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Standing Army: come gli USA in declino occupano il mondo

Standing Army: come gli USA in declino occupano il mondo
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30 Giugno 2010 - 18.20


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ispesasmilitaresdi Fabio Ghioni.

Con il bellicoso George W. Bush, il budget per la spesa militare raggiungeva la considerevole quota di 650 miliardi di dollari.

Poi arrivò Barack Obama, il Nobel per la pace eletto anche grazie alle promesse di ritiro da Iraq e Afghanistan.

Risultato: a un anno dal suo insediamento, il budget militare è salito a 680 miliardi di dollari, a dispetto della disastrosa situazione economica degli Stati Uniti.

Ecco: “perché in tempi di crisi il budget militare continua a crescere?” È una domanda legittima, a cui hanno cercato di rispondere Thomas Fazi ed Enrico Parente, due giovani film-maker freelance, nel loro documentario The standing army. Lo hanno chiesto, tra l”altro, a intellettuali come Gore Vidal e Noam Chomsky, a politici come Edward Luttwak e Hilary Clinton, ai soldati che in queste basi lavorano, nonché a chi deve fare i conti ogni giorno – per vicinanza o invadenza.

La risposta all”interrogativo, però, provoca una catena di altre domande: la spesa militare, spiega il documentario, serve a mantenere e ampliare la rete di basi militari in tutto il mondo. E a cosa servono queste basi? Ma soprattutto, perché esistono?

La presenza militare USA nel mondo è un fatto naturale per molti, quasi scontato e, per i più, è un fenomeno invisibile. Eppure, il documentario ci mostra che non è solo il budget per la spesa militare a provocare le vertgini: 716 basi in 38 paesi del mondo per 250.000 soldati non sono uno scherzo. E a ciò si aggiunge una presenza militare in 110 paesi. No, tutto ciò non è per nulla dovuto al caso né tantomeno è naturale. Non lo è per chi, come la popolazione dell”Isola di Diego Garcia nell”Oceano Indiano, è stata deportata per far posto a una base americana e da decenni lotta per poter tornare nella propria terra.

La domanda rimane: perché esistono le basi? Durante gli ultimi sessant”anni, c”è sempre stata una causa, un nemico esterno combattere: il blocco Sovietico, il narcotraffico, il terrorismo e prossimamente le bombe atomiche che l”Iran non possiede. Ma se provassimo a invertire i rapporti, se non fossero le guerre che generano le basi militari, bensì le basi militari che generano continuamente nuove guerre per giustificare sé stesse, allora cosa dovremmo concludere?

“Le basi sono l”impero” commenta Noam Chomsky. “Gli Stati Uniti sono al tempo stesso una potenza trans-atlantica e trans-pacifica” dichiara Hilary Clinton dal Giappone occupato sessant”anni dopo aver perso la guerra: “in questa regione c”è la pace, ma ci sono delle minacce, come quelle che avvertiamo ogni giorno dalla Corea del Nord, e la missione di sicurezza è essenziale per mantenere la leadership americana ed essere preparati per affrontare le sfide che ci aspettano“. D”altra parte, chi si trova detronizzato in casa propria da una base può ritenersi fortunato, come sembra insinuare Luttwak: in Medio Oriente, infatti, gli USA non hanno intenzioni di costruire basi oltre a quella di Camp Victory, che occupa l”area che una volta era l”aeroporto di Baghdad: l”ideale per gli Stati Uniti, spiega Luttwak, è stabilire la ”cooperazione strategica”. Ma il modello nel Medio Oriente è diverso. Sono dei ”cattivi ragazzi”: “puoi bombardare quei paesi, ma non ci costruisci delle basi.”

Standing Army è pubblicato da Fazi Editore ed è in vendita nelle librerie.

Fonte: www.fabioghioni.net.

http://www.youtube.com/watch?v=4V_Btj1mYaM

 

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