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I veleni del poligono. Militari e cittadini malati, una terribile verità

La portavoce di 'Gettiamo le basi', Mariella Cao, racconta le battaglie contro il killer silenzioso del poligono militare sardo. E sul processo in corso dice: 'Rivoltano la base come un calzino'

I veleni del poligono. Militari e cittadini malati, una terribile verità
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5 Luglio 2017 - 13.02


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di Antonella Loi.

 

Mariella Cao parla lentamente, si prende le sue pause. “Sono quarant’anni che ci battiamo perché la verità su Quirra venga a galla”, dice con voce flebile e ferma. Il processo in corso a Lanusei, capoluogo della ex provincia Ogliastra, in Sardegna, è l’occasione che si aspettava da sempre. “E’ la prima volta a livello planetario che una Procura rivolta un poligono militare come un calzino e fa emergere delle cose a cui non avevamo mai neanche pensato”, afferma sentendo per la prima volta il sapore dolce di un muro di silenzio a due passi dall’infrangersi.

“Quello che sta venendo fuori va ben oltre ciò che avremmo mai potuto immaginare”, sostiene la donna che la scorsa settimana è stata sentita come teste. La base militare che corre per 50 km di costa, uno dei più belli della linea sud orientale, “usata come discarica di morte non solo dall’Italia, ma anche dai Paesi della Nato che lì per anni hanno smaltito residuati bellici di ogni specie”, è difficile anche da commentare. Ma ciò che fa più male, aggiunge, è “la noncuranza verso la salute dei militari di stanza e verso la gente che vive tutto intorno”.

 

Ex insegnante di francese, 73 anni, Mariella è diventata con il suo alacre lavoro nell’associazione “Gettiamo le basi”, l’attivista più autorevole nel panorama dell’antimilitarismo, contro quella “cultura della guerra” che le servitù militari – il 65 per cento di quelle italiane si trova in Sardegna – a buon diritto rappresentano. “Non chiamatemi leader però: sono solo una portavoce. Respingo il leaderismo, per me antidemocratico”, afferma a un tratto della conversazione con Tiscali.it, ammettendo suo malgrado di essere quasi un simbolo nell’opposizione alle servitù militari. E “l’essere stati ammessi tra le parti civili nel processo” in corso a Lanusei dal 2012 contro gli 8 militari graduati accusati di “omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri”, è il più importante dei “riconoscimenti”. 

 

“Gettiamo le basi” ha una lunga storia. Nato ad Aviano come movimento antimilitarista nel 1997, l’associazione si è piano piano dissolta: la costola sarda è l’unica rimasta in piedi negli anni. Oggi porta avanti un’instancabile attività di raccolta dati e documenti sui malati e sui morti dei poligoni sperimentali sardi e di Quirra in particolare. “Decessi interconnesi con le attività della base militare”, sostiene Mariella. Praticamente “quello che tutti sanno”. In pratica gli attivisti raccolgono testimonianze e ricevono segnalazioni di nuovi o vecchi malati, a cui seguono contatti telefonici e accurati accertamenti caso per caso. “Purtroppo le malattie e i decessi non si fermano mai”, ammette. 

 

I pastori morti e gli animali deformi

Si ammalano e muoiono i pastori che, indisturbati, hanno sempre pascolato le loro greggi all’interno delle aree del poligono a mare (2 mila ettari a Capo San Lorenzo sulla costa, altri 12 mila sull’altopiano di Perdasdefogu). E così anche la gente dei paesi vicini che in quelle colline di cisto e corbezzolo, ha passeggiato, raccolto funghi, vissuto. Vittime silenziose sono anche i molti militari che lì manipolano armamenti da guerra, partecipano o assistono alle attività belliche con ordigni provenienti da mezzo mondo. Quelli che esplodendo spargono metalli pesanti e nanoparticelle. L’ultimo militare se n’è andato ai primi di giugno di quest’anno: si chiamava Tullio Depau, era un aviere di 43 anni e viveva a Villaputzu, il paese più prossimo al posto di lavoro. 

Responsabile è l’uranio impoverito, si pensa ma si attendono conferme ufficiali, ma anche il torio trovato nel latte delle bestie e nelle ossa dei pastori morti. Metalli letali che provocano malattie quali linfomi rari e leucemie, sempre aggressivi, il più delle volte incurabili.

 

“Residuati sepolti: la prima verità agghiacciante”

Nel processo in corso a Lanusei si cerca una verità a latere, rispetto alle cause e agli effetti dei decessi e del pesante inquinamento ambientale. Ma, assicura la donna, “parlando delle responsabilità su cartelli di avvertimento del pericolo non posizionati e recinzioni non sicure, stanno emergendo verità importanti. E questo nonostante le ricerche fasulle su salute e ambiente presentate dai militari in tutti questi anni”. Infatti, dice Mariella, “mai avremmo pensato che i residuati venissero sepolti sottoterra appositamente senza nessuna precauzione: e questo l’abbiamo saputo dalle indagini della procura. Noi l’avevamo chiesto tante volte e la risposta era sempre stata ‘i rifiuti smaltiti a termini di legge’. Invece così non era”.

Il tempo dell’attesa però non è finito, il processo è lungo. “Le conferme arriveranno, in un modo o nell’altro. Come è successo con quello studio veterinario commissionato dalla Nato – dice – e finito non si sa come sulle scrivanie dei giornalisti. In esso si dice che il 65% di pastori che lavorano nel Poligono a mare sono colpiti da tumore e sono frequenti le malformazioni tra il bestiame, due cose correlate. Sull’altopiano abbiamo invece l’incidenza del cancro è del 35%”. Dati scioccanti “che loro stessi confermano”, commenta Mariella. “Il 65 per cento di morti non l’ha raggiunta neanche Hitler nei campi di concentramento, forse il 33 si avvicina”.

Il processo promette anche un altro risultato: creare più consapevolezza intorno ai “veleni di Quirra”. “Nel 1969 quando, giovane insegnate, sono arrivata a Villaputzu il poligono era un argomento tabù – ricorda Mariella -. Mi torna alla mente una gita con gli studenti rimandata all’improvviso perché nei pressi del sito archeologico era caduto un missile. La reazione? Quasi normalità. ‘Può succedere’, era il commento classico”. Anche sollevando il discorso al bar o nei negozi stessa reazione. “Una rassegnazione totale, un ‘non ci possiamo fare niente’ e quindi ‘sforziamoci di non vederlo’: si libera l’orizzonte visivo e cognitivo. Come nel detto sardo ‘no du potzu mancu biri”, non voglio vederlo”. 

Da allora molto è cambiato. Anche se “ovunque ci sia una potenza politica o economica che agisce si crea il consenso. E’ accaduto con tanti poli industriali altamente inquinanti”, dice. Taranto con l’Ilva, Casale Monferrato con i morti dell’eternit, il polo industriale di Portovesme o quello di Sarroch in Sardegna. “Bisogna ottenere il consenso delle popolazioni con il ricatto occupazionale. E c’è tutta una convergenza di quella che possiamo chiamare la zona grigia: se sei un politico che ti occupi di un territorio con una fabbrica o di una base militare e ti opponi carriera politica non ne fai”. 

 

“Vogliamo una soluzione politica”

Ciò che “Gettiamo le basi” e tante altre associazioni antimilitariste chiedono non è semplicemente la chiusura della base di Quirra (e delle altre della Sardegna) ma “una soluzione politica, una presa di posizione forte e chiara, contro i silenzi che si sono accumulati fino a oggi”. Ogni 15 del mese si tiene un sit in davanti alla Prefettura di Cagliari e lì incontrano i rappresentanti del governo. “A loro chiediamo di sospendere le attività nei poligoni fino a che non sia emersa la verità sui veleni killer, le bonifiche e il ripristino ambientale, i risarcimenti per le famiglie delle vittime e per tutto il popolo sardo. Chiediamo una scelta politica di pace: la guerra in Sardegna costa 70 milioni di euro, investiamoli piuttosto in scuola, sanità e trasporti”. 

 

 

Fonte: http://notizie.tiscali.it/interviste/articoli/cao-quirra-uranio/.

 

 

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