di Turi Comito.
Mi sono fissato con Sanremo. Ormai, a cena, se non lo vedo non mangio. Mi fa molto riflettere. Ieri sera ad esempio, dopo avere visto l’ultra novantenne svolazzare in aria come Heather Parisi quando aveva dodici anni, volevo suicidarmi. Poi ho rinunciato perché avevo sonno e sono andato a dormire.
Stasera invece mi sono visto il monologo di Pippo Baudo.
Ovvero: applausi, ovazioni, commoventi ricordi, aneddoti strappalacrime e strapparisate, scoperte inaudite (la Hunziker fidanzata durante l’iniziale eterna gioventù con un barbiere catanese), ringraziamenti di massa e personalizzati.
E mi sono messo a pensare.
Qualcuno potrà scambiare l’intervento di Baudo come autocelebrazione. D’altra parte è stato presentato dal delicatamente legnoso Baglioni come la personificazione stessa della televisione.
Io no.
Io ci ho visto la celebrazione non di un (a modo suo) mattatore ma quella di un modo di essere collettivo, nazionale. Cioè la celebrazione di una stagione sociale e politica dell’Italia. La, non sempre da buttare, Italia democristiana.
Pippo Baudo non è quindi la personificazione della TV. Piuttosto è la personificazione dell’Italia della Democrazia cristiana nella speciale forma dello spettacolo di massa.
La storia raccontata da Pippo Baudo è la metafora di un pezzo di storia recente e importante d’Italia.
Pippo, il giovane benestante di provincia che vuole diventare divo è la metafora di una Italia che da contadina vuole diventare industriale. Che vuole e forse pretende una identità nazionale e internazionale nuova.
Pippo che corona il sogno di presentare Sanremo è la metafora di un ascensore sociale che funziona, magari non perfettamente, ma funziona: braccianti che diventano operai e figli di operai che diventano medici e ingegneri (e cantanti e attori magari).
Pippo che accoglie negli show che conduce con autorità e crescente autorevolezza tutti ma proprio tutti (compresi i comunisti e cita, all’uopo, l’ex comunista Benigni) è la metafora di una Democrazia Cristiana che dirige con pugno di ferro lo Stato ma non esclude nessuno. Anzi, offre e chiede collaborazione a tutti per fare funzionare il sistema.
Pippo che racconta di avere “cacciato” Armstrong dal palco perché si sta prendendo troppo spazio è la metafora di una Dc amica degli Stati uniti ma che non si sente sua serva (e viene in mente il camaleontico Andreotti a questo riguardo e, meglio ancora, un altro democristiano: Enrico Mattei).
Ad ogni citazione, ad ogni aneddoto, una valanga di applausi e un pubblico che urla “Pippo, Pippo”.
Un Pippo oggi incanutito ma orgoglioso (anche dei suoi capelli bianchi che non tinge più) che commuove, fa sorridere, fa ricordare e che viene osannato è la perfetta metafora del vuoto politico lasciato dalla Democrazia Cristiana che da tanti, magari avanti con l’età, è nostalgicamente rimpianto e da tanti più giovani vagheggiato.
Una specie di età dell’oro che ha lasciato il posto al caos controllato della iper modernità con la perfezione indisponente impersonata da una inutilmente sempre allegra eterna ragazza bionda, da un attore di medio talento che non riesce a fare ridere e da un bravo cantante, un poco incartapecorito ormai, che tenta di fare del suo meglio ma che, alla fine, riesce solo in una cosa: fare rimpiangere Pippo Baudo.
Cioè l’età della Democrazia cristiana.
Fonte: https://www.facebook.com/turi.comito/posts/10213201290700789.