di Fulvio Scaglione.
Ma come ha fatto una grande nazione come gli Usa a ridursi così? Spiace dirlo ma una classe politica seria non si farebbe ridere dietro diffondendo, come ha fatto il ministero del Tesoro americano, questa lista di proscrizione, già ribattezzata Putin’s List, che comprende 114 politici e 96 ricconi, altrimenti detti oligarchi. In pratica, tutta la Russia, o almeno tutta la Russia che conta. Per completare il ridicolo, nella lista, che prelude a sanzioni ad personam, ci sono sia quelli che a buon diritto possono essere definiti “uomini di Putin” come Igor Secin (anche lui ex agente dei servizi segreti e da anni capo di Rosneft, il gigante petrolifero di Stato), Aleksej Miller (presidente del consiglio d’amministrazione di Gazprom) o Dmitrij Peskov (portavoce del Presidente) ma anche imprenditori che in un modo o nell’altro sono entrati in contrasto con Putin come Roman Abramovic (che con Putin non si è mai “preso”), i fratelli Ananiev (informatica) o Arkadyj Volozh (fondatore e amministratore delegato di Yandex, il principale motore di ricerca russo).
In pratica, basta essere russo e avere avuto successo negli affari o nella politica per essere qualificato come un potenziale nemico degli Usa. E infatti sono puntati dal ministero del Tesoro Usa tutti gli amministratori delegati delle maggiori aziende pubbliche o private della Russia. E per non farsi mancare nulla, gli strateghi americani hanno messo in lista pure Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri, che non si capisce che cosa dovrebbe fare se non difendere gli interessi diplomatici del proprio Paese. Difficile controllare sul sito del ministero del Tesoro americano, che gestisce la politica delle sanzioni, ma dev’essere l’unico caso al mondo.
Roba buffa, come si diceva. E pure abbastanza incomprensibile. Va bene che la Russia rompe le scatole. D’accordo che in Medio Oriente ha buttato all’aria un po’ di piani americani. Si capisce che dia fastidio con quel suo asse con Iran e Turchia costruito senza nemmeno litigare con l’Arabia Saudita. Mettiamoci pure che in Ucraina non è andata troppo per il sottile. Insomma, teniamo conto che questa “stazione di benzina travestita da nazione” (cfr. John McCain, luminoso filosofo della politica) si sente più nazione che stazione e si comporta di conseguenza, ambizioni comprese. Ma si può pensare di mettere al bando, attraverso l’intera sua classe dirigente, un Paese da 143 milioni di abitanti esteso su dieci fusi orari dal cuore dell’Europa a quello dell’Asia? Possono pensare una baggianata simile gli americani che coprono di armi e di credito politico l’Arabia Saudita e trattano serenamente con i dittatori africani?
Anche accettando l’idea che tutti i politici e gli imprenditori russi non facciano altro che rubare, opprimere i propri simili e complottare contro il benessere dell’America, è solo a noi che ugualmente pare una grande pirlata?
L’unica spiegazione possibile, essendo da escludere che un attacco improvviso di demenza senile abbia colpito l’intero Governo Usa, è che anche questa Putin’s List altro non sia che una mossa di politica interna, uno dei tanti tentativi messi in opera dall’Amministrazione per liberare Donald Trump dal fantasma del Russiagate elettorale a suo tempo buttatogli tra le gambe dal duo Barack Obama-Hillary Clinton. Un fantasma che va a tirargli i piedi di notte anche se a un anno e mezzo di distanza dalle prime denunce di Obama, appunto, non ha trovato alcuna vera conferma, a dispetto delle indagini di 17 agenzie di sicurezza con 120 mila dipendenti. Mettere al bando la Russia, alla fin fine, è più semplice e sbrigativo.
Fonte: http://www.occhidellaguerra.it/mettere-al-bando-la-russia-cosa-ce-dietro-la-putins-list/