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 di Piero Bevilacqua* – www.ilmanifesto.it
Il nuovo soggetto politico dovrebbe convocare un”Assise nazionale in cui discutere di conversione ecologica, piccole opere, nuove economie produttive. Per creare nuovi lavori e uscire dalla recessione con un altro modello di sviluppo.
Il lavoro è dunque diventato il centro della discussione pubblica. O, per meglio dire, lo è diventato il tema della sua dilagante mancanza: la disoccupazione. Segno che il fenomeno non è più occultabile, non può essere più imbellettato dalla pubblicità politica corrente. Le liberalizzazioni e la riforma del lavoro con cui il governo ha dilapidato sei mesi di attività non hanno fermato, com”era prevedibile, l”emorragia di posti di lavoro, né arrestato la china in cui il paese va precipitando.
Credo che tale nuova centralità dovrebbe costituire oggi l”occasione per afferrare più profondamente il carattere del capitalismo dei nostri anni e al tempo stesso per mettere alla prova la capacità progettuale della sinistra, e in primo luogo di Alba, la formazione che, sin nel suo nome, pone il lavoro al primo posto.
Si comprende in effetti poco dei meccanismi posti in atto dal capitale negli ultimi trent”anni per rilanciare il suo processo di accumulazione su scala mondiale, senza guardare a ciò che è accaduto alla classe operaia e in generale al lavoro salariato. La condizione delle masse popolari è la faccia speculare delle metamorfosi del capitale.
Anche a sinistra, la diminuzione del peso del lavoro nel processo produttivo – prevista da Marx – è stata scambiata spesso per l”ingresso in una nuova epoca di irrilevanza di ogni attività subordinata. In realtà , neppure il nuovo potere del capitale finanziario si comprende senza tener conto dei rapporti di forza che si sono imposti nelle fabbriche e nei servizi.
Qualcuno rammenta le giornate di euforia che negli anni ”90 viveva la borsa di Wall Street, alla notizia delle ondate di licenziamento di massa messe in atto dalle corporation? Il capitale finanziario è volato sulle ali dei crescenti profitti delle imprese ristrutturate, decentrate, subappaltate, delocalizzate, oltre che sul denaro a buon mercato della Federal Reserve e sui nuovi prodotti speculativi partoriti dalla matematica finanziaria. Né si comprendono gli elementi fondativi della presente crisi e la sua perduranza, se non si guarda ai rapporti di forza che oggi schiacciano la massa dei lavoratori, impotenti a rovesciare il meccanismo di rapina dei loro redditi che è all”origine del tracollo. Una così vasta massa di lavoratori, che ha bisogno di occupazione per sopravvivere, china la testa ai comandi di chi detiene le fonti di una così scarsa risorsa.
Ma il paradosso è che senza un”ampia redistribuzione di ricchezza non si esce dal fondo del pozzo. Senza il dispiegamento di un vasto fronte di conflitto sociale e di classe la macchina non riparte neppure alla vecchia maniera.
Per tentare di risalire la china occorre dunque puntare sul lavoro, non solo per ridare equilibrio al meccanismo economico in crisi, ma per restituire protagonismo ai lavoratori e ai ceti popolari, per fare della loro spinta una leva, non per la crescita, come ci ripetono i meccanici affannati e impotenti intorno alla macchina in panne.
La crescita vuol dire ripristinare il vecchio meccanismo accumulativo, senza nessuna considerazione per gli ecosistemi gravemente danneggiati, il deperimento delle risorse in atto, il danno ai beni comuni, il riscaldamento climatico che incombe. Qualcuno ha sentito evocare il termine ambiente tra i meccanici che in Italia e in Europa cercano di rianimare la crescita? E invece la crisi deve essere l”occasione per uscire dal vecchio sentiero, ormai interrotto.
Certo oggi, in piena recessione, è ancora più difficile di ieri. Occorrerebbe un impegno politico e di mobilitazione non comune. Il maggiore partito del centrosinistra, il Pd, che pur gode ancora di un vasto seguito elettorale (è il più grande partito italiano) appare oggi drammaticamente impotente, atterrito dall”idea di dover governare un Paese senza sapere da dove cominciare.
E i partiti cosiddetti radicali, Sel e la Fds sono piccole formazioni, con mezzi e possibilità limitati.
Ancora più limitati, ovviamente, sono i mezzi dell” Alba, che sta appena muovendo i suoi primi passi. Pure, io credo che proprio da questa formazione possa venire un contributo importante, in grado di costituire un punto di leva per incominciare a sollevare la montagna.
Una delle singolarità e punti di forza di questa formazione è la non comune varietà di competenze e saperi sociali che si ritrovano al suo interno, rappresentati da un folto gruppo di figure intellettuali, le quali incarnano non solo varie storie di militanza, ma soprattutto progettualità politiche diverse. Non ha un leader, quindi non è un partito, ma è un singolare contenitore di nuove culture politiche.
Ebbene, io credo che oggi è il momento di rendere politicamente visibile la forza di progetto generale che è latente in questa ricca pluralità di saperi. E il tema del lavoro potrebbe essere esattamente il collante in grado di ricomporne l”intero orizzonte.
Occorre cominciare a uscire dalle discussioni programmatiche interne per misurarsi al più presto con il mondo esterno, con i lavoratori e i cittadini italiani, oltre che con tutte le forze politiche della sinistra che appaiono disponibili e in primo luogo con il sindacato.
Un”Assise nazionale del lavoro potrebbe essere l”occasione per ricomporre in una visione la più possibile organica i diversi assi tematici e progettuali che convivono in questa formazione. Dall”Assise dovrebbe emergere, come cornice generale, una circostanziata ricognizione sulla conversione ecologica che si può praticare in Italia nei prossimi anni, insieme alla indicazione dei vari ambiti in cui la creazione di lavoro può costituire la leva per una economia solidale e sostenibile.
Penso, a questo proposito, ai vari contributi che possono venire da chi è esperto di infrastrutturazione e trasporti, da chi conosce i problemi delle aree interne e le potenzialità della nostra agricoltura, da chi studia i problemi della città e la gestione dei beni comuni dell”acqua, del suolo e dell”aria.
In tale ambito ambito è possibile mostrare come le piccole opere, di consolidamento delle ferrovie locali, di ristrutturazione di acquedotti, di restauro dei centri urbani, di recupero e cura del nostro patrimonio artistico e monumentale, di fondazione di nuove economie produttive fondate sull”agricoltura di qualità , l”acquacoltura delle aree interne, la selvicoltura di pregio, possono produrre ricchezza e lavoro durevole rendendo al tempo stesso sistematica la manutenzione del nostro territorio, più attraente il nostro paesaggio.
Gran parte di tali economie potrebbero essere attivate subito, anche in funzione antirecessiva, contrariamente a quanto si possa fare con le cosiddette grandi opere. Il ministro Passera ha appena annunciato un piano da 100 miliardi di grandi opere. Ma la loro messa in cantiere appare possibile almeno a partire dal 2015. E nel frattempo?
Il reddito di cittadinanza dovrebbe ricevere una definizione circostanziata nell”Assise. Ma ricordo anche che dentro l”Alleanza ci sono riflessioni importanti sulla possibilità di ripristinare una managerialità pubblica, in grado di rimettere in produzione imprese efficienti, (talora chiuse dagli imprenditori anche per ragioni speculative) ma anche per avviare la riconversione.
La nefasta stagione neoliberista rende oggi la mano pubblica impotente a intervenire nelle tante situazioni di crisi della piccola e media industria. Lo Stato si è privato di ogni strumento per affidare l”intera macchina produttiva alla superiore sapienza del mercato.
Ma oggi si può scorgere quanto sarebbe auspicabile disporre di una struttura agile e trasparente di supporto (di conoscenza di mercati e nuove tecnologie, di raccordo tra imprese e banche) da parte di un attore pubblico, sfuggito alle maglie dogmatiche del pensiero dominante.
C”è infine tutto il mondo della disoccupazione giovanile a cui il governo Monti ha saputo offrire solo l”offa di una riforma del lavoro che nulla risolve. Una intera generazione condannata a sopravvivere col lavoro dei padri e la pensione dei nonni. Intanto centinaia di migliaia di laureati, dottori, frequentatori assidui di master, le migliori intelligenze della nostra gioventù, sono nel limbo del nulla, senza che da questo governo sia venuto un solo segnale, un solo gesto per non lasciarli cadere nella disperazione, per non farli fuggire all”estero.
Nel frattempo, il ministro dell”Università è impegnato nella vasta impresa di togliere valore legale alla loro laurea. Eppure, con pochi soldi quanti giovani potrebbero continuare i loro studi e le loro ricerche? Alba potrebbe proporre per la nostra gioventù studiosa la creazione di qualcosa di simile alle Maisons des Sciences de l”Homme, strutture di ricerca che in Francia si affiancano all”Università e al Cnrs e che hanno una base regionale. Si potrebbe partire con un sistema di borse ai giovani studiosi e incominciare a impiantare in ogni regione italiana un polmone di ricerca in grado di fornire una utilità sociale di nuovo tipo, laboratori di idee capaci di fecondare i relativi territori. È una via per valorizzare al tempo stesso una forza lavoro intellettuale ormai di massa, che la cosiddetta crescita appare sempre più incapace di rendere protagonista.
Ecco, un”Assise del lavoro dovrebbe costituire la prima prova di una svolta storica. L”attuale meccanismo di accumulazione del capitale non crea piena occupazione e tende a frantumare e ad asservire il lavoro. Alla politica, alla politica della sinistra è offerto un nuovo territorio di egemonia: progettare forme nuove di lavoro. Attività che sfuggano alla logica della pura accumulazione di capitale e si inseriscano in un più largo orizzonte di utilità sociale e ambientale, operosità che diano reddito alle persone, ma soprattutto senso alle loro vite e al loro stare in un organismo e in un progetto solidale.
Certo, so bene quali siano i reali rapporti di forze oggi in campo. Un bel campionario di idee senza partito accanto a un partito senza idee. Ma costituirebbe un importante passaggio politico cominciare a mettere insieme, in un progetto unitario e plurale, il vasto e disperso arcipelago delle forze della sinistra. Potrebbe avere una grande forza di attrazione, soprattutto fra i giovani frustrati e delusi, e condizionare il quadro politico generale. D”altra parte, se non si mostra che c”è una strada, un sentiero che conduce lontano, nessuno si metterà in cammino.
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* Piero Bevilacqua fa parte del Consiglio Scientifico di Alternativa. È professore ordinario di storia contemporanea all”Università La Sapienza di Roma. Ha fondato nel 1986 l”Istituto meridionale di Storia e di Scienze sociali (Imes), ancora da lui presieduto, nonché la rivista Meridiana, che dirige. Ha scritto il saggio Breve storia dell”Italia meridionale dall”Ottocento ad oggi (Donzelli, Roma 1993), i volumi suVenezia e le acque: una metafora planetaria (Donzelli, Roma 1995) e su Demetra e Clio. Uomini e ambiente nella storia (Donzelli, Roma 2001), La mucca è savia. Ragioni storiche della crisi alimentare europea (Donzelli, Roma 2002), La terra è finita. Breve storia dell”ambiente (Laterza, Roma-Bari 2006). Di recente è stato l”autore di Miseria dello sviluppo, 2009 (Laterza) e di Il grande saccheggio. L”età del capitalismo distruttivo, 2011 (Laterza).
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