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'L''onda verde e l''onda rossa'

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14 Gennaio 2010 - 23.32


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Masoud_Alimohammadidi Simone Santini – clarissa.it.

L”attacco terroristico che ha ucciso lo scienziato iraniano Massoud Mahammadi, professore di fisica nucleare all”università di Teheran, è la prosecuzione di alcune linee strategiche che nell”ultimo mese si sono approfondite e drammaticamente inasprite nello scenario di contrapposizione Occidente/Iran.

 

È presto per dire con chiarezza (se mai sarà possibile farlo) a chi debba attribuirsi l”omicidio. Le autorità iraniane accusano apertamente i servizi di Usa, Gb, Israele, che respingono fermamente.

Anche sul profilo dello scienziato ci sono diverse interpretazioni. Il regime lo considera un martire, un fedele sostenitore dalla prima ora della rivoluzione islamica; per alcuni siti dell”opposizione, invece, Mahammadi sarebbe stato un supporter di Mir Hussein Mussavi.

In questi casi non conta tanto la verità ma come essa viene presentata alle opinioni pubbliche. Per quella interna iraniana è rappresentata dalla versione ufficiale, per quella occidentale queste voci incontrollate contribuiscono a rendere controverso e torbido il caso.

Una prima rivendicazione dell”attacco è giunta da un gruppo filo-monarchico di dissidenti iraniani con sede negli Usa che vorrebbe il ritorno dello Shah. Le indagini scientifiche della polizia hanno identificato nella tipologia dell”esplosivo una mano straniera e quindi la firma del terrorismo di stato internazionale.

irallyL”assassinio di Mahammadi è da mettere in relazione con la scomparsa di altri due scienziati nucleari iraniani. Ali Reza Asgari, già alto ufficiale dei Pasdaran, ex vice-ministro della Difesa ed esperto atomico, è svanito nel nulla nel 2007 mentre si trovava ad Istanbul; lo scorso giugno lo scienziato nucleare Shahram Amiri scompariva mentre si trovava in pellegrinaggio in Arabia Saudita.

In entrambi i casi le autorità iraniane hanno accusato gli occidentali di averli rapiti per ottenere informazioni segrete e minare il programma nucleare del paese, il ministro degli Esteri Mottaki ha dichiarato che il governo possiede le prove che Asgari e Amiri sono stati condotti negli Stati Uniti. Dal canto loro gli americani oltre che smentire il rapimento hanno lasciato trapelare che le sparizioni sono state in realtà delle defezioni, ovvero fughe volontarie. In un caso o nell”altro non è sfuggita la coincidenza tra la scomparsa di Amiri e la rivelazione, un paio di mesi più tardi, da parte dell”intelligence americana, del sito nucleare segreto di Qom.

Sul piano interno l”Iran ha vissuto un ultimo mese drammatico. La frattura e la contrapposizione civile tra le diverse anime della società iraniana pare ormai definitiva e la coesione del paese irrimediabilmente compromessa. Dalle elezioni di giugno le manifestazioni e le proteste anti-governative non si sono mai placate, riaccendendosi ad ogni occasione.

In alcuni casi possono anche essere state strumentalizzate dal potere come avvenuto quando i media di stato iraniani hanno utilizzato la stessa tecnica dei siti di opposizione riprendendo video su cui è possibile creare disinformazione. Le immagini mostravano infatti non meglio identificati manifestanti intenti a bruciare e calpestare le effigi dell”attuale guida suprema Ali Khamenei ma anche del padre della patria Ruhollah Khomeini, ciò che in Iran significa ancora presso la quasi totalità della società civile un oltraggio inqualificabile.

Il tutto mirava a porre in cattiva luce e marchiare il movimento di protesta riducendolo a frange di estremisti e teppisti con cui è impossibile dialogare. E tuttavia se strumentalizzazione ad uso interno c”è probabilmente stata, plateale anche la manipolazione degli stessi fatti data dai media occidentali. “L”opposizione sarà eliminata” titolavano giornali e telegiornali citando un discorso di Khamenei e paventando un giro di vite sanguinoso.

Khamenei invece, pur condannando duramente gli episodi oltraggiosi, diceva che questo tipo di opposizione era destinato a scomparire come accade alla schiuma di acqua ribollente una volta che questa si è posata, come tale essa “sarà eliminata agli occhi della nazione” mentre resterà il sistema. Evidentemente i rozzi media occidentalisti non sono in grado di comprendere le raffinatezza dialettiche del clero persiano…

Le manifestazioni di protesta hanno successivamente utilizzato come catalizzatore i funerali dell”ayatollah riformista Montazeri ed alcuni giorni dopo, in maniera drammatica, le celebrazioni per la commemorazione della Ashura in onore dell”Imam Hussein, fondatore della corrente islamica sciita.

Negli scontri si sono avuti molti morti, circa quindici. Di nuovo i media occidentali si sono distinti nella manipolazione raccontando che anche la televisione di stato iraniana è stata “costretta ad ammettere” la sanguinosa repressione. Niente di più sbagliato. I media iraniani hanno infatti enfatizzato gli accadimenti mostrando i morti come conseguenza degli scontri tra fedeli ed oppositori.

Ciò che è stato infatti messo in ombra in Occidente è che i tumulti durante la Ashura hanno funestato un giorno sacro islamico in cui si commemora il martirio dell”Imam Hussein con un lutto morale e anche fisico tramite auto-flagellazioni per cui alcuni fedeli possono diventare impressionanti maschere di sangue.

Al sangue altamente simbolico e sacro della Ashura si è dunque mescolato il sangue impuro della insurrezione e della sedizione gettando sull”opposizione una macchia indelebile, non solo di significato politico ma anche anti-nazionale e religioso.

Di nuovo la percezione sulla verità dei fatti è distorta ad uso e consumo delle rispettive opinioni pubbliche ed a farne le spese sono ovviamente gli spiragli di dialogo e pacificazione mentre trionfano gli oltranzisti che perseguono obiettivi contrapposti ma complementari.

Nel frattempo è scaduto, con la fine dell”anno, il limite segnato da Obama per condurre negoziati sul programma nucleare iraniano. Il prossimo week-end il gruppo di contatto dei 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell”Onu più la Germania) si ritroverà a New York per discutere sanzioni contro Teheran. Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna dovranno convincere Russia e Cina e sarà molto interessante verificare l”approccio di questi due paesi alla crisi.

Ma non solo la diplomazia sta affinando le armi. Da Israele giungono alcuni segnali: il primo è un articolo del Jerusalem Post dell”8 gennaio secondo cui le Forze armate statunitensi si starebbero preparando all”eventualità di un conflitto con l”Iran. Secondo l”ambasciatore israeliano negli Usa Michael Oren “l”Amministrazione Obama è ormai del tutto consapevole che l”Iran intende portare avanti un programma di armamenti nucleari”.

Le dichiarazioni dell”ambasciatore fanno seguito a quelle del Capo di Stato maggiore americano, l”ammiraglio Mike Mullen, secondo cui gli Stati Uniti non vorrebbero certo confrontarsi con l”Iran, specie nel momento in cui sono già impegnati in Afghanistan ed Iraq, e tuttavia si devono preparare per questa eventualità sottolineando che non si tratterebbe, con ogni probabilità, di un ulteriore impegno terrestre ma soprattutto aereo e navale. Mullen ritiene che gli iraniani “si trovino su un percorso strategico inteso a sviluppare armi nucleari, e da parecchio tempo” e questo sarebbe “straordinariamente destabilizzante” sia perché potrebbe provocare una corsa agli armamenti nella regione e sia per il sostegno dato da Teheran al terrorismo.

Secondo un rapporto citato dal New York Times, i maggiori consiglieri di Obama sulla questione nucleare avrebbero ora cambiato opinione rispetto all”analisi della Intelligence nazionale risalente al 2007 secondo cui l”Iran aveva interrotto nel 2003 il suo programma sugli armamenti atomici. Quel rapporto di intelligence segnò la fine definitiva dell”era neo-con in seno all”amministrazione Bush e il cambiamento di strategia con Robert Gates al Pentagono in sostituzione di Rumsfeld.

Israele aveva sempre contrastato quel rapporto ed ora vede con soddisfazione gli Stati Uniti riallinearsi sulle sue posizioni. Il generale Amos Yadlin, capo dell”intelligence militare, ha addirittura dichiarato recentemente di fronte alla Commissione Difesa della Knesset (il Parlamento israeliano) che l”Iran sarà in grado di sviluppare un singolo dispositivo nucleare entro quest”anno.

A Gerusalemme ci sono anche voci discordanti, come quella del generale in congedo Uzi Eilam, già responsabile degli armamenti nucleari di Israele, che, come riporta il Times On-Line, sì è detto convinto che l”Iran sia “molto molto molto lontano dal produrre l”arma atomica” e che l”intelligence israeliana avrebbe una visione isterica della situazione “spargendo voci allarmistiche e false” sull”Iran forse al fine di aumentare il proprio budget mentre i politici le usano per distogliere l”attenzione dai problemi interni del paese. “Coloro che sostengono che l”Iran avrà la bomba entro un anno, su che base lo affermano?”, ha chiesto il vecchio generale eroe di guerra, “dove sono le prove?”.

Una voce estremamente autorevole e ragionevole ma che difficilmente riuscirà ad incrinare il panorama di guerra che domina attualmente l”establishment dello stato ebraico.

Lo scenario strategico che gli Stati Uniti si trovano davanti è alquanto complesso. L”analista americano Webster Tarpley, esperto di intelligence e geopolitica, in un articolo recente intitolato “Obama dichiara guerra al Pakistan“, sostiene che il presidente americano, col suo discorso all”accademia di West Point del 1 dicembre, ha innalzato il livello dello scontro relativo al “Grande Gioco” del controllo asiatico.

L”aumento dell”impegno in Afghanistan, infatti, non avrebbe lo scopo di normalizzare finalmente quel paese, al contrario ci si aspetta di spingere la guerriglia talebana sempre più nel cuore del Pakistan per destabilizzarlo definitivamente e renderlo nel giro di qualche anno uno “stato fallito” che poi potrà essere facilmente smembrato lungo le sue linee etniche.

Il Pakistan infatti è un coacervo di gruppi etnici prima che uno stato nazionale unitario. Un particolare interesse geostrategico riguarda la regione del Belucistan, nel sud-est del paese, che si estende tra Iran e Pakistan, tagliata praticamente a metà dal confine dei due paesi. Il Belucistan è una cerniera fondamentale che permetterebbe di unire via terra l”Iran (e le sue risorse energetiche), attraverso il Pakistan, direttamente con la Cina oltrepassando i passi himalayani sopra il Kashmir.

Un gasdotto che segua questo percorso è già in fase avanzata di studio. Alla Cina permetterebbe di collegarsi con il bacino del Caspio risparmiando 12mila miglia di rotte marittime e le strettoie di Hormuz e delle Malacche sotto il controllo del dominio aereo-navale statunitense. Pechino sta anche cercando di fare del porto di Gwadar (Belucistan pakistano) un proprio centro strategico costruendovi raffinerie, strade, ferrovie, per renderlo uno snodo prioritario tra i paesi del Golfo e quelli centro-asiatici. Tamponare in Iran e Pakistan questo corridoio energetico è di vitale importanza per il controllo di tutta l”Asia.

Non è un caso che l”organizzazione irredentista Jundallah sia diventata pericolosamente attiva nel Belucistan iraniano e forse non è nemmeno un caso che la CNN indichi nella città beluci pakistana di Quetta il rifugio dei vertici operativi di Al-Qaida, Bin Laden e Al-Zawahiri in testa.

La progressiva balcanizzazione della regione potrebbe configurarsi come una fase transitoria finché maturi il contesto per, ad esempio, un cambio di regime in Iran ed un conseguente riallineamento agli interessi occidentali. Il partito pro-guerra e quello anti-guerra negli Stati Uniti potrebbero essersi accordati per una transizione morbida spingendo per un ribaltamento dall”interno. Ma questo è illusorio.

Come ha sintetizzato in maniera esemplare per Panorama.it la professoressa Farian Sabahi (probabilmente la maggiore esperta in Italia di storia iraniana) sulle motivazioni che fondano la legittimazione dell”attuale blocco di potere in Iran: “Ahmadinejad ha dato in questi anni l”assistenza sanitaria gratuita a 22 milioni di iraniani, ha aumentato lo stipendio del 30% agli insegnanti, ha garantito il pagamento delle bollette agli iraniani più poveri, ha aumentato le pensioni del 50 % permettendo agli anziani di arrivare a fine mese. E” con queste misure che Ahmadinejad ha messo le basi del suo successo. […]

Ahmadinejad non è mai stato amato dagli intellettuali ma nelle zone rurali, la gente, più che dei diritti umani, si preoccupa del benessere quotidiano o dei mutui a tassi agevolati del governo. Non pensa al Pil o ai dati macroeconomici”.

In questo contesto pensare che gli studenti di Teheran riescano a scardinare il regime è del tutto improbabile. Nei giorni successivi i disordini della Ashura il paese si è mobilitato con una serie di manifestazioni filo-governative in tutte le maggiori città con partecipazioni oceaniche, cortei compostissimi ma dimostrazione di una forza imponente. Il solo vedere le immagini vanifica il tentativo di archiviare quei raduni come semplici manovre di regime.

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Perché un sovvertimento possa aver luogo sono necessari come minimo due fattori. Una drastica riduzione delle condizioni economiche soprattutto nei confronti della classe media, la borghesia commerciale cuscinetto tra l”alta borghesia e le masse rurali; la disarticolazione delle forze di sicurezza più legate al regime (Pasdaran e Basiji) a vantaggio di altre strutture interne al regime, come le Forze armate, che così potrebbero soppiantarle.
Entrambe queste condizioni possono essere soddisfatte solo da uno stato di guerra, sanzioni prolungate e strettissime, un completo isolamento internazionale.

I moti di protesta, dunque, lungi dall”essere risolutivi, sono serviti solo (ma in maniera necessaria) a preparare il terreno.

Ora le opinioni pubbliche occidentali vedono il regime iraniano esclusivamente come dispotico e maligno e cominciano ad essere pronte per accettare soluzioni estreme; sul piano interno la coesione sociale è completamente compromessa e si fa concreta la minaccia di una svolta realmente autoritaria con l”imposizione della legge marziale, del resto il muro contro muro tra oppositori estremisti e regime schiaccia e toglie spazio di manovra a quegli ambienti riformisti-nazionali (ad esempio legati all”ex presidente Khatami ma anche a personalità di area conservatrice come Mohsen Rezai) che pur contrastando il governo non sarebbero disponibili a svendere il paese né tanto meno accettare come una liberazione una aggressione dall”esterno.

Fonte: http://www.clarissa.it/esteri_int.php?id=1259.

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