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Il problema del calcetto

Poletti: ha detto la verità. Peccato che ci siano due o tre questioni grandi come montagne, dietro. [A. Gilioli]

Il problema del calcetto

Redazione Modifica articolo

30 Marzo 2017 - 04.24


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di Alessandro Gilioli

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Ovviamente, Poletti ha ragione. In termini di lettura del reale, dico: cioè del Paese di cui è ministro. Le amicizie e le relazioni, nell”Italia del 2017, sono molto più utili a trovare un lavoro rispetto a un buon curriculum, agli studi, all”impegno, allo sforzo, agli skill acquisiti. E “giocare a calcetto” può consentirti di allargare la tua rete di relazioni.

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Se quindi ci si limita alla constatazione dello stato delle cose, c”è poco da arrabbiarsi con Poletti: ha detto la verità.

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Peccato che ci siano due o tre questioni grandi come montagne, dietro. Che cagionano ragionevolmente furia nei confronti del Poletti medesimo, o quanto meno delle sue frasi.

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Primo, se la dinamica purtroppo è questa – cioè che per trovare un lavoro le relazioni sono purtroppo più importanti degli skill – un politico decente non se ne compiace per nulla.

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Anzi la denuncia.

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La indica con ogni forza come un modello sbagliato, da lasciarsi alle spalle. Invoca quindi una rivoluzione del modo di pensare di tutti. Chiede agli imprenditori privati di assumere per capacità e non per conoscenze. Agisce fattivamente perché lo stesso avvenga nelle università e nel pubblico in generale. Chiede a tutta la società di valorizzare le capacità, gli sforzi, gli studi, le esperienze: non le relazioni amicali o familiste. Anzi accusa il familismo e il clanismo come un male sociale, come un cancro subculturale da estirpare: non come una cornice a cui adeguarsi.

Poletti è un ministro: non un sociologo, né un giornalista. Il suo compito quindi dovrebbe andare un po” oltre la presa d”atto compiaciuta di una dinamica distorta e (incredibile) l”invito ad adeguarvisi. Dovrebbe essere quello di provare a modificare le cose, a migliorarle. Altrimenti che cosa sta lì a fare?

E poi: quello che Poletti non sa o non aggiunge è che non conta tanto giocare a calcetto in sé, ma soprattutto con chi giochi a calcetto.

Già: le relazioni contano – purtroppo – e contano così tanto che poi a decidere il tuo destino è spesso la qualità delle relazioni che hai, fin da ragazzo. È improbabile che la rete di rapporti allacciata in un cortile di periferia – figli di sottoproletari, di immigrati e magari perfino di zingari – sia pari a quella di chi a calcetto gioca con figli di imprenditori, professionisti, politici, alti boiardi pubblici o privati.

Ed è proprio questo il punto: il famoso ascensore sociale bloccato. Bloccato proprio dal tipo di relazioni che hai. E se conosci quelli giusti – per origine familiare, per quartiere in cui abiti, per contesto economico – il tuo punto di caduta nella società sarà comunque più elevato. E le tue difficoltà nella vita saranno comunque minori. Molto minori. Proprio per via di quelle relazioni.

Il che è tanto più vero in un quadro in cui – per la crisi economica, per la sparizione dei corpi intermedi, per la desertificazione del welfare – le relazioni contano sempre di più, quasi restano solo quelle. A ogni livello: per trovare un posto di lavoro così come per ottenere una Tac. E ci si divide, con vari gradi, tra chi conosce e chi no. Con grande – e non ingiustificato – livore di questi ultimi verso i primi. Che poi sono i famosi dimenticati, i “forgotten” che si vendicano scegliendo ogni contro nelle urne.

Non so se Poletti aveva presente tutto questo, nell”invitare i ragazzi a concorrere nella gara di relazioni, anziché a sovvertire la piramide sociale basata sulle relazioni.

Non credo che se ne sia reso conto, no. E forse questa stolida incoscienza è perfino peggiore – e più pericolosa- della cattiveria.

(28 marzo 2017)

[url”Link articolo”]http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/03/28/il-problema-del-calcetto/[/url] © Alessandro Gilioli © L”Espresso.

Infografica © Fabio Cimaglia / LaPresse.

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