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Amazon e lo schiavismo al tempo della globalizzazione

Amazon e lo schiavismo al tempo della globalizzazione
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19 Febbraio 2013 - 10.06


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di Giorgio CremaschiMicroMega

La notizia ha fatto un certo scalpore anche nel mondo abituato a giustificare sempre la globalizzazione.

In Germania negli stabilimenti Amazon dove si smistano le merci per la vendita on line, migliaia di lavoratrici e lavoratori migranti, costretti a vergognose condizioni di sfruttamento, venivano sorvegliati da guardie giurate di una associazione neonazista.

È proprio questo aspetto che ha sollevato lo scandalo, sorveglianti neonazisti in Germania, via è sembrato un po” troppo. Qualche manager desideroso di strafare è stato un po” troppo precipitoso. Sarebbe bastato che si fosse rivolto a qualche più neutra agenzia di sorveglianza e lo scandalo non ci sarebbe stato. Perché nel mondo del capitalismo globalizzato si lavora così in tanti posti e, questa semmai è la novità, anche nella Europa più ricca.

Ovunque si sono diffuse imprese dove le condizioni di chi lavora sono di sostanziale schiavitù.

Naomi Klein già più di dieci anni fa descriveva le condizioni carcerarie di grandi centri manufatturieri dell”Asia, ove si produce anonimamente quasi tutto ciò a cui le multinazionali possono poi aggiungere i propri marchi, rastrellando così i propri ingenti profitti.

Le recenti vicende della Foxconn in Cina, ove la prima reazione degli operai alle condizioni di lavoro imposte per produrre per conto della Apple sono stati i suicidi, sono solo un tenue squarcio in un velo globale.

Le maquilladoras sono insediamenti industriali nel Messico a ridosso degli Stati Uniti, ove imprese nord americane possono operare a condizioni di sfruttamento più libere che oltre confine. D”altra parte più di venti anni fa il sindacato AFL CIO denunciava già il diffondersi a New York di quelle che venivano chiamate “sweat shops”, officine del sudore. Si sa gli Usa anticipano.

Si crede davvero che questo sistema di sfruttamento mondiale si regga solo sul consenso o magari anche solo sulla pura passività di chi lo subisce?

Davvero si pensa che gli operai assunti dalla Fiat in Serbia per 12 ore al giorno di catena di montaggio a meno di 400 euro al mese, passino il poco tempo rimasto a ringraziare Marchionne? E che la raccolta degli agrumi da noi veda i migranti stanchi ma rassegnati? E se qualcuno, come ai magazzini della Ikea a Piacenza non ci sta ? Perché ogni persona oppressa, anche la più rassegnata, prima o poi pensa alla ribellione.

Così la prevenzione e la repressione dei comportamenti ribelli diventano anche un business. Una attività secondaria delle mafie che mettono a disposizione i loro caporali nei casi meno sofisticati. Un modo per dare uno sbocco al mercenariato neonazista, in quelli più sfacciati e stupidi. Una impresa raffinata quando la sorveglianza dei lavoratori viene affidata alle agenzie di investigazione e magari anche alle indagini di psicologi preparati ad hoc.

Esagerazioni? Ma se dilaga la pubblicità di imprese che vantano di poter fornire tutto ciò che serve per controllare le assenze del lavoratore e quanto altro sia necessario conoscere. E i colloqui per le assunzioni spesso diventano sottili interrogatori con domande preparate da strutture specializzate. Domande che servono a far capire se il nuovo assunto sarà fedele o ribelle.

Ovunque nei luoghi della produzione si diffonde un sistema autoritario e oppressivo. Può essere più sottile o più brutale a seconda delle mansioni o della nazionalità dei lavoratori. Non ci sono ovunque sorveglianti neonazisti, ma il fascismo aziendale dilaga, perché questo reclama il capitalismo globalizzato per la condizione di lavoro.

Anche qui esagerazioni? Ma proprio ieri la commissione economica dell” OCSE ha raccomandato all”Italia di rendere ancor più facile il licenziamento per riprendere a crescere.

E le politiche di austerità e rigore non stanno forse cancellando ciò che resta di contratti e di diritti del lavoro qui da noi e in tutta Europa? E nel paese cavia di esse, la Grecia, chi si è salvato dalla disoccupazione di massa non produce ora a condizioni che tempo fa avremmo definito da terzo mondo? E la Grecia, come l”Italia sta aumentando le esportazioni mentre l”economia complessiva regredisce. Si lavora negli spazi e alle condizioni che i poteri del mercato globale hanno deciso di assegnare.

Non si piangano lacrime da coccodrillo, ci si risparmi la solita dose di ipocrisia. Questo capitalismo globale vuole la schiavitù del lavoro e, come ci ricorda Quentin Tarantino nel suo bel film Django, non c”è schiavitù senza negrieri. Qualche capetto della Amazon in Germania deve aver pensato che in fondo quelli neonazisti sono più motivati di altri.

Non cӏ futuro democratico e civile se non si mette fine al dominio del capitalismo globalizzato.

 

(16 febbraio 2013)

Fonte: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/02/16/giorgio-cremaschi-amazon-e-lo-schiavismo-al-tempo-della-globalizzazione/


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