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ALTERNATIVA CHIAMA AL LAVORO!

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13 Maggio 2012 - 23.51


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ALTERNATIVA-LAVORO

di AlternativaGruppo “Lavoro”

Non è la solita disoccupazione, questa volta. È un”intera generazione di uomini e di donne che viene sacrificata in una guerra sociale spietata. Per milioni di persone l”avventura della vita adulta passa ora soltanto attraverso brutti lavori o nessun lavoro. Non è una questione contingente ma un divario crescente tra domanda e offerta di lavoro.  

Una società fin qui ordinata dal lavoro, è ora minacciata nelle sue fondamenta dalla nuova regola imposta dal potere: il precariato strutturale. Se nulla cambia, saranno compromessi i destini di intere generazioni. Sarà annichilita la cittadinanza, non avrà più basi la «sovranità che appartiene al popolo». I sovrani rimasti sono gli iniziatori e i complici di questa guerra sociale.

Il loro progetto è lasciar crescere un esercito di riserva di disoccupati che si aggiungono via via nelle mille piccole crisi settoriali e nei mille territori che collassano.

A quel progetto interessa che si gonfi una massa nebulosa di sottoccupati o precari, che galleggia a malapena sul livello medio di sopravvivenza: così è più comodo fare a pezzi il quadro che teneva insieme i diritti conquistati e anche i doveri. Non solo distruggono il futuro personale di milioni di cittadini, non solo impediscono il formarsi di milioni di famiglie, ma compromettono irresponsabilmente la cultura del lavoro italiana. Questi sono gli esiti finali di un progetto di politica economica globale, che in Italia sta realizzando il governo dei cosiddetti “tecnici”.

Un progetto purtroppo chiaro e che scaglia il paese, senza freni, in un precipizio. Ma che dice anche come questa élite di banchieri non è in grado di capire quali cambiamenti radicali sono già avvenuti, che rendono le sue ricette ridicole e pericolose per la collettività.

Solo un cieco avventurismo può ignorare che negli ultimi cinque decenni si è verificato: a) un aumento costante e vertiginoso della produttività; b) che siamo ormai arrivati alla saturazione consumistica che ci obbliga a lavorare in modo parossistico per produrre il superfluo; c) che sono emersi i limiti ambientali con i relativi segnali di collasso; d) che il mondo è ormai pieno di qualche miliardo di nuovi produttori non più rapinabili e ormai in grado di difendersi.

Tornare indietro è impossibile.

Ci annunciano che i tempi sono cambiati e che “nulla sarà come prima”. Ce ne siamo accorti da soli.

Ma sono proprio loro che non vedono ciò che è già accaduto. Per questo partoriscono l”ideuzza del mettere “ordine nei conti pubblici”, ignorando che ciò produce disordine sociale che si rovescia su gran parte della popolazione. L”unica cosa che si produce è crescente insicurezza che comincia a produrre rivolta.

Annunciano crescita futura in cambio dei sacrifici, ma non ci sarà nessuna crescita, né nel breve, né nel medio periodo. Invitiamo perciò tutte le forze politiche, sociali, intellettuali che condividono questo giudizio a pensare insieme a qualcos”altro, a un modello provvisorio ma non improvvisato di organizzazione del lavoro. La conferenza internazionale sulla decrescita, a Venezia nel settembre 2012, sarà una buona occasione per affermarlo.

Intanto, la proposta di Luciano Gallino – presentata al convegno di Firenze dell”ALBA (il nuovo soggetto politico) e ivi approvata  – è da prendere in seria considerazione, prima di tutto come strumento di battaglia. Essa dice con chiarezza che la sfera pubblica deve operare come creatore di lavoro di ultima istanza, incidendo direttamente sulla sorte lavorativa del maggior numero di persone. Lo si può fare con una congrua tassa di scopo con cui creare opportunità per i disoccupati e i sottoccupati precari che deve riguardare però tutte le fasce d”età e non solo quelle giovanili. L”orizzonte è quello di un reddito di cittadinanza legato a percorsi di lavoro, diritti, doveri, accesso universalistico a beni sociali.

Un fisco già più rispettoso della costituzione, con una tassazione più progressiva, si aggiungerebbe a una pluralità di fondi in grado di finanziare una profonda riforma nella struttura del lavoro.

Anziché un esercito di riserva di sottoccupati e disoccupati, si avrebbero le risorse umane per far funzionare tante realtà economiche essenziali che sono trascurate da quando prevale il punto di vista della rendita finanziaria di breve periodo: la manutenzione delle scuole e degli ospedali, della stessa struttura produttiva, settori come la ricerca e la formazione, i settori abbandonati perché ritenuti infruttuosi, l”agricoltura locale, le integrazioni di reddito o le detassazioni che possono dare sicurezze di lungo termine per lavori saltuari ma importanti per l”equilibrio sociale.

Non è un paradosso: la fine dell”ossessione della crescita funzionale al debito consentirebbe di aprire molti cantieri che altrimenti non aprirebbero mai. Per la fine del precariato non occorre la promessa di far crescere il PIL per darlo ai redditieri, occorre una Repubblica fondata sul lavoro. Floridezza ed emancipazione sociale, non crescita.

Chi ci fa la guerra non vuole che lavoriamo tutti, ma di più (e non solo per più anni, ma anche per più ore). Due secoli indietro.

Noi vogliamo andare in un”altra direzione: lavorare tutti, ma di meno, con tempi di vita valorizzati, risorse non solo monetarie, recupero di una dimensione sociale, un reddito che ci renda cittadini. Ci serve, urgentemente, un modello di transizione, che punti a ricucire il tessuto sociale. Poi dovremo dire che anche questo non è sufficiente per rimettere in moto la macchina della crescita, che ormai è inservibile. Al contrario dobbiamo mettere in discussione proprio la quantità del tempo di lavoro necessario. E avanzare un piano di riconversione industriale che metta in primo piano la riconversione ecologica. E pensare a una transizione oltre questo sistema. Ma vogliamo arrivarci vivi.

 

14 Maggio 2012 

Alternativa - Laboratorio politico culturale.


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