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Se Europa è singolare come lo è Asia o Africa o America, questo certo non dice come ritagliarla e ricucirla politicamente. [Pierluigi Fagan]

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4 Agosto 2018 - 07.15


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di Pierluigi Fagan

 

“La natura non stabilisce dei fatti: questi appaiono solo nelle frasi ideate dagli esseri umani per riferire su quella ragnatela continua e senza giunture che costituisce il mondo reale che li circonda”, così Walter J. Ong, il gesuita americano il cui “Oralità e scrittura”, ha segnato profondamente gli studi linguistico-culturali. La realtà è un indistinto complesso che noi tagliamo in pezzi a piacere per poi ricucirli in qualche modo, sempre a piacere sebbene i gradi libertà di questo vago “a piacere” siano poi condizionati dal fine ultimo della cosa che si vuole fare.

Stamane, appena aperta la pagina on line di Repubblica, ho letto il titolo di un pezzo di M. Cacciari e son sobbalzato “Prepariamoci alle Europe” in cui l’occhiello continua con “Serve una nuova strategia per l’Unione…”. Il mio inconscio mi ha fatto leggere nel titolo “Europe”, che subito ho confermato a me stesso pensando a “Geo-filosofia dell’Europa” ed a “L’Arcipelago” del filosofo veneziano. Ecco, ho pensato, finalmente gli è venuto a mente che l’arcipelago è plurale e plurale è la geografia che fa da base alle diverse storie e finalmente ne ha dedotto che se Europa è singolare come lo è Asia o Africa o America, questo certo non dice come ritagliarla e ricucirla politicamente.

Già nell’originario arcipelago greco da cui traeva ispirazione il Cacciari le circa 1500 poleis si univano in più unioni (che si chiamavano anfizionie, ad esempio quella di Delfi con Sparta e quella Delio-Attica con Atene). La natura plurale della geo-storia europea, la sua natura di arcipelago di isole non isolate, non può portare ad Europa, almeno in prima istanza, ma ad Europe! Purtroppo era tutta farina del mio inconscio, il titolo reale, riletto era un ben più deludente “Prepariamoci alle Europee” cioè alle prossime elezioni primaverili.

Chi ha approcciato per primo il problema Europa nel dopoguerra lo ha fatto non pensando ad una unione politica ma economica. Ora, una unione economica ha una sua natura ampia poiché più sono i soggetti che mettono assieme i loro mercati, meglio è per tutti. Quando poi pensi di trasformare una unione economica in politica ti trovi nei guai. Non ricordo dove ho letto di una gentildonna che per le sue cene conviviali invitava sempre e solo sei persone. La signora aveva scoperto che per sviluppare reciproca conoscenza attraverso un discorso collettivo, sei era il limite massimo oltre al quale la compagnia si divideva in sottogruppi, coppie, triplette che se ne andavano ognuno per propri conto. Cena non più di sei ed evidentemente con qualche tratto in comune perché se metti a tavola un fissato di calcio ed uno di geopolitica è difficile troveranno modo di tagliare e ricucire lo stesso argomento comune, con la stessa logica. Una unione economica è più simile ad un party, una unione politica è più simile ad una cena seduti e conversanti per un certo tempo, e sono due logiche diverse, in tutta evidenza. Quelli che inviti ad un party non sono quelli che inviteresti ad una cena che non sono quelli con cui andresti in vacanza.

Dal fatto che Europa si è tagliata e ricucita come sistema economico che domina il politico e data l’evidente impossibilità di trasformare un consesso economico in politico poiché questi hanno presupposti, convenzioni e sopratutto fini del tutto diversi, come li hanno una cena ed un party, è nata la reazione del ritorno alle nazioni con pieno recupero della natura decisionale del politico: la sovranità. Ma, come appare evidente, questa idea nasce in risposta all’altra. L’altra però non nasceva solo da questioni di libera volontà di tagliare e cucire lo spazio in un certo modo, nasceva anche in risposta al problema di come permettere ai frazionatissimi stati europei, di usufruire di un “totale maggiore della somma delle parti”, visto che il mondo non era più “europeo” ma planetario.

La logica che ha formato lo stato-nazione europeo risale al XVI secolo ma a quei tempi eravamo tutti presi solo dal problema della nostra convivenza reciproca. Nel XX e viepiù XXI secolo, i problemi di convivenza reciproca prendono un aspetto secondario rispetto ai problemi di convivenza, competizione e cooperazione planetaria. Se dunque il ritorno alla nazione ben risponde al problema del ripristino dell’ordinatore politico rispetto al party economico dell’Unione, non risponde affatto al problema della convivenza nel più ampio scenario mondiale, problema a cui non risponde neanche l’attuale Unione poiché il problema della convivenza mondiale è politico mentre l’Unione è un soggetto economico o forse più un oggetto che un soggetto, non essendo dotato di intenzionalità che non sia l’astratto richiamo al libero commercio globale.

Va bene, prepariamoci alle “europee”. Io lo farò continuando a sostenere progetti a guida politica e non economica, progetti plurali e non singolari (Europe vs Europa), geo-storici e non metafisici o economico-finanziari-valutari, cene permanenti e non party occasionali tenendo bene a mente la complessità di soddisfare al contempo molte variabili: la sovranità politica che certo non annulla i problemi di dimensione economica e non solo economica, la democrazia delle decisioni sulla politica della comunità, la convivenza interna all’Europa, ma sopratutto quello che oggi s’impone come il fine ultimo ovvero la convivenza planetaria con altri soggetti politici massivi che hanno loro altri disegni su come tagliare e cucire il mondo e con i quali ci sarà – quantomeno – da discutere, forse animatamente.

Insomma, voterò per chi propone più Europe.

(3 agosto 2018)

 

 

 

 

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