inserzionisti dallo stesso Facebook, lasciando il 55% degli
introiti ai proprietari, proprio come su YouTube. Nel 2016, inoltre,
Facebook ha pagato media company come Vox Media e influencer
perché pubblicassero video esclusivi sulla piattaforma o utilizzassero
il suo strumento di video streaming in diretta. A chiudere il cerchio,
quella che Zuckerberg ha chiamato Video Tab, una nuova interfaccia per
favorire la visualizzazione e, soprattutto, la ricerca di video da parte
degli utenti, al momento disponibile negli Stati Uniti.

Il tempo è tutto

«La nostra priorità restano i video brevi», ha
ricordato Zuckerberg agli investitori: quelli che si prestano
maggiormente a essere visualizzati e condivisi da parte degli utenti,
nonché i più diffusi. Ma intende aprirsi a format diversi. Perché anche
dal tempo trascorso dagli utenti sul social network dipende la
possibilità di ricavare nuovi spazi pubblicitari. In fondo, la fetta più
grossa del mercato spetta ancora alla televisione perché è il medium
più usato: negli Stati Uniti, secondo Nielsen, per ben 4 ore al giorno
contro una soltanto trascorsa su internet.

La cara vecchia tv, del resto, ci mostra contenuti di ogni tipo
a qualunque ora e dalla durata interminabile, in una trasmissione di
immagini che non si interrompe mai se non per le frazioni di secondo
richieste dall’eventuale cambio di canale. Un’esperienza del genere su
Facebook è ancora impossibile, come per il momento lo è vedere qualcosa
che ricordi un film o uno spettacolo, a meno che non si tratti di una
diretta. Sarà per questo che l’azienda avrebbe modificato l’algoritmo
per premiare la visibilità nella News Feed di video lunghi e starebbe
trattando con alcune media company per la creazione di show televisivi
da trasmettere direttamente sulla piattaforma. In vista dei quali è già
stata lanciata un’app per vedere i video di Facebook anche sul
televisore attraverso dispositivi come Apple Tv.

Tutto purché si condivida

Primo, stimolare l’attività degli utenti, da cui
ricavare dati utili per la targhettizzazione. Secondo, implementare
strumenti che permettano di creare nuovi spazi pubblicitari. I due
obiettivi di Facebook si realizzano occupando ogni istante della vita
degli utenti. Una strategia che Zuckerberg ha perseguito integrando il
profilo Facebook con quello di Instagram, acquisito nel 2012 per un
miliardo di dollari, e trasformando la chat nell’app dedicata Messenger,
all’interno della quale cominceranno presto ad apparire degli spot. Ma
l’intervento più significativo in questo senso è stata la recente
introduzione delle dirette streaming e poi delle Storie
(contenuti multimediali della durata di pochi secondi, che si
autodistruggono entro 24 ore), che stanno cambiando radicalmente le
modalità di utilizzo di Instagram e potrebbero arrivare anche su
Facebook.

Zuckerberg lo ha ammesso: ha copiato di sana pianta Snapchat,
l’app che spopola tra i teenager e, attraverso le Storie, ha introdotto
un nuovo modello di advertising basato su avvisi promozionali non
invasivi. Che non risultano mere interruzioni della visione di un
contenuto – come i pre-roll – perché compaiono tra miriadi di
Storie che gli utenti “sfogliano” sul proprio smartphone: un flusso
continuo, che quasi ricorda quello della tv. Ma ispirati a Snapchat sono
anche i filtri in realtà aumentata per foto e video (quelli che fanno
spuntare agli utenti orecchie da cane, denti da coniglio e altro)
attivati su Messenger, tra cui un domani potrebbero apparire maschere
brandizzate. Capaci di far assomigliare l’utente che si inquadra in un selfie a un Big Mac o a una lattina di Coca-Cola.

Molto più di un social network

Gli annunci e i rumors degli ultimi mesi parlano chiaro.
Le tecnologie di intelligenza artificiale per il riconoscimento di visi
e oggetti serviranno a dotare la piattaforma di un motore di ricerca a
sé – già attivo negli Stati Uniti per le foto – simile a Google Search
ma capace di raccogliere il materiale condiviso dagli utenti. E tutte le
novità riguardanti il comparto video, dalle dirette agli show passando
per pre-roll e mid-roll, mostrano come il colosso stia
lavorando per tramutarsi in una piattaforma multimediale, capace di
competere anzitutto con YouTube. Ma un domani anche con la televisione
tradizionale e con servizi come Netflix. I già citati Instant Articles e
il Facebook Journalism Project, infine hanno lanciato da tempo
l’offensiva su editori e giornali. Per non parlare della
cannibalizzazione di Snapchat.

Chissà per quanto Zuckerberg continuerà a sostenere
che Facebook non è anche una media company – mentre copia i concorrenti e
imita, a volte sfidandoli, i media tradizionali come stampa e tv. E il
prossimo obiettivo? Spostare ciò che oggi è fuori, dentro la
piattaforma. Cercando di ricreare al suo interno qualcosa di
paragonabile al web stesso nella sua interezza, ma sotto l’egida di un
privato. Perché la vocazione di Facebook è solo una: l’onnipresenza.

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