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C'è la prova: siamo tutti "negri" (ma sui social non si può dire)

Il politicamente corretto si è impossessato anche degli algoritmi e di Mark Zuckerberg. [Massimiliano Parente]

C'è la prova: siamo tutti "negri" (ma sui social non si può dire)
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14 Febbraio 2018 - 09.18


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di Massimiliano Parente*

Non è che sia una novità, la notizia data dal Guardian riguardo al cosiddetto Cheddar Man: ossia l’analisi del genoma di un inglese vissuto diecimila anni fa, il quale aveva la pelle scura e gli occhi blu.

È infatti un dato ormai confermato da anni di studi che tutti noi europei, solo fino a ottomila anni fa, avevamo la pelle scura. Siamo tutti originari dell’Africa (e le ondate dell’Out of Africa sono state diverse nell’arco di decine di migliaia di anni), e dunque nella storia di Homo Sapiens, che ha duecentocinquantamila anni, il cambiamento del colore della pelle è recentissimo.

Tra le molte conferme del DNA, nel 2015 ci fu anche quella dell’American Association of Physical Anthropologists, dove venne identificata la mancanza di due geni, l’SLC24A5 e SLC45A2, che portò alla depigmentazione della pelle e a diventare bianchi. Altre cause della depigmentazione furono la sintesi della vitamina D in seguito al cambiamento della dieta, originariamente a base di pesce: la pelle si schiarì per produrla attraverso i raggi UVA, mentre in Africa era darwinianamente più vantaggioso proteggersi dai raggi solari con una pelle scura.

In generale si fa un gran parlare e sparlare di razze e razzisti, malgrado la variabilità genetica fra individui sia superiore a quella tra popoli. Il vostro genoma può essere più lontano da quello di vostra moglie che da quello del senegalese che vuole vendervi i calzini. Viceversa ci sono le differenze culturali: se non si può essere razzisti in quanto non esistono le razze, si può essere contro le molte culture, ma questo è un tabù della sinistra e del relativismo culturale. Tutte le culture, secondo i radical chic, vanno rispettate. Per cui se un musulmano impicca un omosessuale in Italia è un assassino, se ne impiccano decine in Iran è una cultura. Silvio Berlusconi anni fa venne lapidato perché affermò la superiorità della cultura occidentale, eppure aveva ragione: la stessa Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo è occidentale e figlia dell’Illuminismo, mica turca o congolese.

Ma il politicamente corretto si è impossessato anche degli algoritmi e di Mark Zuckerberg. Ieri [ndr: 7 febbraio], per esempio, avevo scritto uno status su Facebook proprio sulla questione della pelle, ossia: «Il razzismo è assurdo perché Homo Sapiens ha 250mila anni e fino a 8000 anni fa avevamo tutti la pelle scura. Dei neri primitivi si sono mutati in bianchi contro altri neri, quindi la causa del razzismo è nostra, dei negri». Bene, Facebook mi ha bloccato per una settimana, scambiandolo per un post razzista (gli algoritmi non conoscono l’ironia): non posso più scrivere status, non posso rispondere a messaggi privati, non posso neppure disiscrivermi dai gruppi ai quali vengo iscritto da altri. Paradossalmente, per aver scritto uno status contro l’idea della razza, potrebbero iscrivermi nel frattempo a un gruppo nazista e non potrei togliermi, perché sono stato messo in punizione da quel bianco ex negro di Zuckerberg.

Malgrado siamo tutti su Facebook dalla mattina alla sera, non esiste una mail, non esiste un call-center, non esiste nessuno con cui protestare: Facebook fa miliardi con i nostri account, ma non c’è un servizio assistenza se l’errore lo fanno loro, veri fascisti, tanto che possono chiuderti l’account anche solo per segnalazioni anonime, come accadeva nel Ventennio, dovrebbero chiamarlo Fascio-book.

In generale, però, credo che il problema non sia il razzismo, ma il classismo. Da esperimenti fatti sulle reazioni istintive cerebrali, per esempio, risulta che un bianco prova sentimenti negativi se gli viene mostrato un uomo dal colore della pelle diversa, ma non ne prova affatto se è una persona che conosce o a cui riconosce uno status. Significa che se ci fate vedere un nero qualsiasi, noi reagiamo con un senso di diffidenza istintivo, ma se ci mostrate una foto di Samuel Lee Jackson, Denzel Washington o Magic Johnson, questa reazione negativa dell’amigdala non scatta, anzi. Certo, si può anche dire che noi dall’Africa ce ne siamo andati, mentre chi ci è rimasto fino a oggi è rimasto un negro. Come noi, diecimila anni fa, quando siamo diventati bianchi sterminando i Neanderthal. Perché siamo veramente stronzi, noi negri.

 

*L’articolo è stato pubblicato l’8 febbraio scorso su ilGiornale.it. Ringraziamo l’autore per averci consentito di riprenderlo qui.

 

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