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Un deserto a sinistra?

La piazza del 25 ottobre ha dimostrato che i lavoratori sono disponibili a mobilitarsi. Quale il soggetto politico capace di farsene interprete? [Anna Lami]

Un deserto a sinistra?
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26 Ottobre 2014 - 09.39


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di Anna Lami

Nel giorno in cui a Roma centinaia di migliaia di persone rispondevano alla chiamata della Cgil, su La Stampa è comparso un editoriale di Giovanni De Luna intitolato significativamente “Un deserto alla sinistra di Matteo”.

Secondo De Luna, “il conflitto tra il governo e la Cgil spalanca intere praterie a sinistra del Pd”. Infatti, “il partito a vocazione maggioritaria immaginato da Renzi, tende a svuotare di senso il bipolarismo su cui si è fondata la Seconda Repubblica, dilatando gli spazi del grande centro, ma favorendo anche una radicalizzazione delle ali estreme del sistema politico. A destra questo è puntualmente avvenuto con il ritorno in campo della Lega. Il partito di Matteo Salvini sembra in grado di intercettare i consensi dei transfughi del centrodestra berlusconiano (e di una composita galassia di ex-fascisti) rilanciando l’immagine conflittuale della Lega degli esordi […]. A sinistra non è successo niente di tutto questo”.

La crisi in corso porta con sé una profonda radicalizzazione del quadro politico, i cui effetti devono ancora pienamente dispiegarsi: inevitabile la rottamazione di chi non capisce il mutamento epocale in atto, illudendosi di poter tirare avanti come se nulla fosse, mantenendo una prospettiva di piccolo cabotaggio. L’ha capito perfettamente Matteo Renzi; se ne è reso conto bene anche Matteo Salvini, che ha saputo adeguare al nuovo contesto storico il suo messaggio politico (non a caso la settimana scorsa è riuscito a riempire Piazza Duomo a Milano agitando parole d’ordine apertamente lepeniste).

Come giustamente notava De Luna, la parte politica che ancora non ha capito qual è la portata degli eventi in atto è la sinistra. Non che le mobilitazioni di queste settimane non abbiano dato qualche segnale più che confortante. Basti pensare al successo che hanno avuto lo scorso 16 ottobre lo sciopero nazionale della logistica, dove sono state messe in campo azioni di lotta anche molto dure, e lo sciopero generale dell’Emilia Romagna proclamato dalla Cgil regionale, con decine di migliaia di lavoratori in piazza a Bologna e quasi tutte le principali fabbriche della regione ferme. Esemplare è poi la coraggiosa battaglia che stanno portando avanti gli operai della Thyssen di Terni, che dopo cortei improvvisati, occupazione di Comune e Prefettura, picchetti, è culminata in una giornata di sciopero che ha fermato l’intera città umbra con una manifestazione che ha visto circa trentamila partecipanti e la contestazione dei vertici confederali.

Infine il corteo oceanico della Cgil a Roma è la conferma che il popolo di sinistra esiste ancora, gode di buona salute ed è pronto a farsi sentire. I due cortei diretti a piazza San Giovanni sono addirittura dovuti partire in anticipo rispetto a quanto era stato previsto, considerata la decisa affluenza sin dalle primissime ore del mattino. Alle 10, quando migliaia di manifestanti raggiungevano piazza San Giovanni, Roma Termini ed Ostiense erano ancora traboccanti e tali sono rimaste ancora a lungo.

Lavoratori, migranti, famiglie, pensionati, studenti, hanno sfilato per le vie di Roma esternando la loro rabbia, seppur in maniera molto pacata ed ordinata. Sicuramente un obiettivo che la segreteria Cgil si era prefissata è stato raggiunto: far vedere al governo che il sindacato è ancora largamente rappresentativo e che ha una capacità di mobilitazione che Renzi, dall’alto del suo 40% dei consensi, si sogna.

Avendo annusato l’aria, il premier aveva messo le mani avanti già venerdì, affermando preventivamente che l’agenda del governo non sarebbe stata comunque influenzata dalla piazza Cgil. Non sarà certo perché la Cgil ha vinto l’odierna prova numerica che l’esecutivo cambierà di una virgola il proprio indirizzo, e Renzi l’ha riibadito ancora una volta dal palco della Leopolda.

Non siamo più negli anni in cui una grossa manifestazione poteva bastare a frenare le intenzioni degli alti comandi. La crisi sta portando ad un mutamento di epoca. Non basta più far vedere che “volendo si potrebbe”, occorrerebbe proprio rompere gli argini, cosa che esula decisamente dalle intenzioni dei vertici sindacali.

In verità, ancora una volta, la base si è dimostrata più avanzata di chi dovrebbe rappresentarla: gli slogan, i cartelli e gli striscioni erano in buona parte inequivocabilmente contro l’esecutivo e non solo contro il Jobs Act. Le parole d’ordine della piazza erano dimostravano una crescente consapevolezza politica tra il popolo lavoratore. Da più parti s’invocava lo sciopero generale, Renzi, Napolitano, Confindustria ed in diversi casi persino la Bce, sono stati riconosciuti come nemici un po’ da tutti.

Qui, però, entra in gioco la differenza principale tra la piazza di Milano della Lega Nord e le manifestazioni dei lavoratori. Mentre la prima ha trovato piena espressione politica, con un progetto radicale nettamente definito in senso reazionario-populista, le seconde sono ancora completamente prive di interlocutori politici credibili ed adeguati ai tempi. Non si tratta di cosa da poco, ma di un’anomalia che sta costando molto cara ai ceti popolari e che soprattutto non sembra volgere verso la fine.

Fino a quando sarà possibile, come è accaduto a Piazza San Giovanni, che starlettine della sinistra Pd, mezze figure come Cuperlo, Fassina, Civati, pienamente coinvolti e responsabili del disastro sociale in atto, si facciano belli sui media parlando da una manifestazione da cui dovrebbero essere cacciati in un nanosecondo, allora il divario politico che separa la realtà odierna e la rappresentazione della sinistra italiana sarà abisso.

Fino a quando non sorgerà un soggetto politico coerentemente anticapitalista in grado di organizzare quei settori sociali che subiscono la crisi (e che sono disponibili a mobilitarsi, come anche a Roma si è visto) inserendoli in una prospettiva di conflitto, Renzi e le classi dominanti potranno continuare a farsi beffe di ogni mobilitazione popolare.

(26 ottobre 2014) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it/[/url]

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