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L'ultima guerra

È col cuore grave che sono costretto a prendere atto che dal giorno 6 ottobre 2016 una guerra tra la Russia e gli USA è possibile in ogni momento... [Piotr]

L'ultima guerra
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7 Ottobre 2016 - 21.28


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di Piotr.

1. È col cuore
grave che sono costretto a prendere atto che dal giorno 6 ottobre 2016 una
guerra tra la Russia e gli USA è possibile in ogni momento
. Una guerra che
può avere devastanti effetti anche per noi. Per quanto sia orrendo e penoso
parlarne, bisogna farlo, perché i grandi media nascondono questa serissima
eventualità. Non ne parlano perché vogliono continuare a farci pensare a una
guerra mondiale come a un videogioco e perché vogliono continuare a convincerci
che lo Zio Sam alla fine prevarrà, perché è il più forte e perché è nel giusto,
qualsiasi cosa faccia.

Perché un’affermazione
così brutale (o catastrofista, come mi vien detto)?

Bene, questo è
lo svolgimento del dramma, in tre atti:

Atto 1. A margine dell’Assemblea Generale
dell’ONU di qualche giorno fa, il segretario di Stato, John Kerry, si incontra
con esponenti dei “ribelli” siriani, i quali sono preoccupati per come stanno
andando le cose e soprattutto per il fatto che gli USA non abbiano mai
attaccato militarmente Damasco. Kerry farfuglia le cose che potete leggere nell’articolo
“Ad Aleppo si gioca il destino del mondo”, che per il tema
qui riguarda in sintesi suonano così:

“Le cose sono
andate storte fin da subito e con l’intervento russo sono andate ancora peggio.
Non ce l’aspettavamo e ora intervenire direttamente contro Damasco vuol dire
scontarsi direttamente coi Russi” [1].

Questo
colloquio, che dovrebbe essere riservato, viene registrato (evidentemente da
uno dei “ribelli”) e passato al New York
Times
, ex quotidiano liberal e oggi attestato su posizioni che fanno
quasi rimpiangere persino Nixon boia. Il NYT lo spiffera immediatamente.
Perché? Perché essendo un giornale clintonoide deve sostenere il superfalco
Hillary Clinton. Una posizione che potremmo tradurre brutalmente così: “Vedete
in che schifo di situazione siamo finiti per colpa di questa politica
tentennante? Dobbiamo far vedere i sorci verdi ai Russi. Ed è quello che vuole
Hillary non Donald”.

Atto 2. L’addetto stampa della Casa Bianca, John Earnest, fa sapere ai giornalisti che
si sta discutendo sulla possibilità di una campagna militare diretta contro la
Siria (quella indiretta appaltata ai tagliagole è in difficoltà).

Perché viene
fatto sapere? Di solito gli attacchi si tengono segreti, a meno di non volere
fare propaganda e pubblicità alla propria possanza, dimostrazione di muscoli,
come i giocatori di wrestling prima degli incontri, per esaltare i propri fan
(e infatti questa notizia è stata riportata con entusiasmo dai nostri media).
Ma può andar bene con uno Stato isolato internazionalmente, come lo era l’Iraq al
momento della guerra del Golfo (all’epoca l’Unione Sovietica stava collassando)
e poi indebolito da anni di embargo al momento dell’invasione (Putin era
impegnato a rimarginare le ferite inferte alla Russia dal suo predecessore, il cleptocrate Boris Eltsin, pupazzo di Washington). Invece non può andar bene con
la Siria, compatta oltre ogni aspettativa e sostenuta da una rediviva Russia
che ha mostrato di possedere non solo determinazione ma anche armi micidiali e
precisissime che nessuno si aspettava.

Perché allora
questo annuncio?

La cosa viene
spifferata per tre motivi: a) spaventare la Russia e vedere come reagisce , b)
dar fiato alle trombe dei clintonoidi in vista delle elezioni, c) rassicurare
gli alleati e i vassalli che, come si dice nello sport, gli USA “ci sono ancora”.

Questa
dichiarazione è raddoppiata dalle parole – nascoste dai nostri media – pronunciate dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito degli Stati Uniti, Mark Milley, a una conferenza delle Forze Armate statunitensi.
Sono affermazioni impressionanti, scandite con un’aggressività sconvolgente.
Cose che non si sentivano in Occidente dai tempi di Hitler e Mussolini. Un vero
“Spezzeremo le reni”.

Nel suo
discorso risaltano due affermazioni.

La prima:

“Voglio
essere chiaro con coloro che, in tutto il mondo, vogliono distruggere il nostro
stile di vita e quello dei nostri alleati e amici … noi vi fermeremo e vi colpiremo
più duramente di quanto siate mai stati colpiti. Non c’è alcun dubbio a
riguardo.
”

E la seconda:

“Siamo in
grado e continueremo ad esserlo di dispiegarci rapidamente. E distruggeremo
qualsiasi nemico, ovunque e in qualsiasi momento
”.

Sarebbe
semplice retorica guerresca, se non fosse per una cosa molto inquietante: in
mezzo a quelle due affermazioni sono citati esplicitamente quattro Paesi, cioè
la Russia, la Cina, l’Iran e la Corea del Nord, cioè poco meno di un terzo
dell’Umanità, che quindi da quelle due affermazioni viene serrata in una
parentesi di fuoco.

Attenzione che
qui ricompare la dottrina di Bush jr: “Non negozieremo mai il nostro stile di
vita”
, che significa: “Non accetteremo mai una rinegoziazione dei nostri
interessi e quindi della posizione di potenza che li sorregge”
.

Il delirio di
queste parole è sottolineato dalla precisazione che segue: 

“Inoltre, il campo
di battaglia sarà enormemente complesso, quasi certamente in aree urbane
densamente popolate, contro un nemico sfuggente e ambiguo che unisce a
terrorismo, guerriglia e abilità convenzionali una numerosa popolazione civile
”. 

A parte la parola “terrorismo” che va bene in ogni occasione e nello specifico
serve a lasciar spazio alle ambiguità e alle eventuali smentite, a chi si
riferisce il super-generale quando parla di “numerosa popolazione civile”?

A me vengono
in mente per prima cosa la Cina e poi la Russia. Se è così il nostro
pluridecorato generale si è dimenticato delle prime due regole del “Manuale di
guerra” del Maresciallo Montgomery: “Prima regola: non marciare mai su Mosca.
Seconda regola: non marciare mai su Pechino”.

C’è da essere
spaventati da un’insania simile. Non vi pare? Io lo sono, e molto. Anche perché
fa parte di quella occupazione della scena da parte dei settori neocons
che sta sempre più manifestandosi in questa sorta di vacanza di potere che ci
sarà fino a gennaio.

Da qui a
gennaio può succedere di tutto. E dopo anche qualcosa di peggio 
[2].

Atto 3. Ed ecco come reagisce la Russia. Non
lo sapete perché i grandi media non ve lo dicono, perché non è bene che lo
sappiate, perché l’orso russo deve essere dipinto come grosso, cattivo ma alla fine
vulnerabile. Ma la dichiarazione è ufficiale ed è stata immediata. Il portavoce
del ministero russo della Difesa, il generale Igor Konashenkov, ha per prima cosa rammentato agli Stati Uniti la
gittata e le capacità di intercettazione dei missili dei sistemi di difesa
antiaerea S-300 e S-400 schierati in Siria.

Ha poi
sottolineato che questi sistemi sono in Siria non in funzione offensiva ma per
difendere le forze russe ivi dislocate e che gli Stati Uniti sono invitati ad
essere matematicamente certi che saranno usati se i soldati russi verranno
attaccati da chicchessia.

E infine –
ecco dove si voleva arrivare – ha ricordato che i soldati russi operano sul
terreno con le forze armate siriane e che quindi ogni attacco a queste sarà
considerato un attacco alle forze armate russe [3].

2. Ecco
quanto. Nel frattempo 40 milioni di
Russi hanno partecipato a un’esercitazione di difesa antiatomica
. Nessuno
fa interrompere la vita normale privata e produttiva a 40 milioni di persone se
non fosse veramente preoccupato.

Francamente
non so come andrà a finire. Gli USA all’inizio del III millennio avevano una
sola preoccupazione: la Cina. I think tank neoconservatori prevedevano che
il Regno di Mezzo sarebbe diventato un avversario strategico nel 2017. Il loro
obiettivo principale era il “pivot to Asia” e per smuovere alla svelta
la strategia statunitense in quella direzione speravano in “some
catastrophic and catalyzing event, like a new Pearl Harbor
”. Questo nel
settembre 2000. Nel settembre 2001 furono esauditi con le Torri Gemelle. La
Russia all’epoca dava pochi pensieri. Vero, al posto di Eltsin c’era già Putin,
ma la svendita criminale e mafiosa della ex Unione Sovietica da parte del primo
e l’orgia di neoliberismo che la stava attraversando la mantenevano ancora in uno
stato di estrema debolezza e di vassallaggio. In vista della svendita, Eltsin
aveva fatto valutare la Madre Russia, dal sottosuolo, alla superficie,
all’atmosfera, da economisti di Harvard, così come si fa valutare la cantina,
l’appartamento e il terrazzo di un immobile. Il risultato netto fu che dal 1992
al 2000 il numero dei decessi in “sovrappiù” fu calcolato dai demografi tra i cinque e i sei milioni (Wall Street Journal) e l’accorciamento dell’aspettativa di vita dei
russi fu di sette anni. Putin fermò il degrado e invertì con decisione la
tendenza. C’è poco da meravigliarsi se i sondaggi occidentali gli accreditano
un consenso personale che varia dall’80 al 90 per cento dei Russi.

È dai tempi
del Raj britannico in India che il liberismo ha portato disastri di immani
proporzioni nei Paesi subordinati (e ora erode come un cannibale che mangia se
stesso anche i Paesi al top della gerarchia). Per salvarsi la Russia non
aveva altra scelta che insubordinarsi
. Ed è quello che ha fatto Putin. Da
qui il nuovo mal di testa (e l’odio) dei neoconservatori statunitensi.

Più che di pivot
to Asia
, l’egemonismo americano ha quindi ora bisogno di un pivot to Eurasia,
un pivot da Lisbona a Vladivostok. La risposta militare al sogno di
Putin del 2010 di creare un mercato unico dall’Atlantico al Mar del Giappone. Il
2010. Solo sei anni fa. Un’altra epoca storica. È la frenetica dinamica
dello showdown della crisi sistemica
.

3. Quanto
seriamente le élite americane pensano di poter rischiare o addirittura
scatenare una guerra termonucleare?

Quando sento esponenti
politici statunitensi anche di altissimo livello che straparlano di
“eccezionalismo americano”, di “nazione indispensabile”, di “missione
universale”, penso che non in pochi ci sia, al di là di aggressive tecniche di public
relations
, un vero invasamento ideologico, un auto-convincimento. La cosa
peggiore.

Le élite più
legate al mondo degli affari probabilmente sfruttano le intemperanze della
prima, si nascondono dietro di esse, per mantenere le posizioni e se possibile
guadagnarne altre, ma non so fino a che punto vogliano rischiare uno scontro
diretto con la Russia. Queste élite economiche e soprattutto
finanziarie, sono autonome dalla politica anche se la devono usare (e il favore
è reciproco). Proprio la loro autonomizzazione dalla politica segna in
Occidente lo stacco dallo stadio feudale e l’entrata in quello capitalistico.
Lo stato del loro patrimonio è più importante di ogni fedeltà ideologica e
nazionale (mentre l’Esercito degli Stati Uniti affondava nel pantano
vietnamita, queste élite facevano espatriare i loro capitali nei
paradisi off-shore: bella fedeltà!).

Da questo
punto di vista la cosa sembrerebbe allora rassicurante. Perché per voler
scatenare una guerra termonucleare occorre avere in testa un progetto, anche
ideale, grandioso
e le élite economico-finanziarie non sono capaci
di progetti grandiosi. Possono essere immensamente ricche ma i loro progetti
alla fine sono micragnosi. Però si rendono conto che senza l’egemonia americana,
che è un fattore politico anche quando giocato con strumenti economici e
finanziari, il loro patrimonio e quindi la loro posizione di forza nella lotta
intercapitalistica si possono indebolire in misura drastica. E sono troppo
micragnose per avere un piano di riserva, per poter accettare un
ridimensionamento e sviluppare strategie e contesti fuori dagli schemi a cui
sono abituate e che fino a quel momento le hanno fatte prosperare.

Alla fine temo
che gli automatismi politici e quelli economico-finanziari si interlaccino dando
luogo a un evento catastrophic and catalyzing che nessuno singolarmente
in realtà voleva (se non alcuni invasati). Perché la loro interazione ha sempre
dato luogo a dinamiche imperiali potenti.

Ma una volta
non c’era la crisi sistemica e quindi queste dinamiche potevano sfogarsi, ad
esempio cambiano le combinazioni input-output,
variando le scelte. C’erano margini di manovra. Addirittura, l’impero
statunitense poteva accontentarsi solo di mezzo mondo, il cosiddetto “mondo
libero” (così chiamato anche se c’erano dentro dittatori fascisti sudamericani
e l’Arabia Saudita). Ora la crisi sistemica rastrema sempre di più lo spazio
delle soluzioni e allarga quello dei problemi. E l’egemonia deve essere estesa
a tutto il mondo. Per contro ciò imprime maggior forza alle interazioni tra il
potere del denaro e il potere del territorio e quindi gli urti in quello spazio
sempre più stretto aumentano, sempre più violenti. Non c’è nessuna legge fisica
che possa spiegare ciò, perché qui la meccanica dei fluidi e quella dei solidi
si fondono.

4. L’unica
possibilità di uscirne vivi è che l’impero si de-imperializzi
, accetti un
mondo multipolare e in quello negozi la propria nuova posizione. Il contrario
della dottrina dei neocon. Noi, l’Italia e i Paesi europei, dobbiamo facilitare,
promuovere questa inversione di marcia. Per farlo dobbiamo opporci alle
politiche imperiali, non c’è altro da fare [4].

Occorre
privilegiare i rapporti non coi settori disponibili a un olocausto nucleare ma
con quelli disponibili ad adattarsi al mondo multipolare. Un adattamento non
semplice, ma imperativo, e che quindi ha bisogno di collaboratori non di
leccapiedi. Se, come penso, solo il potere politico è in grado di avere un
progetto grandioso, occorre allora che negli USA riesca ad esprimersi un
potere il cui grandioso progetto sia quello di non fare una guerra 
[5].

Non sarebbe la
fine dei problemi, perché l’inizio dei problemi è la cattiva infinità del
processo di accumulazione.

E quindi non è
nemmeno la rivoluzione, ma non si può fare nessuna rivoluzione se si è tutti
morti.

È vero, spesso
gli schemi si ripetono. Anche John Hobson all’inizio del secolo scorso
implorava l’Impero Britannico di adeguarsi al nuovo mondo multipolare di allora
per evitare una guerra mondiale. Ma l’Impero s’impuntò e così iniziò un
lunghissimo conflitto armato segnato da due grandi battaglie. La prima fu
chiamata I Guerra Mondiale e la successiva II Guerra Mondiale. L’Impero vinse
nella conta finale dei morti, ma perse l’egemonia mondiale che passò agli USA.

È vero, il
genere umano c’è ancora, ma gli schemi non si ripetono nelle stesse condizioni.
Mai. Le devastazioni della I Guerra Mondiale (che doveva essere l’ “ultima
guerra”) superarono quelle di tutte le guerre precedenti, ma vennero ampiamente
surclassate da quelle della II Guerra Mondiale (che doveva essere l’ “ultima
guerra”). Ma le devastazioni della III Guerra Mondiale non verranno superate da
quelle seguenti perché non rimarrà più niente da devastare.

Quella con
molta probabilità sarà veramente l’ultima guerra
.

Postilla. Come dicevo, se si fanno discorsi
come questi una delle accuse classiche è quella di “catastrofismo”. Ma cosa s’intende
con “catastrofismo”?

La
preoccupazione pacifista di John Hobson? Purtroppo aveva visto giusto e infatti
ci fu la catastrofe della I Guerra Mondiale.

Oppure
s’intende l’accusa di Sir Maynard Keynes alla propria parte, cioè alla Gran
Bretagna (e alla Francia) che le imposizioni dei vincitori ai negoziati di pace
di Versailles avrebbero lastricato la strada verso una seconda guerra mondiale?
Purtroppo anche lui vide giusto.

Ma a volte
“catastrofismo”, oggi, significa: “Ma dai! A noi queste cose non possono più
capitare. Capitano solo ai popoli sfigati”. Innanzitutto quei popoli sono
sfigati perché qualcuno a migliaia di chilometri di distanza ha deciso a
tavolino che così dovevano essere. Pensavate forse che i Siriani si
aspettassero questa catastrofe anche solo nel 2010? No, non se l’aspettavano
affatto, vivevano in modo normale la loro vita di tutti i giorni e senza questa
preoccupazione. Semmai erano contenti che le aperture di Bashar al-Assad
attiravano un crescente afflusso di turisti. La loro sfortuna è stata l’avere a
che fare con quelli che si reputano i padroni del mondo. Possiamo comunque dare
una pacca sulle spalle alla madre siriana che piange il proprio figlio o la
propria figlia dicendole: “Suvvia! Non essere così catastrofista!”.

In secondo
luogo nemmeno ci si rende conto che la “sfiga” è dietro l’angolo. Lo shock del
bombardamento di Belgrado fu quello – per chi si degnò di capirlo – della prima
capitale europea bombardata in cinquant’anni dalla fine della II Guerra
Mondiale. Lo shock del conflitto in Novorussia – per chi si degna di essere
scioccato Р̬ quella di una feroce guerra al centro della civile Europa.

Europa! De te fabula narratur!

NOTE


[1] Alcuni commenti. In primo luogo le cose sono andate
fin da subito male perché la popolazione siriana sta col suo presidente e
l’esercito, tra l’altro quasi tutto sunnita e non sciita, non ha defezionato.
Se uno fosse stato in Siria prima dell’aggressione avrebbe capito benissimo che
le cose sarebbero andate in questo modo e che i Siriani abituati a decenni di
laicità e di rispetto di tutte le religioni e, proprio da quando c’è Bashar al-Assad,
di progressive e costanti aperture liberali, sarebbero disposti a combattere
fino all’ultimo uomo pur di non cadere nelle mani dei tagliagole
fondamentalisti.  Provate a pensare se
Milano, Roma, e Torino fossero circondate da migliaia di fanatici con bandiere
nerorociate provenienti da tutto il mondo e che vogliono imporre la Santa
Inquisizione brandendo tenaglie e ferri roventi come simboli. Avrete un’idea
esatta di cosa pensano in questo momento gli abitanti di Damasco, di Latakia e
di Aleppo. In secondo luogo io penso che gli USA sapessero da tempo che Mosca
stava per intervenire (il rifornimento della base russa è durato mesi). Infine
il bombardamento statunitense contro la postazione dell’Esercito Arabo Siriano
di Deir ez-Zor dove sono stati uccisi anche soldati russi, dimostra chiaramente
che ogni intervento diretto degli USA contro Damasco rischia di essere un
attacco diretto alla Russia. Lo si tenga bene a mente perché serve a capire
l’ultimo passaggio, il terzo.


[2] Alcuni commentatori negano che sia in atto un “soft
coup
”, sulla base del fatto che se Obama non interviene, pur potendolo
fare, allora vuol dire che è d’accordo, anzi, che i generali stanno eseguendo i
suoi ordini. Ho già spiegato perché non la penso così. Qui ricordo solo che
sulla Siria c’erano visioni strategiche contrastanti fin dall’inizio della
crisi. Gli Stati Uniti non sono un monolite, come non lo è nessun Paese,
nemmeno la Russia o la Cina. E la crisi sistemica approfondisce le divisioni,
perché se è vero che le scelte sono minori, i contraccolpi di quelle sbagliate
sono più violenti che mai.


[3] Per capire compiutamente che Mosca è veramente
preoccupata e che quindi queste dichiarazioni non sono una dimostrazione
muscolare, al contrario di quel che può succedere negli States, bisogna
rendersi conto che rispetto alla NATO e alla Coalizione, la Russia in Siria è
in una posizione di enorme inferiorità di uomini, di mezzi aerei e di mezzi
navali. Questo per i signori e le signore che sbraitano che la Russia è aggressiva.
Anche se volesse esserlo non potrebbe, perché non solo in Siria ma in generale è
ancora in condizioni di grande debolezza nei confronti degli USA. Altrove ho anche
spiegato chiaramente perché, comunque, la pace e non la guerra è nei suoi
interessi. Ripeto, nei suoi interessi: non sto tirando in ballo patenti di
sanità primigenia di una nazione rispetto a un’altra (la sanità o l’insania di
una nazione, anche nei suoi aspetti ideologici, la crea la Storia, non la
metafisica).


[4] Per certi versi gli USA fanno bene a non fidarsi
troppo di noi. Ma non perché saremmo propensi a un delinking dalle loro
politiche imperiali, ma, paradossalmente, proprio perché lecchiamo i piedi.
Sanno benissimo che nutriamo un rancore sordo per tutte le schifezze e gli
oltraggi che abbiamo dovuto ingoiare (si pensi solo al famoso “Fuck the EU!” di
Victoria Nuland) e quindi al di là delle parole di circostanza e
dell’ubbidienza acefala, saremmo ben contenti di vedere il nostro “amato
alleato” schiantarsi contro un grosso ostacolo e uscirne totalmente rintronato.
Dei veri amici dovrebbero evitare che l’altro si schianti e quindi dovrebbero
cercare di farlo uscire dal cul-de-sac in cui si è infilato, non
incitarlo festeggianti ad andare sempre più veloce contro il muro.


[5] Tutto sommato, un progetto grandioso simile era
quello del New Deal Mondiale di Roosevelt, dopo la guerra. In questo new
deal
rientrava persino l’Unione Sovietica di Stalin. E Stalin ne era
soddisfatto. Non ne erano invece soddisfatte certe élite statunitensi e
gran parte del Congresso, sensibile al loro lobbying. Così, ma solo dopo il
soddisfacente scoppio delle due atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il nuovo
presidente, Truman, decise che l’intero Mondo era troppo grande ed era meglio
dividerlo in due parti, uno libero, da inglobare, e l’altro no. Era l’inizio
della Guerra Fredda.

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