'Turchia, l''incognita Erdogan' | Megachip
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'Turchia, l''incognita Erdogan'

'Turchia, l''incognita Erdogan'
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20 Maggio 2010 - 22.35


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erdogan-turkeydi Alberto Tundo – peacereporter.net.

Tende la mano alla Grecia ma rischia la rottura con Israele, denuncia rischi di golpe ma ne opera uno antikemalista. Ecco l”indecifrabile politica del premier turco.

Il premier turco Tayyip Erdogan ha uno sguardo impenetrabile e un viso da sfinge che è indecifrabile proprio come la sua politica. Fatta di decisioni e di passi che sono anche importanti segni di rottura, ma difficili da comporre in un disegno coerente. Erdogan è una delle figure più enigmatiche sulla scena internazionale e, considerando il ruolo che si sta ritagliando la Turchia sul piano strategico, anche una delle più importanti.

Svolta storica. Venerdì 14 maggio, ad esempio, era ad Atene ospite del suo omologo George Papandreu, per una visita storica, alla quale si è presentato accompagnato da una delegazione di assoluto rilievo, composta da 10 ministri e 80 uomini d”affari. Ai suoi nemici storici, la Turchia di Erdogan ha offerto il classico ramoscello di ulivo: oltre ai 21 accordi bilaterali in materia di turismo, energia, ambiente e blocco dei flussi migratori illegali, Erdogan ha proposto una riduzione della spesa in armamenti, che l”anno scorso è costata poco meno di 10 miliardi di dollari alla Turchia e addirittura 13,4 miliardi alla Grecia, contando per un 5,6 percento del pil ellenico. L”apertura turca è arrivata con un tempismo perfetto, proprio mentre Atene rischia il crack finanziario e ha un disperato bisogno di tagliare la spesa pubblica. Il fatto che Ankara vanti un”economia in espansione e non abbia la stessa esigenza di ridurre i costi dimostra quanto il premier turco abbia dato prova di acume, altruismo e lungimiranza ma anche calcolo politico, che gli ha permesso di guadagnare punti davanti a quell”Unione Europea che prima o poi dovrà dire se e quando la Turchia ne diventerà un membro.
Nel frattempo, Erdogan ha mosso le sue pedine sullo scacchiere internazionale e per quanto la strategia complessiva risulti criptica, si deve riconoscere che sia stata efficace.

La politica estera. Si prenda la questione palestinese, ad esempio: qui Ankara ha ribaltato una politica tradizionalmente cordiale nei confronti di Israele, in cui fungeva da sponda americana. Gli attacchi di Erdogan nei confronti di Gerusalemme (storica la diserzione di una tavola rotonda a Davos alla quale avrebbe partecipato il presidente Shimon Peres nel gennaio 2009), soprattutto durante e dopo l”operazione “Piombo fuso” del dicembre 2008, ne hanno fatto un leader estremamente popolare presso il mondo arabo, il portavoce di un”interessante applicazione dell”Islam alla politica.

Allo stesso modo, la Turchia di Erdogan si è ritagliata un ruolo inedito nella disputa tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno Karabach, enclave armena in territorio azero, riposizionandosi e rimodulando la sua tradizionale politica filoazera. Sempre per Ankara, poi, passano le strade che possono condurre ad una soluzione della disputa sul nucleare iraniano e sciogliere la tensione tra Israele e Siria, tanto che, stando ad alcuni rumors citati dalla rivista “Foreign Policy”, sarebbe stata proprio Damasco a chiedere ad Erdogan di ammorbidire la sua posizione anti-isreaeliana. E” alla Turchia che si devono i round negoziali, inizialmente tenuti segreti, tra i due Paesi, per la restituzione alla Siria del Golan.
Attacca a testa bassa gli Usa per la politica delle due misure, tollerante quando è Israele a possedere testate nucleari, ferrea quando è l”Iran che potrebbe disporne, però poi non intima a Washington di ritirare le 90 testate custodite nella base di Incirlink. Anzi, per la Casa Bianca la Turchia è stata un partner fondamentale per stabilizzare l”Iraq. Ma nella partita energetica, invece, Ankara ha guardato verso il Cremlino.
Con la stessa leggerezza con cui minacciò di espellere i 100 mila armeni irregolari residenti nel Paese – annoiato dalle continue denunce dello storico genocidio – offre l”opzione del disarmo alla Grecia e chiede scusa ad Erevan e Atene per il nazionalismo e la pulizia etnica praticate dalla Turchia kemalista.

La politica interna. Il che ci porta a valutare quello che è stato l”impatto di Erdogan sulla politica turca: dirompente. Ha portato al potere un partito islamico moderato, l”Akp (Partito della giustizia e del progresso) e con il presidente Gul – anche lui dell”Akp – ha costruito un asse di potere che si contrappone al vecchio centro di stabilità della democrazia turca, l”esercito.
Parla di democrazia ma il suo governo ha stretto ancor di più la morsa sulla stampa, denuncia i rischi di golpe da parte dei militari ma è quasi riuscito in quell”impresa che nessuno prima di lui aveva seriamente tentato, quella di ridimensionarli. Per capire quanto ci stia andando vicino, basterà dare un”occhiata alla riforme costituzionali passate nonostante la resistenza dell”opposizione nazionalista e che a settembre verranno sottoposte a referendum.

Tre i punti salienti della riforma: la modalità di designazone dei giudici che compongono le supreme magistrature – Corte Costituzionale e Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori, l”equivalente del nostro Csm -, una netta limitazione delle possibilità di sciogliere e mettere al bando i partiti politici e, elemento centrale, la possibilità per i tribunali civili di processare i militari.

Che sono già stati duramente colpiti con lo scandalo Ergenekon, nome di una organizzazione militare segreta di stampo ultranazionalista, parte di quel potentissimo “stato profondo” che venne scoperta e “neutralizzata” con una serie arresti di ufficiali primo piano. Le indagini nel frattempo sono proseguite e lo scorso febbraio hanno portato in carcere altri 49 alti ufficiali e 17 generali provenienti da tutte le Forze Armate. Erdogan ha già dimostrato chiaramente di non accettare più che la Turchia sia una democrazia sotto tutela dei militari; ridimensionarne il peso e il potere serve ad avvicinare Ankara a Bruxelles. L”opposizione denuncia la svolta autoritaria, la futura dipendenza dai giudici dall”esecutivo e l”assenza di un bilanciamento del potere che si concentrerà nelle mani dell”esecutivo ma non ha molte speranze di contenere la spinta “riformatrice” di Erdogan, che lentamente ha eroso alla radice i pilastri della Turchia kemalista.

 

Fonte: http://it.peacereporter.net/articolo/21954/Turchia%2C+l%27incognita+Erdogan.

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