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di Fulvio Lo Cicero – dazebao.org
Incarichi dati in prossimità della mezzanotte a docenti precari sfiniti, uffici scolastici al collasso. La “riforma” Gelmini produce i suoi primi nefasti effetti
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ROMA – «Un settembre così penso che me lo ricorderò per tutta la vita» dice una preside (venti anni di carriera alle spalle). Gli uffici di segreteria ingolfati come non mai, un nugolo di precari che chiede i certificati di servizio, magari di anni trascorsi e sperduti, di cui l”ufficio deve avere la documentazione.
Intanto si devono mandare a termine gli esami di riparazione. Non si chiamano più così (furono ufficialmente aboliti da uno dei tanti ministri-meteora, di cui non ci si ricorda più neppure il nome, D”Onofrio) ma praticamente sono rispuntati come prima. Gli alunni con debiti formativi hanno seguito un corso di recupero a luglio, poi sono andati in vacanza ed adesso devono dimostrare di avere recuperato. Ma ovviamente mancano i docenti. Molti di quelli che hanno dato il debito non ci sono più, persi nei tortuosi percorsi del precariato. I docenti nominati per quest”anno devono vedersela con i loro alunni della scuola passata e quindi non possono fare gli esami nella nuova scuola di destinazione.
Nei primi collegi dei docenti, i presidi hanno preso la parola, come sempre, hanno augurato a tutti un buon anno scolastico ed hanno aggiunto: «Se proprio sarà buono, non saprei. Avrete classi affollatissime rispetto al passato. Molti dei progetti approvati dovranno essere abbandonati, per mancanza di soldi. E non so come faremo a pagare i supplenti. Comunque, ribadisco i miei auguri. Quest”anno ci vogliono proprio».
È la destra, bellezza! Una destra che, come noto, ha deciso di risparmiare sulla scuola, sull”educazione dei giovani e sul loro futuro e, nonostante ciò, è riuscita a far aumentare la spesa pubblica del 60% negli ultimi otto mesi. I tagli si conoscevano. Fra docenti e non docenti, si perderanno circa 40 mila posti, “il più grande licenziamento collettivo mai attuato nella storia italiana” dicono i sindacati e ribadisce il segretario del Partito democratico, che oggi è salito sul tetto a Benevento insieme agli insegnanti inferociti.
«Ieri sera ho avuto la mia cattedra alle 23,20, all”ufficio di Via Pianciani, l”ex Provveditorato romano» dice un”insegnante di lettere quarantenne, che ha superato tutte le abilitazioni possibili. «Ma temo che sia l”ultima assegnazione della mia vita. Sono molto avanti nel punteggio ma se vogliono licenziare lo possono fare. Non sono di ruolo».
«Io ho avuto due scuole e ringrazio il cielo. Ma l”anno prossimo rischio di non averne nemmeno mezza. La mia materia, diritto ed economia, è stata abolita in tutte le scuole ad eccezione dei tecnici-economici. Una marea di docenti rischia di doversi trovare un altro lavoro a 40 o 50 anni» dice un”altra donna appena giunta nella sua “nuova” scuola («Per me – dice – non ci sono nuove scuole. Le ho girate tutte, a Roma e in provincia. Sono una delle tantissime insegnanti globe-trotter»).
La ministra vuole abolire la piaga del precariato. Già ma non è chiaro come. A coloro che perderanno la cattedra, il Governo ha promesso di utilizzarli con contratti di solidarietà , mediante i quali percepirebbero fino al 70% dello stipendio e sarebbero utilizzati come docenti tappabuchi in sostituzione dei colleghi di ruolo in congedo per motivi di salute. Ma nessuno, fino a questo momento, è in grado di dire se e quando questi contratti si porranno in essere e come possano conciliarsi con i tagli introdotti dal ministro draconiano Tremonti.
Intanto il rigore si riappropria della scuola, perché questa istituzione è stata rovinata dal lassismo della sinistra. È questa una delle tante bugie di questo Governo che, però, ha qualche presa sulle famiglie italiane. Ne è un esempio la questione del ritorno alle ore di 60 minuti, in luogo dei 50 utilizzati fino ad ora soprattutto nei tecnici e nei professionali. Così, afferma il ministro, si recupererà sul monte-ore settimanale (tecnici e professionali passeranno infatti da 36 ore a 32). Ma soltanto la non conoscenza di migliaia di istituti sparsi nelle province e nella fascia appenninica può far ritenere questa una buona soluzione. «Abbiamo fatto un”indagine» dice la vicepreside di un istituto tecnico della provincia romana, «molti nostri alunni, uscendo più tardi da scuola, rientreranno a casa non prima delle tre e mezza, considerando la mancanza di mezzi pubblici dopo le ore 14». Non solo. Ma chi non ha mai insegnato – come il nostro ministro e molti dei suoi consiglieri – «non sa che una lezione di sessanta minuti pieni è improponibile» dice un docente di italiano, «e quasi nessun insegnante riesce a farla, perché l”attenzione degli studenti cala a livelli prossimi allo zero già dopo la mezzora. All”Università nessun docente si sogna di superare i quaranta minuti».
Ma i tagli proseguono, le cattedre scompaiono e ci si avvia verso un autunno dove il conflitto e il disagio sociali potrebbero produrre più di un problema di ordine pubblico.
Fonte: Dazebao.org.
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