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Reportage da Damasco

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4 Maggio 2012 - 23.44


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siria 20120505

di Marinella Correggiawww.ilmanifesto.it

Di seguito, due reportage di Marinella Correggia scritti poco prima della vigilia del controverso appuntamento elettorale siriano.

1 – SIRIA: GRANATE E ORTAGGI A DAMASCO*

Nella capitale blitz notturni e clima pre-elettorale. Invisibili al mercato gli effetti delle sanzioni. Le scelte liberiste del governo hanno fiaccato l”economia. E ora non si vede più un turista. Oggi 15 soldati uccisi ad Aleppo.

Damasco, 02 maggio 2012, Nena News – Era l”una di notte fra domenica e lunedì quando chi ancora camminava nel fresco delle vie centrali di Damasco (qui chiamata Cham) ha sentito prima un colpo sordo come di granata, poi diverse raffiche.

Anche a poche strade di distanza, nessuno si è scomposto. C”è stato anche un attacco con Rpg alla polizia, vicino all”opedale ibn al Nafis. E ieri mattina un funzionario della tivù Addounia è stato testimonedell”attacco mortale a un”auto delle forze dell”ordine sulla strada dell”aeroporto.

Per il resto tutto sembra normale. I mercati e i chioschi sono pieni di legumi, ortaggi, frutta. Damasco non mostra segni di penuria alimentare, mentre nelle province colpite dalla crisi e dal fenomeno degli sfollati, la Mezzaluna Rossa e la Croce rossa internazionale hanno dovuto portare aiuti.

I pulman e pulmini sono molto economici – anche rispetto ai salari siriani – e quelli notturni continuano a viaggiare, con l”eccezione di zone periferiche più problematiche. Ma padroni della strada sono le automobili, molte delle quali importate di recente, in seguito alla liberalizzazione dell”import; però il gasolio, il carburante più economico, sovvenzionato, è di cattiva qualità e così l”aria è molto inquinata, spiega Qasem, esperto di “protezione dei consumatori” e giornalista del quotidiano Al Thawra («Rivoluzione», statale come altri due, poi ce n”è uno privato; sono talmente sovvenzionati che il prezzo di acquisto di una copia è vicino allo zero).

In vista delle elezioni legislative del prossimo 7 maggio, il signor Ezzeh Mohamed è l”unico, fra i candidati “indipendenti” dai partiti, a elencare saggiamente sul suo manifesto elettorale un piccolo programma articolato in sei semplici punti. Fra i quali c”è la sempreverde «lotta alla corruzione» ma anche «rilanciare l”economia nazionale». Che la grave crisi politica e umana del paese non aiuta di certo. Anche se, dice sempre Qasem, «alle sanzioni internazionali o statunitensi siamo abituati da sempre e possiamo resistere; godiamo di autosufficienza alimentare – con riserve di grano – e abbiamo diverse industrie». L”università continua a costare pochi dollari all”anno.

Certo il settore turistico è in forte crisi. «Non arriva più nessuno» si lamenta il venditore di ceramiche e argenti vicino a una delle porte della città, Bab Tuma. Stava imparando l”italiano al Centro culturale «ma l”hanno chiuso. L”insegnante voleva restare. Ma il mondo tratta tutti i siriani come appestati». Cento famiglie egiziane sono tornate a casa per la crisi dei ristoranti nei quali lavoravano. L”unico rimasto è forse Mina, custode copto della chiesa di Anania, la più antica del mondo. «Dal Cairo mia sorella mi telefona inquieta – spiega – , il dominio dei Fratelli musulmani si sente, altro che rivoluzione». Ma hanno votato, gli egiziani. «Fiumi di soldi esteri – aggiunge Mina – sono corsi per indirizzare questo voto, sfruttando la povertà e il richiamo alla religione». In tanti tengono a precisare che la Siria è rimasta ormai l”unico stato laico del mondo arabo.

Critici verso le politiche di apertura al mercato, i due partiti comunisti presenti in parlamento. «Gli ultimi sei anni hanno reso la Siria più debole; le politiche neoliberiste, definite “economia sociale di mercato”, hanno creato il terreno per questa che io chiamo controrivoluzione; abbiamo cercato di contrastarle ma siamo pochi in Parlamento» ha detto giorni fa Ammar Baghdash, storico segretario del Partito comunista siriano, secondo il quale è «essenziale in questo processo il ruolo dei reazionari del Golfo. Noi chiediamo che si torni al ruolo dello stato nell”economia, anche per contrastare i monopoli mondiali. Quando le richieste dei lavoratori sono state soddisfatte, la Siria è diventata più forte».

Ossama Al Maghout dell”Unione giovanile comunista dice che i militanti hanno cercato di avere un ruolo di mediazione rispetto a chi si è unito alla protesta per ragioni economiche, in certe province. Sostiene che molti – per esempio fra gli agricoltori, che hanno subito anni di siccità e tagli dei sussidi – hanno cambiato atteggiamento di fronte alle violenze dell”opposizione armata. Quanto al partito, «siamo all”opposizione nella politica interna economica della Siria, mentre la politica estera la condividiamo completamente».

Analoga diagnosi da parte del Partito comunista siriano-Unificato, per il quale non è in atto una rivoluzione ma un attacco violento sostenuto da potenze straniere ben poco progressiste, dal Qatar agli Usa, che sfruttano gli errori commessi dal governo. Sulla presunta vicinanza di poveri e contadini all”opposizione, il giovane Salam tira in ballo il fattore religioso: «Quando siamo andati a raccogliere le olive per finanziare il partito, anche noi atei pregavamo perché la pioggia non ci impedisse di lavorare. I contadini sono più dipendenti dal cielo, dall”alto. La religione ha forse più presa su di loro».

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2 – SIRIA: PROFUGHI IRACHENI IN FUGA DALLA FUGA**

Non cessano nel frattempo le violenze. Ieri quattro studenti dell”universita” di Aleppo sono stati uccisi in raid polizia, altri 28 feriti. Il capo degli osservatori Onu Robert Mood esorta regime a far tacere per primo le armi. Le opposizioni boicotteranno le elezioni.

Damasco, 04 maggio 2012, Nena News – «Peggio dei terremoti e delle tempeste è l”odio settario. Per la nostra religione è un peccato gravissimo. Chi uccide una singola persona è come se uccidesse l”umanità intera, dice il Corano. Eppure le potenze esterne hanno fatto in modo di alimentare il settarismo violento anche in Siria». Il maestro Ali è un musulmano praticante e sunnita che vive nel paese di Jbab, governatorato di Deraa (considerato roccaforte dell”opposizione al governo), a 40 minuti di pulman da Damasco.

A Damasco, nel quartiere di Jaramana, la sera gli iracheni (uomini) si ritrovano a giocare a scacchi e bere tè sotto una grande tenda arredata, allestita due anni fa da uno di loro. Il numero (fluttuante) di iracheni rifugiati in Siria è di oltre 1.100.000 persone più 300mila prive di status (aggiungiamoci moltissimi palestinesi e libanesi). Damasco ha sempre concesso permessi di soggiorno rinnovabili ma questa enormità di rifugiati è certo un peso. Saliti i prezzi degli affitti e delle case, aumentati i fenomeni di delinquenza, disagio, prostituzione. A parte i (pochi) aiuti alimentari forniti dall”Unhcr, l”assistenza sanitaria gratuita come la scuola pure gratuita (ma molti bambini iracheni non ci vanno e lavorano), questi rifugiati teoricamente non possono lavorare; comunque l”occupazione al nero è tollerata e onnipresente (magari si ricorre a prestanome siriani). Saad (di Baghdad) gestisce una lavanderia: «Siamo scappati in Siria perché qui era più facile essere accolti, la vita costava poco, eravamo vicini al nostro paese e le tradizioni sono simili. Ma adesso vediamo che si danno appoggi ai gruppi di fanatici come quelli che ci hanno fatto partire dall”Iraq. Volete bruciare la Siria con tutti i suoi abitanti? Molti iracheni stanno cercando di andar via. C”è anche una politica per farne andare un po” in Turchia a gonfiare le cifre sui rifugiati dalla Siria».

Sotto la tenda-bar, il signor Abdel Fatteh spiega che a causa delle sanzioni bancarie è adesso difficile ricevere la pensione dall”Iraq. «Sono venuto qua nel 2006 con mia moglie e tre figli per il pericolo di attentati, le violenze settarie, i rapimenti.Adesso rivedo tutto qui». Majid è arrivato nel 2007 con moglie e cinque figli dopo che altri tre gli sono stati uccisi; uno dopo un rapimento, e due gemelle in un”esplosione in città. Lavora come piccolo commerciante ma la crisi della Siria ha danneggiato tutti. Ha fatto l”intervista per trasferirsi.negli Stati Uniti.

Rimarrà invece a Homs e non tornerà nel paese dell”Est europeo che ha lasciato 29 anni fa con il marito siriano la signora M. Attualmente in visita a Damasco, chiede di non precisare né il suo paese d”origine né il quartiere in cui vive perché «credo di essere una delle pochissime straniere ancora lì e rischio». Torna spesso a casa e anche là c”è disinformazione sulla Siria. Ecco la sua versione dell”«assedio a Homs»: «Dove vivo ci sono sunniti come è mio marito, alaouiti, cristiani : siamo circondati su tre lati da quartieri che si erano riempiti di gruppi armati, soprattutto Khalidyia. Noi chiedevamo più presenza dell”esercito, perché era rischioso uscire dal quartiere, mia figlia non è più andata all”università, tanti non andavano al lavoro. Per poter viaggiare fuori Homs hanno riattivato la vecchia stazione delle corriere, in una zona tranquilla. C”era un grande rischio per via dei cecchini, mio marito medico in pensione un giorno ha soccorso una donna colpita di striscio in strada». Ma dicono che sono tiratori del regime.«Ci sono diversi video in cui i terroristi rivendicano le loro azioni – perfino decapitazioni, impiccagioni – e le mostrano anche». Ma a febbraio l”esercito ha bombardato Homs e Khalidya uccidendo civili? «Certo c”è stata battaglia – non si poteva lasciare un”intera area nelle loro mani – e molte case sono danneggiate. Da Baba Amr e Khalidyia i civili se ne erano andati quasi tutti. Ma i terroristi avevano preso ostaggi, scudi umani che una volta liberati hanno raccontato la loro storia».

Gaith («Pioggia») è studente alla facoltà di odontoiatria a Damasco e va a Homs tutti i mesi a trovare la famiglia abitante nel quartiere Al Zahra. Ecco la sua versione. «Il mio quartiere era quasi accerchiato, era pericoloso uscire per andare a lavorare altrove; si rischiavano rapimenti, uccisioni di alaouiti, cristiani, e sunniti che non stavano con i terroristi. Da Khalidya e Bara Amr arrivavano a Zahra e Akrama attacchi come quello che ha ucciso il giornalista francese. Prima di febbraio l”esercito non c”era a Homs, c”era solo la polizia. Il governo aveva mandato in quei quartieri dei religiosi per negoziare ma non hanno voluto; volevano fare un”altra Bengasi. Allora è arrivato l”esercito». I media dicono che l”esercito ha ucciso tanti civili a Homs. «Dei civili sono morti fra i due fuochi. Ma in genere gli uccisi non erano civili, erano ben armati». E la strage di Karm Zeitoun, tutti quei morti che abbiamo visto negli orribili video diffusi in marzo? «Sono stati i terroristi. L”hanno detto anche i parenti sopravvissuti».

* Articolo pubblicato il 1 maggio 2012 dal quotidiano il manifesto.

** Articolo pubblicato il 4 maggio 2012 dal quotidiano il manifesto.

Entrambi gli articoli sono stati tratti da http://nena-news.globalist.it/


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