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'Confronto su Putin. Coen: ''Zar ha fallito''. Chiesa: ''Russia sotto attacco'''

'Giulietto Chiesa e Leonardo Coen, storici corrispondenti da Mosca per L''Unità e La Repubblica, si confrontano da due opposte prospettive sul momento che la Russia sta vivendo '

'Confronto su Putin. Coen: ''Zar ha fallito''. Chiesa: ''Russia sotto attacco'''
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12 Marzo 2015 - 11.45


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Dalla crisi economica all”omicidio dell”oppositore, passando per un
possibile ruolo nella crisi libica e la passione che il presidente
suscita in Occidente sia tra le file dell”estrema sinistra che nella
destra più nera. Giulietto Chiesa e Leonardo Coen, storici
corrispondenti da Mosca per L”Unità e La Repubblica, si confrontano da
due opposte prospettive sul momento che la Russia sta vivendo e sulle
sfide che è chiamata ad affrontare.

da Il Fatto Quotidiano.

Una Russia sotto attacco e travolta da una crisi economica causata dall’Occidente, secondo l’uno. Un Vladimir Putin accerchiato,
responsabile delle difficoltà che attanagliano il Paese perché incapace
di gestire al meglio le infinite risorse che amministra, secondo
l’altro. Un presidente capace di aumentare la propria popolarità
ribaltando il tentativo di Usa e Ue di metterlo in ginocchio, secondo il
primo. Uno zar che tenta di nascondere le difficoltà interne mettendo
il bavaglio ai media e risvegliando la mitologia della “nazione sotto
attacco”, per il secondo. Ancora: il primo che sferza i commentatori
occidentali che sollevano lo spettro di presunti complotti nazionalisti
per spiegare l’omicidio di Boris Nemtsov; il secondo che cita Stalin: “Non c’è persona, non c’è problema”. Giulietto Chiesa e Leonardo Coen, storici corrispondenti da Mosca, si confrontano per IlFattoQuotidiano.it da
due opposte prospettive sulle molteplici sfide che la Russia di Putin è
chiamata ad affrontare, dalle conseguenze della crisi ucraina fino
al possibile intervento della Russia nella crisi libica.

CRISI ECONOMICA INTERNA

 

Giulietto Chiesa â€“ Gli Stati Uniti hanno lanciato un’offensiva contro la Russia che modifica radicalmente il quadro post 1989
e non solo quello postbellico. Ciascuno dia l’interpretazione che vuole
di questa scelta (non è qui il luogo per affrontarla), ma resta il
fatto. La crisi economica russa è il risultato di quest’offensiva. L’uso dell’Ucraina come bastone ferrato,
più le sanzioni, più l’abbassamento “politico” del prezzo del petrolio,
più il blocco del Southstream è l’ingiunzione all’Europa di sostituire
il gas russo con quello (molto aleatorio) americano: tutto questo ha
colpito, e duramente, l’economia russa. Frenare la caduta del rublo è costato molto. La Duma e tutto il vertice politico, per dare l’esempio,
ha dovuto ridursi gli stipendi, Putin e Medvedev inclusi. La Russia è
stata colpita nei punti fragili, che derivano dalla sua integrazione nel
mercato mondiale. In sintesi: presentare la Russia come “aggressore” è
una falsa interpretazione. Su tutti questi fronti la Russia ha subito
un’aggressione e si sta difendendo. L’Occidente non si rende conto che
la Russia “non può arretrare”, perché ha già le spalle al muro. E da un
avversario – un forte avversario – che è stato chiuso in angolo ci si
deve aspettare una reazione dura. Vedi la Crimea.

Leonardo Coen – Rublo dimezzato. Crollo del
petrolio. Ucraina, ossia sanzioni che cominciano a lasciare il segno.
Fuga di capitali. Corruzione devastante. Le imposte sulle esportazioni
di gas e petrolio rappresentano oltre la metà del bilancio statale: se
si abbassa il prezzo del barile, si riduce di conseguenza la spesa
pubblica e ciò nuoce sul tasso di crescita del reddito. Per anni, il
corso favorevole del greggio ha permesso di saldare i debiti, l’accumulo
di riserve ha difeso il rublo e favorito gli investimenti. Durante i
primi due mandati presidenziali, Putin ha goduto di queste favorevoli
congiunzioni, garantendo stabilità e benessere, col mercato interno in
costante espansione e col Pil che è cresciuto in media oltre il 6 per
cento l’anno sino al 2009: così si è smarcato dalla dipendenza
finanziaria straniera. Ma la pacchia è finita. Le
minori entrate fiscali comportano grossi sacrifici. La classe media, più
del 20% della popolazione, pretende il passaggio da un’economia
sostenuta prevalentemente dallo sfruttamento delle fonti energetiche ad un modello più diversificato: la crisi è dunque anche politica, dimostra il fallimento dell’amministrazione
Putin. Il Cremlino dovrà ridefinire molti obiettivi, a cominciare dalle
spese militari: la guerra in Ucraina costa, e mostrare i muscoli
all’Occidente anche di più. Il premier Dmitri Medvedev
ha già dovuto tagliare parecchio, per mantenere il bilancio in pareggio
(per fortuna non ci sono debiti). Un grosso problema è rappresentato dal
pagamento delle pensioni e soprattutto dal mantenimento del carrozzone
pubblico, 18 milioni di dipendenti, cioè tra il 25 e il 30% della popolazione attiva e ormai metà dei salari se ne vanno per la spesa alimentare (ufficialmente l’inflazione ora è al 16%).

GESTIONE DEL DISSENSO E OMICIDIO NEMTSOV

 

Giulietto Chiesa – Washington ha scommesso su una presuntuosa certezza: mettere in ginocchio
la Russia, e Putin (ormai degradato a dittatore con cui si possono
usare perfino toni aggressivi e volgari). I calcoli di russologi
americani (e dei loro seguaci europei) prevedono che, con due, tre anni
di questa “cura”, Putin sarà rovesciato e sostituito da una nuova leadership almeno tanto succube agl’interessi dell’Occidente quanto lo fu il Quisling Boris Eltsin. Qui l’errore mi sembra evidente. Fino a questo momento il “rinculo” ha prodotto l’effetto contrario. Putin ha aumentato la sua popolarità.
Chiunque conosca un po’ la situazione da vicino, non da Washington o da
Bruxelles, sa che la vicenda ucraina ha prodotto in Russia una “rivolta nazionale”
anti americana e anti occidentale che non ha precedenti nel secondo
dopoguerra. In una parola, dopo 20 anni di colonizzazione occidentale, è
riapparso lo “spirito russo”. A chi, in occidente, scuote con sufficienza la testa o le spalle, incredulo o sarcastico, suggerisco la lettura di Arnold Toynbee (“Il Mondo e l’Occidente”).
La russofobia è una malattia, che produce tre tossine molto pericolose:
odio e presunzione, da un lato, e forti dosi di irrealismo. Qui in
Occidente viviamo immersi in questi miasmi. Sospetto che, alla lunga,
non ci gioveranno. Il dissenso – quello che esiste in questo momento in
Russia – non ha nessuna possibilità di dare vita a una “rivoluzione
colorata di massa” come quelle, ormai ben note, di Belgrado, di Tbilisi, di Kiev, ecc.. E’ sempre esistito un filo-occidentalismo russo. Perfino Pushkin
ne scrisse, sferzandolo con sprezzanti parole. Sono quei russi che, per
mille ragioni, s’identificano con l’Occidente. Ma non sono mai stati
maggioranza e, meno che mai lo sono oggi. Eltsin e Gaidar li hanno già
“assaggiati” e non vogliono ripetere la degustazione. Putin, dal canto
suo, ha preso le sue contromisure. A Washington protestano, ma George Soros
non potrà fare a Mosca e San Pietroburgo quello che ha fatto a Kiev, e a
Belgrado. Tutti i partiti della Duma: dai comunisti di Ziuganov, ai seguaci di Zhirinovskij, al Partito Russia Giusta, sono compatti nel sostegno della politica estera di Putin. L’assassinio di Boris Nemtsov
dev’essere collocato in questo contesto per essere capito. Quanto a
presunti complottisti “nazionalisti” all’interno delle “strutture della
forza” russe, nulla può essere escluso, ma non ci sono segnali di questo
genere e le elucubrazioni in merito, fiorite sui media occidentali,
brillano per la loro vacuità. La russofobia miete vittime tra gli
analisti occidentali.

Leonardo Coen – L’economia malata fa zoppicare il
modello di sviluppo putiniano ed ansimare il capitalismo di Stato.
Tocchi soldi e interessi, incrini il regime. L’embargo finanziario ha
infatti limitato la spregiudicata libertà d’azione degli oligarchi che hanno prosperato e spadroneggiato all’ombra del Cremlino. Il tempo delle vacche magre ha evidenziato le debolezze strutturali dell’economia russa, sempre più anatra zoppa: Putin deve affrontare il peggio. La fronda interna.
E la recessione. Il Pil quest’anno arretrerà di almeno 4-5 punti. C’è
carenza produttiva per fronteggiare la domanda dei consumatori. Manca la
manodopera non qualificata, a causa delle dinamiche demografiche: nel
1989 i russi con meno di vent’anni erano 44 milioni, nel 2012 erano 30.
Così la politica contro l’immigrazione si è trasformata
in un boomerang. L’opposizione cavalca il malumore del ceto medio e le
ansie della gente. Chi mette in discussione il sistema come Boris
Nemtsov – con argomentazioni pericolosamente fondate su dati e
circostanze ben precisate – va neutralizzato, secondo la nota formula di
Stalin: non c’è persona, non c’è problema. E poi, c’è l’arsenale
propagandistico studiato e praticato ai tempi del Kgb e della Guerra
Fredda: la strategia del “complotto permanente”.
Strategia che si avvale dell’indispensabile corollario patriottico. Il
nemico è alle porta, ordiscono complotti contro la Russia, hanno
orchestrato la svalutazione del rublo e il crollo del petrolio per
sottrarci i ricavi delle nostre risorse. Non conoscono l’infinita
capacità di sopportazione del popolo russo, quella che ci permise di
sconfiggere l’invasore nazista. La Seconda Guerra Mondiale, in Russia,
si chiama non a caso Grande Guerra Patriottica.

RAPPORTO DEL CREMLINO CON I MEDIA

 

Giulietto Chiesa – Il quadro “dittatoriale” che viene dipinto in Occidente è, come minimo, unilaterale e insincero. Il dissenso mediatico, a Mosca, esiste eccome:
ci sono numerosi giornali di opposizione esplicita al governo e al
Cremlino. Le televisioni private e le radio ostili a Putin esistono e
trasmettono, i commentatori politici che fustigano la politica del
Cremlino, interna ed esterna, sono numerosi. Non esiste nessuna censura
sul web. E’ banale rilevarlo, ma è evidente che il Cremlino esercita la
sua supremazia mediatica interna e domina soprattutto gli spazi
televisivi. Non vedrei motivo di stupore al riguardo, specie in Italia,
dove il coro mediatico è quasi interamente filo governativo e dove, nei
confronti dei critici, si esercita senza cerimonie il sistema
dell’esclusione. Ma il “pluralismo” dei media occidentali (negli Stati
Uniti peggio che altrove) si è ormai da tempo trasformato in una grancassa unanime. Non basta essere “privati” per essere liberi e obiettivi. Sempre più spesso l’essere privati è diventato sinonimo di mercificatori
dell’informazione. E questo lo capisce ormai una larghissima fetta di
telespettatori e di lettori dei giornali. Tra l’altro si nota ormai una
crescente inquietudine in Occidente per la “penetrazione” della
“propaganda russa”. RT (in inglese) ha rotto il monopolio negli Usa, facendo infuriare John Kerry. E la signora Mogherini annuncia contromisure per fronteggiare gli evidenti successi
dei canali tv russi in Europa, specie sul Baltico. L””amica” Ucraina li
oscura, semplicemente. Non stiamo dando un grande esempio.

Leonardo Coen – La propaganda presuppone il pieno controllo
dei mezzi di informazione, dai giornali alle radio e televisioni, sino a
internet. Lo Stato controlla direttamente, tramite il Gruppo Media
Nazionale, alcune emittenti tra le più seguite, come Ren-tv e Quinto Canale. Il Cremlino ha in mano le principali agenzie di stampa, come Ria-Novosti che a sua volta finanzia Russia Today,
un canale satellitare diffuso su tutte le piattaforme digitali a
livello mondiale. Il resto dei media russi – nella quasi totalità – è in
mano agli amici di Putin. Pochi resistono a quest’assedio, come il bisettimanale Novaja gazeta (tra gli azionisti, Mikhail Gorbaciov) e la Dozhd tv. Il cappio
all’informazione indipendente si stringe sempre di più, i giornalisti
scomodi rischiano la pelle, moltissimi sono stati uccisi, altri sono
stati costretti a scappar via. In questo modo, si spiega la vastissima popolarità
del presidente, un fenomeno di persuasione occulta che sconfina col
culto della personalità. Putin ha curato e perfezionato la propria
immagine di “macho”, a dispetto della sua figura non certo imponente.
Pratica judo, pesca a torso nudo, abbraccia tigri, fa il top-gun, ama i bikers.
Parla ai russi con la lingua del popolo, non con quella degli
intellettuali, di cui diffida. Rievoca la grandezza imperiale. Dimostra
rispetto e devozione nei confronti della Chiesa ortodossa, recupera il
legame fiduciario che essa vantava con lo Stato prima dell’avvento
sovietico. Si presenta addirittura quale salvatore della cristianità e
dell’anelito indipendentista delle minoranze. L’annessione della Crimea
ha scatenato un’ondata patriottica e innalzato i picchi dei sondaggi:
“Senza la Russia non c’è Putin, e senza Putin non c’è la Russia”, è
stata l’invenzione demagogica dello staff presidenziale.

CRISI UCRAINA E RAPPORTI CON USA E UE

 

Giulietto Chiesa – Per quanto concerne i rapporti con l’Europa, va detto che gli sviluppi della crisi ucraina, la sconfitta militare di Kiev nel Donbass,
stanno aprendo una riflessione in Europa. Le contro-sanzioni russe
hanno avuto un loro effetto, ma soprattutto l’ha avuto la costernata e
ritardata constatazione che l’Europa non può inghiottire un boccone come
l’Ucraina. Troppo grande e troppo disastrato, oltre che pericoloso. Il viaggio di Merkel e Hollande a Mosca, quello di Renzi, in solitaria, dicono che senza la Russia non si può eliminare il bubbone nazista in suppurazione a Kiev. Negli Stati Uniti
sceglieranno di riarmare Kiev. Vedremo se l’Europa glielo permetterà.
E’ evidente tuttavia che Putin è riuscito a incrinare la compattezza
iniziale di Usa ed Europa.

Leonardo Coen – L’Occidente non ha mantenuto la
promessa che era stata fatta a Gorbaciov, sostiene Putin e in questo ha
ragione: cioè che la Nato non si sarebbe espansa ad est.
Nella logica della Russia superpotenza (come ai tempi degli zar e
dell’Urss), l’Ucraina non è nemmeno uno Stato, lo disse a Bush nel 2008,
“parte del suo territorio è Europa orientale. Ma l’altra parte, quella
più importante, gliel’abbiamo regalata noi” (Le sciabole dello zar,
editoriale del numero di Limes “Progetto Russia”, n.3/2008). L’uscita
di Kiev dall’orbita di Mosca non è tollerabile, lede la sicurezza
nazionale. Alla lunga, però, la guerra non guerra con l’Ucraina si è
rivelata una trappola: europei ed americani hanno
imposto sanzioni con ricadute non indifferenti sull’apparato
militare-industriale (in Ucraina ci sono 400 aziende ucraine, russe e
miste che lavorano per la Difesa e l’export russo, come hanno scritto il
Sole 24-Ore e Analisi Difesa). Il danno strategico
è notevole. A Mosca preme un ritorno alla normalizzazione, però coi
confini spostati più ad ovest: che è poi ciò che ha ottenuto
nell’accordo con Hollande e la Merkel, a Minsk poche settimane fa. Spera
solo che l’Europa si ribelli al diktat sanzionatorio di Washington,
perché il conto dell’embargo è quasi tutto sulle spalle dell’Ue: senza
dimenticare gli aiuti finanziari all’Ucraina.

RAPPORTI CON LA GRECIA

 

Giulietto Chiesa – Un eventuale aiuto russo (e/o
cinese) alla Grecia potrà esserci, ma sarà subordinato agli sviluppi sia
della crisi ucraina, che all’evoluzione della politica europea in
generale verso la Russia.

Leonardo Coen – Vista da Mosca, Atene è il “grimaldello”
per scardinare la fortezza traballante di un’Unione Europea a due
velocità e per mettere in crisi i soloni dell’austerità, perciò vanno
aiutati i movimenti che si oppongono al centralismo di Bruxelles.
Tradotto: intensificazione diplomatica con la Grecia, plateali dimostrazioni di volere comunque aiutare finanziariamente un Paese “fratello”, per cultura e religione. Tsipras è stato a Mosca, mentre in Grecia si è visto il barbuto Alexander Dugin,
politologo e filosofo che ha grande ascendente tra i “falchi”
dell’entourage di Putin. L’idea di Dugin, sposata dal Cremlino, è quella
di finanziare i movimenti estremisti e populisti che
agitano le acque politiche all’interno dell’Ue, con lo scopo di
destabilizzare le situazioni interne, e di favorire il sedizioso disegno
di un’Europa delle piccole patrie: “Presidente, i popoli d’Europa confidano in lei…”, gli disse Philippe De Villiers, un politico francese monarchico, vandeano e ultrareazionario.

POSSIBILE RUOLO NELLA CRISI LIBICA

 

Giulietto Chiesa – La Russia sta già svolgendo un suo ruolo importante per conto proprio. Mosca sostiene Bashar el Assad
e favorirà ogni mossa per impedire che Damasco sia rovesciata. Ma,
anche qui, sarà utile tenere presente che Mosca è un negoziatore
globale. Che, cioè, tiene conto di tutti gli scenari simultaneamente.
L’idea – di Obama – di “contenere” Putin è semplicemente ridicola.

Leonardo Coen – La proposta di Renzi che vorrebbe
coinvolgere Putin quale partner “responsabile” nell’eventuale missione
(armata o meno) dell’Onu in Libia è stata accolta favorevolmente dal
Cremlino, assai meno dagli Stati Uniti che hanno messo le mani avanti:
prima Mosca dimostri di rispettare gli accordi di Minsk-2. I dubbi americani sono legati all’opinione che hanno di Putin: uno che non rispetta i patti e che fa i comodi suoi (come del resto loro…). Per l’Europa, la Russia rimane un partner di primaria importanza: non soltanto per la dipendenza energetica,
ma per le prospettive di sviluppo delle relazioni commerciali, oggi
raffreddate dalla guerra ucraina e dall’annessione della Crimea. Il
mercato russo fa gola, “sdoganare” Mosca significa consapevolezza della
necessità di difendere gli interessi europei, e gestirne le criticità.
La Libia è l’ultima spiaggia per obbligare Putin ad abbassare i toni anti occidentali.

PERCHE’ IN OCCIDENTE PUTIN PIACE SIA ALL’ESTREMA DESTRA CHE ALL’ESTREMA SINISTRA?

 

Giulietto Chiesa – Putin “piace” a destra, in Europa, perché è questa Europa che non piace a milioni di europei. E’ naturale che molti – che si trovano di fronte a un’Europa nemica, guardino alla Russia come a un possibile alleato
e partner. Aggiungo che questa Russia, che vuole conservare la propria
tradizione, i propri valori, la propria storia, appare a molti più amica
che non la globalizzazione e l’omogeneizzazione selvaggia
imposta in Occidente dal pensiero unico americano. A sinistra il
panorama è variegato. C’è chi ha già assorbito il pensiero unico e
quindi preferisce mettere l’accento sul “dittatore”. Per costoro c’è la
magistrale risposta di Luciano Canfora: “Il problema vero è che il tiranno è un’invenzione,
una creazione politico-letteraria. Quando il suo potere si dimostra
durevole, si deve realisticamente riconoscere che il tiranno (termine
impreciso e iperbolico) è qualcuno che ha dalla sua un pezzo più o meno
grande, talvolta molto grande, della società”.

Leonardo Coen – Un giorno Putin, nell’imperiale salone di San Giorgio del Cremlino, davanti alla nuova nomenklatura del Paese, ai più potenti cioè dei siloviki, degli oligarchi
e dei dirigenti di un apparato statale sterminato e onnipotente, spiega
la ragione intrinseca della sua crociata per riconquistare gli spazi
vitali (e virtuali) della Grande Madre Russia, spiegò che “o rimaniamo una nazione sovrana, o ci dissolviamo senza lasciar traccia e perdiamo la nostra identità”.
Visione apocalittica, certo, ma lui intendeva spronare l’élite del
potere e il popolo a contrastare le oscure trame di un Occidente che
vorrebbe “smembrarci”, come successe con la Jugolavia,
“se per qualche nazione europea l’orgoglio nazionale è da tempo un
concetto dimenticato e la sovranità un lusso eccessivo, per la Russia la
vera sovranità è assolutamente necessaria alla sua sopravvivenza!”
(discorso del 4 dicembre 2014 all’assemblea
federale). Parole forti, dall’afflato patriottico. All’estrema destra
piacciono. Sono la bussola che indica sicurezza, indipendenza,
patriottismo, ossia la difesa della patria dallo straniero; e che
esaltano il militarismo. Putin il Conservatore. Anche
all’estrema sinistra ci si affida a Putin per essere aiutati a
combattere il potere sovranazionale dell’Ue, per affondare l’Euro, per
rivendicare il potere dal basso, contrapposto al potere del capitalismo selvaggio che ha prodotto la malefica globalizzazione. Sanno che Putin li considera “utili idioti”
(lo diceva Lenin) e che lui li strumentalizza per destabilizzare
l’Europa. Corrono il rischio. Non importa il mezzo, ma il fine. Quello
di Putin è indebolire l’Europa.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/12/putin-crisi-kiev-nemtsov-coen-zar-fallito-chiesa-russia-attacco/1485923/.

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