'L''ordine a Gaza e il caos imperiale' | Megachip
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'L''ordine a Gaza e il caos imperiale'

'L''ordine a Gaza e il caos imperiale'
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21 Novembre 2012 - 15.14


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LO SCENARIO OLTRE LA TREGUA

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di Vera Saila Megachip.

A Gaza le forze armate israeliane vogliono imporre un qualche ordine. Non si nota molto, perché anche sui nostri schermi dalla Palestina non arriva ordine. Arriva il sangue fra le macerie, un sangue d”infanzia che non può presagire nessun assetto accettabile. E non si vede spazio per l”ordine anche per via di uno scompiglio più vasto che incombe sul mondo, un caos sistemico. Eppure qualche puntino dovremo unirlo. Pazienza se il disegno non sarà perfetto. L”attacco a Gaza si presenta in continuità con l”uccisione a Bengasi del plenipotenziario statunitense per il MO e il Nord Africa, l”ambasciatore Chris Stevens, un delitto che ha impresso una svolta su tutto lo scacchiere del “Medio Oriente allargato”. Vediamo lungo quali scenari.

http://www.youtube.com/watch?v=FzE3kxPe7CI

1) Hamas è parte della Fratellanza Musulmana.

2) I Fratelli Musulmani sono una delle colonne delle c.d. “primavere arabe”. Hanno preso il potere politico in Egitto col consenso dei militari e sono storicamente la spina dorsale delle rivolte contro il regime Baath in Siria.

3) Il passaggio di consegne in Egitto era stato già predisposto da Hillary Clinton due anni prima della caduta di Mubarak. Quindi i Fratelli Musulmani, pur cercando di garantirsi una certa autonomia, sono di fatto alleati fidati degli USA.

4) In Siria vale lo stesso discorso, anche se oggi i Fratelli Musulmani (con contorno di comunisti o ex comunisti scellerati) se la devono vedere con la concorrenza jihadista, composta da un tipo di personale che – una volta assunto – non puoi licenziare come vuoi, perché difende il suo lavoro con argomenti sindacali calibro 7,62 mm.

5) L”intromissione degli jihadisti è avvenuta perché gli USA da sempre utilizzano i fondamentalisti nelle questioni nordafricane e del Vicino Oriente. Basti pensare all”Afghanistan. Ma occorre anche pensare alle ambiguità dei rapporti degli USA con gli ayatollah iraniani, dall”affaire Iran-Contras, al ruolo anti-Saddam della Repubblica Islamica e degli sciiti iraniani ed anche la crisi degli ostaggi americani nel 1979-1980.  Si divaricano diverse strategie, che oggi si rispecchiano nell”ostilità tra Ahmadinejad e ormai tutti gli ayatollah che formano il rissoso establishment iraniano.

6) L”utilizzo degli jahidisti, via Qatar e Arabia Saudita, è stato reso possibile dall”annuncio ufficiale dell”«uccisione» di Osama Bin Laden nel 2011 (per Barack Obama era la continuazione con altri mezzi del suo famoso discorso del Cairo del 2009). Ma è stata una mossa arrischiata da parte degli USA. Il muro che Russia e Cina hanno opposto all”intervento militare li ha spinti a manovre più avventuriste. La preoccupazione statunitense che gli jihadisti mettano le mani su armi troppo sofisticate è reale. Da sempre li usano come carne da cannone, ma gli jahidisti lo sanno benissimo, e quindi periodicamente si rivoltano contro i loro sponsor “traditori” da cui vengono a quel punto direttamente o indirettamente massacrati (e all”uopo è meglio che non posseggano armi avanzate). Ma l”abbiamo detto: c”è caos. E nel caos le ciambelle non sempre riescono col buco.

7) Ancora una volta si può constatare che l”imperialismo, pur a volte con contraddizioni importanti, alla fine si appoggia sulle forze più reazionarie dei Paesi che vuole sottomettere. È sempre stato così. In Algeria la shari”a fu mantenuta dai colonizzatori francesi al fine esplicito di discriminare gli Algerini. In India gli Inglesi combatterono contro i movimenti a favore dell”abolizione delle caste e rinvigorirono il sistema latifondista che stava scomparendo.

Il discorso di Obama all”università del Cairo nel 2009 si inseriva in questa tradizione: gli USA vogliono ristabilire un”alleanza con le forze islamiche conservatrici e reazionarie. D”altronde l”alleato più saldo nella regione è l”Arabia Saudita fin dai tempi del patto tra Franklin D. Roosevelt e la Casa Saud (“the defense of Saudi Arabia is vital to the defense of the United States“). E la Casa Saud è il ricettacolo del peggior fondamentalismo islamico (tanto per fare un esempio furono imam wahabiti inviati dall”Arabia Saudita che convinsero i taliban a distruggere le statue di Bamyan, mentre gli ayatollah iraniani scongiuravano di non farlo).

8) Il discorso di Obama al Cairo era una mossa obbligata consequenziale alla sua strategia imperiale. Bush jr con l”11 settembre aveva deciso che gli USA potevano fare da soli, una volta caduta l”URSS, e andare alla conquista militare e poi politica di Medio Oriente e Asia Centrale. Inutile ripercorrere in dettaglio le tappe che hanno scombinato quella strategia unilaterale. Già durante il suo secondo mandato anche Bush Jr (o, meglio: il suo entourage), dovette prendere atto che le cose non erano andate nel verso che speravano. Putin era succeduto al cleptocrate Eltsin, la resistenza taliban in Afghanistan riprendeva l”iniziativa, in Iraq i gruppi sciiti giocavano sporco per far guadagnare quanta più influenza regionale possibile all”Iran. Così fu decisa una svolta strategica e il dottor Stranamore Donald Rumsfeld fu soppiantato dal più flessibile Robert Gates. Che infatti fu tenuto al suo posto da Obama (segno tra l”altro, ma non per gli accecati e osannanti gattini di sinistra, della continuità strategica statunitense – come aveva predetto pure il vescovo di Baghdad, Jean Sleiman).

9) Questo scenario non poteva che impensierire Israele. Lo stato-non-ebraico-ma-sionista (definizione dello storico israeliano Ilan Pappé) non è un facile alleato. È vero che sulla questione palestinese si sono messi in scena molti teatrini (tragici) con protagonisti anche i Sauditi e i qatarioti mascherati da irriducibili filopalestinesi (un teatrino – tragico, ripetiamo – che ha una lunga tradizione, basti pensare alla falsa guerra tra la Giordania e Israele nel 1948). Ma Israele da sempre si riserva, almeno come minaccia, una propria libertà d”azione in vista dei suoi specifici obiettivi strategici che, al di là di quelli ideali della Grande Israele, puntano a far diventare lo stato-non-ebraico-ma-sionista la potenza predominante nella regione.

In quest”ottica si apprezzano meglio queste parole di Noam Chomsky a proposito della guerra dell”ottobre del 1973: “Again, the threat [to use nuclear weapons] was directed at the United States” (Fateful Triangle. The United States, Israel, and the Palestinians, Pluto Press, 1999, Capitolo 7: The Road to Armageddon, pag. 784). Ovvero: Cara America, se non mi sostieni in tutto e per tutto posso compiere “atti di follia”, come sosteneva già nel 1954 il ministro israeliano della difesa Pinhas Lavon. Si dice che un suo successore, Moshe Dayan, un giorno commentò: «Israele deve essere come un cane arrabbiato, troppo pericoloso per essere disturbato».

Quindi Israele è ossessionata dal timore di non essere più l”alleato numero uno degli USA nell”area. Ed è ancora più sconcertata dal fatto che a toglierle la primogenitura potrebbero essere forze dell”Islam politico.

Chiedersi allora chi abbia messo in piedi la messinscena del film-trappola “Innocence of Muslims” che serviva a coprire l”uccisione di Stevens (tra l”altro incline a negoziare con Hamas), è puramente formale.

10) In definitiva i palestinesi di Gaza stanno pagando con indescrivibili sofferenze un braccio di ferro che, almeno per ora, è all”interno dello stesso campo imperiale. Sulla loro pelle si gioca una partita in cui ha modo di esercitarsi il cinismo di tutti i soggetti in campo. Occorrerà vedere la profondità strategica della nuova operazione militare israeliana. In realtà Israele potrebbe anche giocare la carta della tregua. Ha già raggiunto due obiettivi: testare il suo nuovo sistema anti-missilistico e azzoppare la funzionalità non tanto di Hamas quanto degli jihadisti nella Striscia di Gaza: per via delle peculiarità di Gaza l”ambiente jihadista – pur sunnita – ha ancora un “sentiment” filo-iraniano, Hamas non più. L”ambiente riottoso del Jihad è l”unica componente che avrebbe potuto dare problemi in futuro. Questi obiettivi Israele li ha raggiunti. Con una tregua, inoltre, consentirebbe all”Egitto, cioè ad un non-nemico, di fare diplomaticamente una bella figura (e a Washington sarebbe una carta molto apprezzata) e spingerebbe ancor di più Hamas in quella direzione. Risolti questi problemi, con il prezzo di vite umane che sappiamo, si aprirebbero comunque a breve nuovi spazi per una spaventosa recrudescenza dei disordini in Siria. Se cadesse il regime di Damasco gli effetti si trasmetterebbero anche sul Libano.

E” un altro esempio del caos sistemico che caratterizza la nostra epoca e, in particolare, degli esiti della strategia del caos imperiale statunitense.

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C”è da ammettere che questa è un”analisi poco ortodossa e basata molto sul ragionamento e solo in parte sui dati. Più precisamente, è basata sui dati visibili (come ad esempio l”appoggio dato da Hamas ai “ribelli” anti Assad e l”esplicita denuncia di un esponente di questi ultimi che Israele con l”attacco a Gaza farebbe il gioco di Assad). I dati nascosti io non li conosco e li posso solo immaginare e dedurre col ragionamento.

Tuttavia occorre rifarsi a un”interpretazione più vicina alla realtà di quelle dettate dalle divisioni ideologiche e manichee: jihadisti contro l”Occidente e Israele, i governati palestinesi da una parte, Israele da un”altra, l”Iran tutto unito e tutto di qui, la Siria tutta di là, eccetera. Ribelli da una parte e oppressori dall”altra.

Una volta era più facile. Almeno ai tempi della guerra del Vietnam. Ma si era solo all”inizio del caos sistemico. Oggi siamo nel bel mezzo.



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