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Egitto e Tunisia a due anni dalle rivolte

Egitto e Tunisia a due anni dalle rivolte
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17 Gennaio 2013 - 16.11


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Intervista a Rosita Di Peri, docente di Storia del Medio Oriente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell”Università degli Studi di Torino

rivolte arabe 20130117

di Anna LamiMegachip

Le rivolte arabe iniziate nel dicembre 2010 in Tunisia ed Egitto hanno avuto un carattere di rivendicazione sociale a richiesta di maggior democratizzazione e trasparenza politica. Dopo la fase in cui sembravano prevalere istanze laiche e progressiste, nelle prime elezioni libere tanto in Tunisia quanto in Egitto hanno vinto forze confessionali che avevano tenuto un profilo defilato nelle mobilitazioni di piazza. Come mai a suo avviso cӏ stata questa evoluzione?

Se guardiamo alla natura dei regimi che hanno dominato buona parte del mondo arabo prima dello scoppio delle proteste della cosiddetta “primavera araba”, possiamo notare un comune denominatore, ossia la messa al bando dei movimenti islamisti. Un elemento che ha radici risalenti al periodo della costruzione dello stato nel mondo arabo, ossia il periodo post coloniale. In quell”epoca l”ideologia dominate fu prevalentemente quella nasserista di stampo socialisteggiante che, pur riconoscendo un ruolo importante all”Islam dal punto di vista socio-culturale, marginalizzò e mise al bando movimenti e partiti politici che ad esso si ispiravano.

 Così accadde in Egitto dove i Fratelli Musulmani furono non solo esclusi dal gioco politico ma anche perseguitati sia durante il periodo nasserista (nonostante il loro sostegno attivo a Nasser durante il colpo di stato del 1952), sia durante il governo di Sadat, ma anche in Tunisia, prima con Bourghiba e poi con Ben Ali (nonostante il riconoscimento del partito Ennahda – rinascita  di Gannouchi nei primi tempi della sua Presidenza).

Nel corso del 2011 la caduta di regimi che per lungo tempo avevano soppresso la libertà di espressione e di associazione, ha avuto tra le sue conseguenze più significative il ritorno degli attori islamisti. Questi ultimi sono tornati alla ribalta riuscendo in breve tempo ad occupare vittoriosamente la scena politica sia in Egitto sia in Tunisia rispettivamente con il Partito Libertà e Giustizia legato ai Fratelli Musulmani, ed il partito Ennahda, anch”esso di matrice sunnita ed ispirato dall”ideologia dei Fratelli. In tal senso va notato come, proprio per quanto riguarda la Tunisia, i due capi di stato che si sono alternati dopo l”indipendenza, abbiano avuto un ruolo chiave nel bloccare lo sviluppo di un islamismo moderato.

I movimenti islamisti che si sono affermati in questi paesi hanno, credo, in un primo momento, temuto di essere nuovamente oggetto di repressione. Così è possibile spiegare, almeno in parte, il mantenimento di un basso profilo durante le manifestazioni di protesta della prima ora. Tuttavia ritengo che vi sia anche un”altra ragione da considerare: le formazioni politiche di ispirazione islamista hanno cercato di preparare il terreno per la discesa in campo prima di esporsi in maniera più evidente. Va comunque ricordato che, almeno per quanto riguarda l”Egitto, i gruppi islamisti, al di là della loro partecipazione “alla piazza” (che comunque c”è stata), hanno avuto (ed hanno) un forte radicamento presso la popolazione grazie al complesso ed articolato sistema di welfare costruito nel corso degli anni, che ha permesso loro di avere una base “pronta” alla chiamata. Per quanto riguarda la Tunisia, invece, la carta vincente per Ennahda è stata a mio avviso il fatto di presentarsi come partito islamista democratico moderato “alla turca”. Accreditarsi come partito islamista aperto al dialogo con gli altri partiti e disposto, almeno sulla carta, a portare avanti riforme condivise ha fatto di Ennahda un partito modello nel panorama tunisino e arabo, facendo dimenticare a molti le sue origine salafite.

I giovani e le donne erano stati e continuano ad essere tra i protagonisti più combattivi nelle mobilitazioni, ma gli osservatori hanno posizioni divergenti su quali settori sociali abbiano portato in piazza il malessere. A suo avviso quali classi sociali hanno rivestito il ruolo di motore delle rivendicazioni?

È molto difficile rispondere a questa domanda. Senza dubbio il ruolo dei giovani e delle donne nelle proteste è innegabile, così come è innegabile il loro coinvolgimento attraverso i cosiddetti social network. Non penso, tuttavia, che si possa fare un discorso univoco per tutti i paesi ma è bene distinguere caso per caso. Per quanto riguarda l”Egitto, com” è noto, ben prima delle proteste esistevano gruppi pro-democracy attivi nell”ambito dei diritti umani. Forse i più conosciuti tra questi movimenti erano il movimento Kifaya (basta) e quello del 6 aprile. C”era dunque un consolidato tessuto sociale, ed in parte anche politico, abituato a protestare ed a rivendicare e che al suo interno, ovviamente, contava anche molti giovani e donne. Non si tratta di un fenomeno nuovo in Egitto, dove lo sviluppo dell”associazionismo può essere fatto risalire alla fine del ”800 ed ha assunto una dimensione rilevante durante l”epoca “liberale”, all”inizio del ”900. Accanto alle categorie a cui abbiamo accennato, affiancate ovviamente dalle immancabili Organizzazioni Non Governative (Ong), sulle quali il dibattito è molto ampio e controverso (basti pensare alla questione del loro finanziamento ed alle accuse mosse di recente ad alcune Ong dal Ministero della Solidarietà Sociale, ma anche al dibattito accademico), è importante considerare anche il forte ruolo che hanno avuto e continuano ad avere i sindacati. Infatti, pur essendo in buona parte legati al regime di Mubarak, hanno giocato un ruolo importante nel tenere viva l”attenzione della società su temi sociali e rivendicazioni politiche delle classe operaia e, più generalmente, delle classi svantaggiate.

Per il caso dell”Egitto, dunque, penso che si possa affermare che la piazza sia stata percorsa da varie anime e che la fotografia sia composita. Proprio di recente ho incontrato un”attivista e film maker egiziana, Jasmina Metwaly del collettivo Mosireen (http://mosireen.org) che, attraverso i suoi video, sta svolgendo un lavoro didattico e di archivio della memoria sulle manifestazioni di Piazza Tahrir degli ultimi due anni ma anche sulle rivendicazioni sociali meno note ai grandi media del paese. Jasmina confermava come la protesta in Egitto sia stata trasversale e che, specialmente dopo gli ultimi decreti di Morsi dello scorso Novembre, siano scesi in piazza anche “gli iscritti al partito del divano” come li ha definiti lo scrittore egiziano Ala al-Aswani (ossia coloro che avevano guardato la rivoluzione da casa loro non partecipandovi attivamente).

Va però detto che, i movimenti più politicizzati, quelli in qualche modo abituati a condurre azioni di rivendicazione e di protesta, non si sono certo caratterizzati per il ruolo di guida della piazza: sono rimasti tutto sommato piuttosto nell”ombra durante le proteste, a causa dei continui attacchi da parte del Consiglio Militare ma anche del loro essere minoritari tra la popolazione.

Dopo l”insediamento di nuovi governi, in Egitto ed in Tunisia il malcontento sociale ha continuato ad esprimersi anche in forme radicali. Secondo lei è concreta la possibilità di un ulteriore sviluppo delle “primavere arabe” in senso laico e democratico oppure la tendenza islamista è destinata a caratterizzare ancora per lungo tempo queste società?

Penso che il punto sia proprio relativo a che cosa intendiamo per stato laico e democratico e di converso stato islamico nel mondo arabo. A questo proposito mi vengono in mente le dichiarazioni di Abdul Jalilin Libia: appena eletto, dopo l”uccisione di Gheddafi, aveva dichiarato che “come stato islamico la Libia adotterà la Sharia come legge principale e le leggi che violeranno la Sharia saranno dichiarate nulle o illegali”. Tale dichiarazione fece molto discutere in Occidente creando un”ondata di panico, certo alimentata anche dai media. Si tratta di reazione da inserire in un più ampio discorso su che cosa rappresenti la Sharia nel mondo arabo-islamico. Prendendo sempre come esempio la Libia, i commentatori ed alcuni analisti ignorarono (e continuano a farlo) come, essendo la Libia un paese in cui l”Islam è dominante con il 97% della popolazione, la Sharia intesa come quadro generale rappresentasse già prima il riferimento legislativo della popolazione libica. Quella araba è una regione in cui la più parte degli Stati fa riferimento alla Sharia come fonte del diritto, specialmente nel settore del diritto alla persona ed in quello di famiglia.

Una volta chiarito questo aspetto che serve per contestualizzare, va comunque detto che un”adesione stretta alla Sharia ed ai suoi principi potrebbe portare sicuramente a problemi nella gestione delle minoranze e nella tutela dei diritti delle donne, nonché a restrizioni nell”ambito delle libertà individuali.

Bisogna quindi capire di quale “deriva islamista” stiamo parlando, di quale Islam. L”Islam politico è ormai una realtà con esempi anche di successo come il caso dell”AKP in Turchia. Il partito Ennahda anch”esso sembra muoversi su posizioni moderate in Tunisia (anche se è stato, ad esempio, fortemente criticato per le sue aperture nei confronti dei salafiti) e gli stessi esponenti del partito egiziano Libertà e Giustizia non sembra che finora abbiano reso dichiarazioni che vanno nel senso della creazione in Egitto di uno stato islamico radicale. Anzi, la politica economica da loro promossa, ad esempio, sembra essere “business friendly”, aperta agli investimenti occidentali ed alle privatizzazioni in un”ottica neoliberista. Molti esponenti di spicco degli stessi Fratelli Musulmani sono, infatti, imprenditori di successo. Se davvero l”Egitto stesse virando verso una situazione caratterizzata da un radicalismo islamico, ad esempio come quello che ha segnato l”Afghanistan dei Talebani per un certo periodo, ritengo che le sue scelte strategiche sarebbero diverse da quelle attuali. Quello che invece più gli egiziani temono è una nuova deriva autoritaria, un ricadere nuovamente nelle spire di un regime, sia esso laico o religioso.

È stata infine approvata la nuova Costituzione egiziana, la quale eleva la Sharia a principale fonte di legge. Cosa cambierà a seguito dell”innovazione istituzionale?

La questione della Costituzione in Egitto è abbastanza complicata. Rispetto alla questione della Sharia nel mondo arabo vale il discorso appena sviluppato. Cerco invece di sintetizzare brevemente come si è giunti alla situazione attuale in modo tale da comprendere meglio il quadro complessivo. Dopo l”arresto di Mubarak i poteri sono passati al Supremo Consiglio delle Forze Armate (SCAF). Si trattò di una decisione incostituzionale in quanto secondo la Costituzione del 1971, in caso di impedimento grave del Presidente, i poteri sarebbero dovuti passare al vice-Presidente. Per sanare tale irregolarità lo SCAF decise, il 13 febbraio 2011, di sospendere la Costituzione stessa, chiedendo ad una commissione ad hoc la stesura di un nuovo documento, che è stato approvato due settimane dopo grazie ad un referendum costituzionale che ha quindi portato lo SCAF ad una dichiarazione costituzionale il 30 Marzo 2011. In tale dichiarazione lo SCAF affermava di essere detentore del potere legislativo ed esecutivo fino all”elezione di nuovi organi. Tuttavia, dopo l”elezione di Morsi nel giugno del 2012, non ha lasciato il potere. Si è verificata dunque una confusione di poteri ed, allo stesso tempo, la difficoltà a comprendere quale fosse il documento costituzionale valido: se la vecchia costituzione, se il documento con le modifiche approvate dal primo referendum, se il testo della dichiarazione costituzionale del 30 marzo e via dicendo.

In questa situazione di incertezza i tribunali hanno giudicato molte questioni politiche e per questo sono stati accusati di esser parziali e politicizzati, dalla maggioranza come dall”opposizione. Una delle questioni più delicate in questo quadro era quella relativa all”elezione dell”Assemblea Costituente che avrebbe dovuto elaborare il nuovo testo costituzionale. L”Assemblea Costituente, eletta da una contestata Assemblea del Popolo, ha prodotto il testo costituzionale che è stato sottoposto a referendum lo scorso dicembre.

Tale testo è passato con un 64% dei consensi anche se sono state denunciate irregolarità. Se dunque da un punto di vista formale la nuova Costituzione pone fine al caos istituzionale, non pone certo fine al caos politico: è fortemente contestata ed il suo il testo appare vago e contradditorio. L”art. 48, ad esempio, prevede la possibile imposizione della censura ai media in periodi di forte mobilitazioni pubblica;la libertà di associazione è garantita ma lo stato si riserva il diritto di sciogliere associazioni e/o sindacati. La Sharia, come nella costituzione del 1971, viene considerata la principale fonte legislativa. Tuttavia la nuova Costituzione specifica, per la prima volta, i principi che dovrebbero essere alla base della Sharia concedendo poteri interpretativi molto ampi all”Università di Al-Ahzar.

Ritengo che non sia possibile valutare ad oggi quale sarà la portata di questi cambiamenti. Si prevedono, accanto alle aperture, anche restrizioni ed alcune regolamentazioni appaiono molto severe. Molto dipenderà dalle leggi che verranno approvate nei prossimi mesi così come dall”esito delle elezioni.

Il quadro delle opposizioni al presidente Morsi nel paese è piuttosto variegato. L”opposizione riunita attorno al Fronte di Salvezza Nazionale è stata accusata di essere compromessa con esponenti del vecchio regime ed ora sta cercando un dialogo con la Fratellanza nella prospettiva di modificare alcuni tra gli articoli più controversi della Costituzione. A suo avviso, quali sono i più importanti fattori di debolezza delle opposizioni? A breve in Egitto si terranno le elezioni legislative. E” possibile fare delle previsioni in merito ai possibili sbocchi?

L”opposizione in Egitto è divisa e non si può certo dire che abbia un peso effettivo nemmeno sulla piazza che ormai sembra agire autonomamente. Ritengo inoltre che abbia deciso troppo tardi di riunirsi sotto un unico raggruppamento, il Fronte di Salvezza Nazionale, fattore che l”ha penalizzata sia per quanto riguarda la nuova legge elettorale, sia per l” indecisione rispetto al referendum costituzionale. Nonostante l”appoggio della maggioranza, della piazza e praticamente di quasi tutta la magistratura, l”opposizione egiziana resta frammentata e politicamente divisa, non riuscendo a trovare una rappresentanza unitaria degna di questo nome.

La situazione politica è dunque molto fluida: mi sembra si stia procedendo verso una polarizzazione (Morsi/opposizioni) ed al contempo frammentazione (all”interno dell”opposizione) delle posizioni politiche, dato che sta avendo ripercussioni importanti sul clima politico alla vigilia delle ormai prossime elezioni.

Va comunque considerato che la credibilità di Morsi nel suo complesso è molto diminuita. Se già a partire dalla sua elezione sono stati posti dubbi molto seri sulla veridicità delle sue dichiarazioni e sulla sua volontà di perseguire una strada che portasse davvero l”Egitto alla stabilità politica ed economica, gli eventi di novembre scorso hanno pesato sulla credibilità complessiva del Presidente. Infatti, sebbene, il referendum per la nuova costituzione promosso da Morsi sia passato con il 64% dei consensi, va ricordato come il tasso di astensionismo sia stato molto elevato: nel complesso hanno votato soltanto otto milioni di egiziani sui 25 milioni di aventi diritto, un risultato non certo incoraggiante.


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