Ankara, il governo osa dire signorno | Megachip
Top

Ankara, il governo osa dire signorno

Ankara, il governo osa dire signorno
Preroll

admin Modifica articolo

13 Agosto 2010 - 21.23


ATF

erdogan_militaridi Orsola Casagrande – il manifesto, 13 agosto 2010.

ANKARA. Il governo turco non sbatte più i tacchi di fronte ai militari. L”ultimo summit annuale del Consiglio Militare Supremo (Yas, un organismo dominato dai militari ma presieduto dal primo ministro) si è chiuso il 6 agosto con la nomina dei nuovi vertici delle forze armate e la promozione di un certo numero di ufficiali, ma per la prima volta la lista presentata dai militari non è stata approvata in blocco. Anzi: l”esecutivo islamico dell”Akp (Partito della giustizia e dello sviluppo) guidato dal premier Recep Tayyip Erdogan ha fatto saltare ben 11 nomi di alti ufficiali candidati a posizioni importanti nella gerarchia militare.


Il governo aveva chiarito che non avrebbe accettato nomine di generali coinvolti un tentativo di colpo di stato del 2003, mirato a destabilizzare l”appena insediato governo islamico. E proprio mentre il Consiglio era in corso, il tribunale di Istanbul ha emesso mandati di cattura per tutti i 102 incriminati in questo caso. Ma nonostante tutti i tagli, nella lista finale delle nomine arrivata sul tavolo del presidente della repubblica Abdullah Gul c”erano però ancora due posizioni che il presidente ha rifiutato di ratificare: le due più alte, quella del capo supremo delle forze armate e quella del comandante delle forze di terra.

Il compromesso non è stato facile, come testimoniano i continui incontri bilaterali tra Erdogan e il capo supremo delle forze armate uscente, il generale Ilker Basbug – figura controversa, considerato l”artefice di una strategia per contrastare il governo in questa fase. E solo lunedì sono stati nominati i due nuovi comandanti: capo delle forze armate Isik Kosaner, capo delle forze di terra Erdal Ceylanoglu. Il candidato dei militari per il posto di capo supremo era il generale Hasan Igsiz, proprio uno dei generali chiamati a deporre nella tentacolare inchiesta Ergenekon (la Gladio turca, accusata di vari piani di destabilizzazione interna).

Non è facile districarsi nel labirinto della politica turca, ma alcuni elementi ora sono più chiari. Il governo sta provando l”affondo nei confronti dei militari. Inoltre Erdogan sta cercando di riposizionare la Turchia spostandola verso oriente (e i recenti accordi con l”Iran ne sono l”esempio più eclatante), pur non rischiando rotture traumatiche con l”occidente. In terzo luogo il premier sta accelerando anche sulla guerra con i kurdi, in questo solo apparentemente sostenendo l”esercito e le sue operazioni. Infatti Erdogan rispetto ai kurdi privilegia la carta della divisione «etnica», condita certo di violenza ma non necessariamente militare.

Il segnale lanciato nel vertice del Consiglio Militare Supremo è chiaro: il governo ha deciso di usare il diritto garantitogli dalla legge di esercitare un ruolo attivo e decisivo nella nomina dei vertici militari. Fin qui nessun governo turco aveva obiettato alla lista fornita dai militari. L”Akp ha osato farlo. Questo non è piaciuto al potere con le stellette, che si trova davanti anche un altro problema. Il 12 settembre (l”anniversario del colpo di stato del 1980) gli elettori della Turchia sono chiamati al referendum di modifica della Costituzione varata dai militari golpisti del 1980. Si tratta di emendamenti che nella sostanza modificano poco, non certo la Costituzione democratica che chiedono la società civile, gli intellettuali e il Bdb (partito della pace e della democrazia, filo kurdo), che stanno facendo una campagna per il boicottaggio. È più che altro una prova di forza da parte dell”Akp che così «osa» violare un altro tabù, quello della Costituzione dei militari.

In questo complicato contesto si inseriscono le ambizioni di Erdogan che sogna una Turchia «faro» nel Medio Oriente ma capace per questo di essere referente unico dell”Europa e degli Stati uniti. L”accordo con l”Iran e il Brasile sull”uranio (Tehran cede uranio arricchito al 3,5% e ricompra barre di uranio arricchito al 20%) va letto in quest”ottica. Per l”Iran la Turchia è un ponte importante verso il mondo occidentale, ad Ankara l”Iran può sperare di trovare un”opinione pubblica attenta e perfino simpatetica. Anche in Palestina (con Hamas) e in Libano (con Hezbollah) l”Iran gode di simpatie, ma non hanno l”importanza strategica della Turchia.

In secondo luogo la Turchia può rappresentare una scappatoia per l”Iran in caso di embargo economico da parte dell”occidente. Per Erdogan d”altro canto, buone relazioni con l”Iran significano poter penetrare nella regione, entrare in buoni mercati per le merci turche e avere rapporti con paesi che possiedono buone fonti di energia (non vanno dimenticate le aspirazioni della Turchia a diventare passaggio del gas naturale e del petrolio). Infine, politicamente, una Turchia con buone relazioni con i paesi di quell”area rappresenta anche un vantaggio per l”occidente, nell”ottica del tenere buoni rapporti anche con l”Unione europea e gli Usa.
Naturalmente le ambizioni della Turchia in quest”area non piacciono a Israele, e però entrambi rimangono «alleati strategici» sotto l”egida degli Stati uniti.

Il massacro della Mavi Marmara, la nave di aiuti umanitari diretta a Gaza e attaccata dagli israeliani, certo ha irrigidito le posizioni turche, ma basta guardare alla lista degli affari con Israele per capire che nulla è cambiato: business as usual. Certo, più sommesso e con molte tensioni. L”ultima è emersa dalla conversazione del ministro della difesa israeliano Barak, registrata a sua insaputa e passata alla stampa, a proposito del sottosegretario turco per il Mit (i servizi segreti turchi), Hakan Fidan: «La sua nomina – ha detto – ci preoccupa, è un sostenitore dell”Iran. Ci sono un bel po” di segreti che ci riguardano di cui la Turchia è a conoscenza che potrebbero finire nelle mani dell”Iran. È molto irritante».

A completare il quadro c”è la questione kurda. È ormai evidente il fallimento della cosiddetta «iniziativa democratica» lanciata dal premier Erdogan come soluzione del conflitto che dura dal 1984 (nella sua ultima fase, quella guidata dal Pkk, Partito dei Lavoratori del Kurdistan). Qualcuno sintetizza così: Erdogan voleva risolvere la questione kurda senza i kurdi, come voler fare una frittata senza uova. Le operazioni militari continuano in tutto il sud est lasciando morti da entrambe le parti.

Ma c”è un nuovo elemento, quello che il Bdp definisce «prove tecniche di guerra civile»: abili provocatori vengono mandati nelle città del Mar Nero, nella costa dell”Egeo o nel sud est (come a Hatay, al confine con la Siria). Scoppiano disordini per vari motivi, dal misterioso agguato a un”auto della polizia (a Hatay), a liti per futili motivi, che si trasformano in assalti violentissimi contro tutto ciò che è kurdo, persone, negozi, case, uffici politici e di associazioni. Luglio e agosto hanno segnato un”escalation preoccupante di questi attacchi. Il governo minimizza e cerca di scaricare la colpa sui «servizi deviati» o elementi paramilitari. E non interviene.

 

Native

Articoli correlati