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Cina, India, Crimea, Iran. Il gioco delle bocce

La Cina ha interesse a stabilire ottimi rapporti con l’India per contrappesare l’influenza americana sul continente e sui due oceani. Interessi enormi in gioco [A. Giannuli]

Cina, India, Crimea, Iran. Il gioco delle bocce
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26 Giugno 2014 - 10.15


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di Aldo Giannuli.

Nella primavera dell’anno scorso, con il
primo viaggio all’estero di Li Keqiang, si profilò un netto
miglioramento delle relazioni fra Pechino e  Nuova Dheli, dopo il
naufragio del primo progetto di  â€œCindia” che era emerso fra il 2005 ed
il 2008. Il parallelo raffreddamento dei rapporti fra Pechino ed
Islamabad (che, per la prima volta, non fu la tappa iniziale del viaggio
all’estero del massimo leader cinese, mentre questo riconoscimento è
toccato proprio all’India) fu un ulteriore segnale in questa direzione.

Dunque, il rilancio del progetto cinese
di centralità asiatica, a cavallo fra il rinsaldarsi del buon vicinato
con la Russia (iniziato con il patto di Shanghai ) e la ripresa del
progetto di cooperazione con l’India, verso la quale si smorzano diversi
motivi di contrasto, dal contenzioso sul Tibet alla questione
dell’Andra Pradesh, ma soprattutto al contrasto di interessi sull’Oceano
Indiano. Nuova Dheli ha sempre rivendicato l’inclusione dell’oceano
nella sua sfera di influenza e, a questo scopo, ha allestito una marina
militare di tutto rispetto con tre portaerei operanti ed una quarta in
cantiere. La Cina, dal suo canto, ha preferito la strada della
cooperazione economica con i paesi rivieraschi che gli ha consegnato una
serie di porti con cui ha costruito la “collana di perle” che da Mynmar
si sviluppa sino al mar Rosso. Una collana che l’India ha sempre visto
come un capestro intorno al suo collo.

L’apertura della rotta a nord ovest
(attraverso lo stretto di Bering) modera l’interesse cinese per le rotte
nell’Oceano indiano, e potrebbe schiudere  la porta ad un
riconoscimento, almeno parziale,  della rivendicazione indiana  su
quelle acque. Non solo: la prospettiva di utilizzare la rotta pacifica
verso l’Europa, potrebbe interessare i porti dell’India orientale,
inducendo Nuova Dheli a considerare con meno ostilità il progetti di
taglio dell’istmo di Kra, la cui realizzazione permetterebbe di evitare
lo stretto di Malacca, un tratto infestato dai pirati e una possibile
strozzatura delle vie d’acqua cinese da parte degli americani.

Nel frattempo, i cinesi hanno potenziato
considerevolmente il loro sistema di difesa sul mare con la messa in
cantiere di una seconda portaerei, il varo del nuovo catamarano le cui
caratteristiche ne consentono un uso tattico molto aggressivo contro
naviglio nemico di medio tonnellaggio (la sagoma molto bassa permette di
non essere intercettato dai radar, giungendo con brevissimo preavviso
sotto fiancata) ma, soprattutto con il missile balistico Dong Feng 21
(brevemente Df 21) le cui particolarissime caratteristiche (ne
scriveremo) lo rendono una fortissima minaccia per le portaerei
americane.

Il viaggio di Li Kequiang ha comportato
sia il riavvicinamento cino-indiano quanto il simmetrico peggioramento
delle relazioni con gli Usa, inasprito dall’ “opportuno” caso Snowden,
implicita risposta alle accuse americane sulle attività hacker dei
servizi cinesi.

Dunque, si apre una prospettiva di
riassestamento degli equilibri geopolitici di vastissime proporzioni,
nel quale la Cina ha interesse a stabilire ottimi rapporti con l’India
per contrappesare l’influenza americana sul continente e sui due oceani.

Nel frattempo si sono verificati due
eventi i cui effetti su questo processo sono ancora da scoprire: la
crisi di Crimea e la vittoria elettorale di Narendra Modi in India.

La crisi ucraina è ancora in atto ed è
difficile sapere dove le bocce andranno a fermarsi, tanto dal punto di
vista intero all’Ucraina stessa, quanto nei rapporti Russia-Ue, dunque
occorre attendere per fare l’inventario delle tendenze messe in modo, ma
qualcosa si intuisce già ora. In essa cinesi hanno prudentemente
taciuto, ma con un atteggiamento amichevole verso Mosca, ha prodotto la
più grave crisi dei rapporti fra Russia ed Usa dalla fine della guerra
fredda, con la conseguenza di riavvicinare russi e cinesi (come dimostra
l’accordo sul gas del 20 maggio scorso). E’ ancora presto per parlare
di un nuovo blocco eurasiatico fra cinesi e russi (fra i quali non
mancano motivi di contrasto), ma non è una prospettiva che vada presa
sotto gamba, soprattutto se la crisi ucraina dovesse sfociare in una
rottura piena dei rapporti Russia-Ue. Nel caso questo progetto dovesse
prender corpo, è evidente che lo scontro si sposterebbe in India, per
assicurarsi l’acquisizione dell’altra grande potenza asiatica al proprio
blocco. E’ evidente che se cinesi e russi riuscissero ad integrare nel
proprio blocco l’India (o ad ottenerne una benevola neutralità)
avrebbero ottime probabilità di escludere l’influenza americana
sull’Asia e a far definitivamente naufragare il disegno di un ordine
mondiale unipolare. Fallirebbe il progetto di containment della Cina,
perché, da solo, il blocco nippo, coreano, vietnamita, taiwanese sarebbe
una linea molto fragile ed inadeguata.

Vice versa, per gli Usa, ottenere
l’alleanza o la benevola neutralità indiana rappresenterebbe il modo per
ridimensionare la portata strategica di un blocco sino-russo e
mantenere un’importante influenza sul continente asiatico. Non
dimentichiamo che la principale base americana nel Mondo è quella si
Diego Garcia, nell’oceano indiano: una posizione che sarebbe
problematico tenere in presenza di un’India allineata con un blocco
ostile.

Dunque, tutto lascia presagire che è
verso Nuova Dheli che si dirigeranno gli sforzi di Sino-Russi da un lato
ed Americani dall’altro, mettendo in opera tutte le azioni di influenza
possibili. E qui viene il problema di cosa farà il nuovo governo
indiano.La vittoria dei nazionalisti indiani non deve indurre ad alcun
automatismo per il quale ad una vittoria della destra debba
corrispondere un peggioramento delle relazioni con Pechino: i cinesi,
sin dai primi anni settanta, hanno sempre dimostrato una totale
spregiudicatezza nei rapporti internazionali che li ha portati a
fiancheggiare i regimi più di destra, per cui gli è assolutamente
indifferente il colore politico del governo di Dheli, purché esso sia
disposto a collaborare. Quanto a Modi, il suo nazionalismo non è rivolto
solo contro i cinesi, ma anche e soprattutto verso i pakistani, per cui
un raffreddamento dei cinesi verso Islamabad non può che fargli
piacere. Né si può dire che la sua rotta sarà necessariamente più filo
americana dei suoi predecessori. Anche perché i disegni di potenza del
nazionalismo indiano non urtano solo gli interessi di Pechino ma anche
quelli di Washington. Molto dipenderà da come tanto l’una quanto l’altra
potenza sapranno proporsi ad un interlocutore tanto imprevedibile e da
quali saranno gli sviluppi di altri scenari: ad esempio, l’emergere di
un grande Iran potrebbe prospettare una tenaglia sul Pakistan che
obbligherebbe gli Usa a proteggere i pur infidi pakistani e, di
conseguenza, mettersi contro l’India. Di sicuro a Modi si apre una
prospettiva molto positiva che ne fa crescere il potere contrattuale
come mai era accaduto in passato all’India.

Di sicuro questo.

 
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