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Gli Stati Uniti e il Nuovo Mediterraneo

Gli Stati Uniti e il Nuovo Mediterraneo
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31 Gennaio 2011 - 00.49


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nytelbaradeidi Lorenzo Adorni.

Sembra essere sorto un “nuovo vento” che soffia su alcune rive del Mediterraneo, portando una forte richiesta di cambiamento e democrazia. Tuttavia esprimere un”analisi, sui recenti avvenimenti, che ci permetta di identificare gli aspetti caratterizzanti di questo fenomeno è prematuro. Maggior tempo è necessario per osservare come i diversi aspetti si pongono all”interno di una prospettiva di tipo storico. Ad oggi, possiamo solo formulare alcune ipotesi. Personalmente ritengo che sia in atto un tentativo di ridisegnare i rapporti politici e strategici all”interno del Mediterraneo.

Un tentativo di definire un nuovo “Sistema del Mediterraneo” basato su delle democrazie. Certamente queste rivolte non possono, come sostengono alcuni, “viaggiare con i media” o trasferirsi da un paese all”altro sulla base degli accadimenti dello stato direttamente confinante. Per l”instaurazione di questi fenomeni di rivolta servono delle condizioni necessarie, delle precondizioni che devono essere già presenti e da tempo consolidate.

Alcune di queste, come i problemi economici e politici, erano presenti da tempo, in maniera più o meno latente, anche se diversamente, in tutti gli stati coinvolti.

Queste precondizioni strutturali hanno causato a livello sociale un terreno fertile per la nascita di queste proteste. La situazione di questi paesi era la medesima da anni, in alcuni casi da decenni, nonostante ciò, proprio in questi giorni sembra essere scattata un”ora “X” che è risulta valida per tutti, quasi simultaneamente.

Nonostante il fatto che questi stati stessero attraversando periodi differenti sul piano politico interno.

L”Egitto ad esempio, appena uscito dalle elezioni politiche si avviava verso le elezioni presidenziali, mentre Albania e Tunisia no.

Nonostante ciò, credo che esista un filo conduttore che unisca i casi diversi di Tunisia, Egitto, Albania e Algeria . In molti di questi stati erano presenti dittatori o leader politici filo occidentali ma, ormai giunti al termine della propria vita politica.

Dittatori di regimi ormai divenuti instabili, aperti con estrema facilità a lasciare spazio ad ulteriori colpi di stato o rivolte, magari sostenute da forze fondamentaliste, come la fratellanza musulmana in Egitto. Regimi che in caso di crollo avrebbero potuto dare il via a dei cambiamenti di alleanze sul piano dei rapporti internazionali. Magari a favore di altre potenze non occidentali. Personalmente ritengo che gli Stati Uniti, al fine di evitare questa eventualità, abbiano scelto di intervenire liberandosi di questi regimi incapaci di qualsivoglia cambiamento.

Un intervento con il fine ultimo di mantenere i rapporti di forza, a loro favorevoli, all”interno del Mediterraneo. Intraprendendo un” operazione alquanto rischiosa ma, qualora riuscisse altrettanto efficace. Attuando delle strategie politiche che sembrerebbero essere uscite direttamente da il “De Principatibus ” di Machiavelli.

Di fronte a questa situazione si sarebbe potuto intervenire in due modi.

Nel primo dei casi, adottando scelte conservative e operando con prudenza, con una buona dose di diplomazia, tentando di salvare i regimi in questione. Magari favorendo delle “sostituzioni pilotate” di un dittatore a favore di un altro. Una scelta che ipoteticamente darebbe maggiori possibilità di riuscita ma, garanzie solo nel breve periodo.

Infatti anche favorendo il cambiamento di un dittatore o di un leader di governo, l”instabilità strutturale di fondo del regime, nel suo complesso,sarebbe rimasta tale . L”alternativa, quello che secondo la mia opinione gli Stati Uniti stanno attuando,è l”esatto opposto. Una pratica che sarebbe stata particolarmente gradita al nostro segretario fiorentino: operare con la massima audacia possibile, rischiando molto nel caso di sconfitta ma, ottenendo infiniti maggiori vantaggi nel caso di successo.

Come? Sostenendo, invece che nuovi leader, nuovi movimenti sociali, sostenendo la popolazione dal basso, i cittadini, le manifestazioni apparentemente sorte spontaneamente.

Sostenendo cioè le richieste di cambiamento, non dei leader ma, dei regimi. Favorendo la nascita, dal basso, delle democrazie in Medio Oriente.

Ben sapendo che regimi di tipo democratico, una volta consolidati,sono in grado di garantire maggiore stabilità sul piano interno e internazionale, anche nel lungo periodo. Compiendo cioè quell” operazione che l”amministrazione Bush aveva tentato erroneamente di fare con la forza delle armi.

L”amministrazione Bush, nel suo tentativo di “esportare la democrazia” fallì proprio per l”assenza di quelle prerogative fondamentali, in mancanza delle quali, un regime democratico non può sorgere.

Differentemente l”amministrazione Obama ,sembrerebbe star affrontando il problema nella maniera diametralmente opposta. Favorendo lo sviluppo della democrazia, con un cambiamento più pacifico possibile e stimolando le prerogative sociali, economiche e politiche già presenti nei suddetti paesi, in assenza delle quali i regimi democratici non si possono instaurare.

Le recenti richieste da parte statunitense di non reprimere con la forza e di dare ascolto ai manifestanti, sembrerebbero confermare l”intenzione di muoversi politicamente in questa direzione, a favore delle grandi masse di manifestanti.

Se così fosse, per gli Stati Uniti, paese in crisi che molti vedevano già ridimensionato sfavorevolmente sul piano internazionale, sarebbe un”occasione di rilancio inaspettata. Un evento dalla portata storica non indifferente, probabilmente in grado di influenzare la politica internazionale per anni. Il tempo e i futuri accadimenti ci daranno maggiori risposte.

 

Fonte: http://www.lorenzoadorni.com/wordpress/?p=320.

 

 

 

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