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Racconto di due conferenze

Racconto di due conferenze
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5 Luglio 2012 - 09.27


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La crisi sociale ed ecologica del capitalismo

crisi 20120705

di Chris Williams* www.climateandcapitalism.com 

“È impossibile!” – esclamai

“No, Johnny, noi siamo impossibili. È com”era dieci milioni di anni fa. Non è cambiato nulla. Siamo noi e la terra ad essere cambiati, ad essere diventati impossibili, noi!”

Ray Bradbury – dal racconto La sirena

A volte il calendario delle conferenze globali a cui partecipano le élite ci dà delle potenti lezioni, specialmente quando vengono messi in luce gli affari deliberatamente oscuri di coloro che guidano il sistema. Mentre i 20 più potenti leader mondiali decidono su questioni economiche al summit G20 di Los Cabos, in Messico, i rappresentanti del resto del pianeta simultaneamente convergeranno a Rio de Janeiro per riflettere su come dar seguito al primo Summit della Terra, esattamente venti anni fa.

In questi incontri apparentemente separati, in realtà osserviamo le due facce della medaglia del capitalismo. Nello specifico, come può l”elite capitalista continuare la necessaria opera di sfruttamento su esseri umani e ambiente al fine di servire il profitto, mentre traveste le proprie intenzioni con il linguaggio benevolo della crescita, dello sviluppo e della sostenibilità? Belle parole che mascherano obiettivi nefasti. Senza dubbio, mentre il sistema diretto da questa élite provoca la distruzione della vita delle persone e del mondo in cui vivono, e come risposta la fiamma della rivolta si accende dal Cairo ad Atene, le stesse elite politiche nelle due conferenze parleranno di come le cose non stiano migliorando. Dall”altro lato, critici e commentatori dei due eventi, considerandoli in modo separato, perdono di vista un punto fondamentale.

Al primo Summit della terra di Rio fu generalmente riconosciuto il fatto che le questioni ambientali non possono essere distinte da quelle economiche. Quest”anno le due conferenze, tenute simultaneamente in luoghi diversi del continente sudamericano, mettono in luce quanto questo concetto sia venuto meno.

Oltre a ciò, esse indicano con precisione geografica e politica quali siano le priorità dell”élite globale. I più importanti leader mondiali accorrono in Messico per discutere di sviluppo economico globale, e intanto mandano delegati minori in Brasile per discutere di temi che essi ritengono meno vitali: la crisi ecologica planetaria.

Infatti gli organizzatori brasiliani di Rio +20 erano così ansiosi di convincere il premier britannico a prender parte alla conferenza, che hanno cambiato la data di quest”ultima per evitare che coincidesse con le ben più importanti celebrazioni per il sessantesimo anniversario dell”ascesa al trono della regina d”inghilterra. Un tentativo che si è infine rivelato inutile e imbarazzante, visto che il primo ministro britannico David Cameron ha scelto di rimanere attaccato alle sottane del presidente Obama e degli altri leader G20 a Los Cabos impegnati a calcolare, architettare e concordare l”ulteriore distruzione e privazione dei diritti delle comunità di lavoratori e contadini a livello mondiale.

Tristemente ironico anche il fatto che, per stimolare la partecipazione al vertice di Rio, il Brasile stia fornendo dei voli a quei paesi che sono troppo poveri per mandare dei delegati. È difficile immaginare che i paesi che non possono permettersi di mandare delegati ad una conferenza sull”ambiente avranno poi le risorse finanziarie per mettere in atto misure di conservazione della biodiversità e della stabilità del clima senza l”aiuto di fondi internazionali e trasferimento di tecnologia. Ma il concetto e lo stesso uso della parola “trasferimento” sono proprio ciò che la delegazione statunitense sta cercando di eliminare da qualsiasi documento che uscirà da Rio +20.

A Los Cabos, 20 individui che esercitano un potere economico enorme si riuniscono per assicurare che nessun ostacolo blocchi la strada dell”accumulo internazionale di denaro da parte delle loro rispettive multinazionali, che la crescita capitalistica continui, non ostacolata da concetti insignificanti come la democrazia. Tramando e complottando a Los Cabos, i 20 leader faranno fronte comune, preoccupati dal fatto che i loro piani sono stati smascherati dal popolo greco.

Mentre lor signori corrono in Messico, uno dei primi paesi ad essere stato devastato dalla ricetta neoliberista a base di privatizzazioni, deregulation e tagli alla spesa sociale, i risultati delle elezioni in Grecia risuonano nelle loro orecchie come un rimprovero collettivo per austerità e disoccupazione. Con risultati senza precedenti, i greci hanno esercitato i loro diritti democratici votando per Syriza, una coalizione di sinistra che prima era poco conosciuta e marginale, e contro la consegna del benessere del loro paese nelle mani di tecnocrati non eletti dal popolo e che governano da lontano. Un voto, questo va sottolineato, espresso sotto la pressione di allarmi apocalittici da parte di quell” 1% composto dagli accoliti delle banche centrali, ansiosi di far sì che la gente non votasse “nel modo sbagliato”.

Per quanto riguarda il sud del mondo, lo sviluppo economico capitalista – specialmente dal momento della sua mutazione neoliberista – è stato un disastro di proporzioni enormi dato che il denaro e le ricchezze naturali vengono dirottate verso le istituzioni finanziarie occidentali. Secondo Oxfam, i flussi di capitali lordi verso i paesi in via di sviluppo sono diminuiti da 309 miliardi di dollari nel 2010 a 170 miliardi nel 2011. Lo scorso anno gli aiuti dei maggiori donatori hanno subito la prima flessione in 14 anni, diminuendo di 3,4 miliardi di dollari; gli aiuti complessivi sono stati inferiori di 16 miliardi rispetto a quanto il G8 si era impegnato a dare nel 2009.

La diminuzione degli aiuti, insieme a trasferimenti legali e illeciti fuori dai paesi in via di sviluppo, significa che per ogni dollaro di aiuti ricevuto (molti dei quali legati all”acquisto di materie dall”occidente), escono 7-10 dollari. Solo nel 2009 i paesi in via di sviluppo hanno visto 903 miliardi di dollari sparire all”estero grazie ad un sistema truccato dal quale le popolazioni non traggono vantaggio. Mentre 16 dei 20 membri del G20 hanno visto le ineguaglianze aumentare negli ultimi 20 anni, come completamento di quel processo, deve davvero stupire che i paesi in via di sviluppo sembrano essere permanentemente tali anche quando le condizioni sociali ed ambientali peggiorano anche lì?

La violenta espropriazione che ha caratterizzato la sanguinosa alba del capitalismo (fotografata da Marx nei suoi scritti sull”allontanamento forzato dei contadini nel 1500), ovvero le enclosures, che furono tra i primi atti di privatizzazione, si ripete in versione contemporanea attraverso il furto delle terre. Le parole di Marx suonano decisamente attuali:

“Così la popolazione rurale espropriata con la forza, cacciata dalla sua terra, e resa vagabonda, veniva spinta con leggi fra il grottesco e il terroristico a sottomettersi, a forza di frusta, di marchio a fuoco e di torture, a quella disciplina che era necessaria al sistema del lavoro salariato.”

Nei 20 anni che ci separano dall”ottimismo del primo Summit della Terra a Rio, le emissioni ci carbonio sono aumentate del 50%, e dal 1950 ad oggi, mentre nel resto del mondo l”aumento della temperatura è stato mediamente di 0.7°, nell”Artico, a causa di vari feedback loop positivi, si è registrato il doppio di tale cifra. In mancanza di misure serie, mentre il pianeta si avvia verso i 2° di riscaldamento, l”Artico è sulla tragica strada dei 3/6°. L”edizione speciale dell”Economist del 16 giugno 2012 ipotizzava un Artico privo di ghiacci con un misto di trepidazione, disinvolta indifferenza razzista ed una generale tendenza verso l”entusiasmo monetario:

“Nel lungo periodo un Nord senza ghiacci potrebbe causare devastazioni. Ma nel frattempo, paradossalmente, nessuna specie artica ne trarrà profitto quanto quella che ne è la causa: gli esseri umani. La scomparsa dei ghiacci può determinare la fine delle ultime culture eschimesi, ma quasi nessuno oggi vive più in un igloo. E il grande scioglimento farà arricchire molte persone.”

Già, secondo l”Economist, mentre il cambiamento può essere “devastante” per culture antiche e indigene, così come per le specie abituate al freddo, uno specifico e piccolo sottoinsieme di esseri umani diventerà spropositatamente ricco.

Gli esseri umani e la terra sono cambiati, ed il progresso pianificato dai capitalisti e dai loro rappresentanti politici è diventato chiaramente impossibile, dato che l”ulteriore sviluppo capitalistico comincia a contraddire non solo i diritti umani o il senso del progresso sociale, ma le stesse leggi termodinamiche dell”universo, che sono alla base di una biosfera stabile dalla quale dipendono in ultima analisi tutte le forme di vita.

Per citare il giornalista britannico George Monbiot sulle ragioni del fallimento di così tante conferenze sull”ambiente:

“Questi summit hanno fallito per la stessa ragione per cui le banche hanno fallito. Dei sistemi politici che avrebbero dovuto rappresentare tutti i cittadini si trasformano in governi di milionari, finanziati da miliardari e strumenti di questi ultimi. Gli ultimi venti anni sono stati un banchetto di miliardari. Su ordine delle multinazionali e degli ultraricchi, i governi hanno rimosso ogni margine di decenza e tutela – le leggi e i regolamenti – che impediscono ad una persona di distruggerne un”altra. Aspettarsi che governi finanziati da questa classe proteggano la biosfera e difendano i poveri è come chiedere a un leone di nutrirsi di gazpacho.”

Dall”altro lato del panorama politico, rappresentanti dell”organizzazione ambientalista statunitense Environmental Defense Fund commentano sul New York Times ammettendo che “quando l”Artico non avrà più ghiacci sarà trivellato in cerca di petrolio” Tuttavia, nonostante vent”anni di fallimenti, mantengono la speranza che con un piccolo sforzo in più e riforme come il cap and trade, da qui a 10 anni le cose miglioreranno: “con la determinazione e le giuste politiche, quando sarà il momento di Rio +30, l”ottimismo potrebbe essere all”ordine del giorno”.

I socialisti sono spesso descritti come utopisti. Ci dicono che le nostre idee suonano bene in teoria, ma il fatto che gli esseri umani vivano insieme in eguaglianza in un sistema democratico basato sulla cooperazione, in una società che viva in armonia col mondo naturale, questo semplicemente non funzionerà mai nella pratica.

È più realistico credere che lo stesso sistema che ci ha portato fino a questo punto ci libererà?

Il messaggio dei “realisti” sembra essere che, mentre da qui a dieci anni potremmo aver ridotto l”Artico a un colabrodo, da qui ad allora andrà tutto bene. Andando oltre le discutibili affermazioni dell”Environmental Defense Fund, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban-Ki-Moon è riuscito ad esprimere un livello di entusiasmo che avrebbe fatto vergognare lo stesso Dr Pangloss**

“Comprendiamo sempre di più che con politiche pubbliche intelligenti, i governi possono far crescere le loro economie, ridurre la povertà, creare posti di lavoro decenti e accelerare il progresso sociale in modo che rispetti le limitate risorse naturali del pianeta.”

Verrebbe da chiedere: chi sono i veri utopisti? In tutto il mondo molti stanno ricominciando a considerare come reali alternative, insieme al concetto di rivolta di classe, le idee di sinistra ed esplicitamente socialiste proprio perché è evidente che i nostri governanti non hanno risposte, eccetto quella dell”estensione del mercato in aree completamente nuove. Meena Raman di Thirld Wolrld Network, organizzazione con base in Malesia, è stata chiara nella sua denuncia del ruolo che gli USA hanno avuto nel far fallire i negoziati sul clima alla conferenza di Durban del 2011 e a Rio+20:

“Vista la posizione degli Stati Uniti, non vogliamo che il presidente Obama o nessun altro leader statunitense venga a Rio per seppellire ciò che a Rio era stato concordato nel 2002. Non possiamo aspettarci alcuna leadership da parte degli Usa per ciò che riguarda la volontà di salvare il pianeta e i poveri. Quindi è meglio che il presidente Obama resti a casa.”

Nel frattempo 105 istituzioni scientifiche stanno facendo pressione perché a Rio si prendano misure sulla popolazione e il consumo: “troppo a lungo popolazione e consumo sono stati lasciati fuori dal dibattito perché argomenti delicati dal punto di vista politico ed etico. Questi sono temi che riguardano sia i paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo, e dobbiamo prenderci la responsabilità di discuterli insieme”, ha detto Charles Godfray, membro della Royal Society.

Ma la crescita della popolazione è una funzione della povertà, e sono infatti i paesi con i livelli più alti di consumi, come gli USA e l”Europa, che non solo sono la causa storica della crisi ecologica, ma stanno aiutando a portarla alla sua logica conclusione – un collasso a cascata degli ecosistemi – sostenendo l”espansione economica e la creazione di povertà attraverso la promozione di accordi finanziari e commerciali che accentuano le ineguaglianze.

Il capitalismo è come uno squalo: esattamente come gli squali non possono smettere di nuotare in avanti per paura di affogare, così il capitalismo deve crescere o morire.

È importante capire perché i negoziatori credono che il modo principale per salvare l”ambiente sia dare ad esso un prezzo. Questa è la spinta principale all”interno dei colloqui, accettata da tutti gli attori della conferenza, e rappresenta il divario abissale con le decine di migliaia di manifestanti che partecipano al Summit dei Popoli di Rio +20, i quali vengono tenuti forzatamente lontano dal dibattito attraverso le squadre antisommossa della polizia.

L”argomentazione dei negoziatori è che solo dando alle risorse naturali un valore in termini monetari è possibile proteggere l”ambiente. Da un lato è facile vedere nel futuro l”ulteriore privatizzazione di ogni molecola d”acqua, di ogni albero e di ogni pezzo di terra, esattamente come desiderano le multinazionali. L”estendere il “libero” mercato allo sfruttamento di nuovi settori è un metodo sperimentato ed efficace per aumentare i profitti.

Coloro che guidano le multinazionali lo capiscono in fretta e promuovono sé stessi:

“Per le aziende questo è un egoismo illuminato. Coloro che possono permettersi l”acqua devono pagare. L”acqua è in sostanza ipersfruttata perché non la consideriamo un bene economico. Introdurre metodologie come i livelli di tariffa, cosa che alcuni paesi hanno già fatto, aiuterà ad usare l”acqua in modo intelligente, in molti casi per la prima volta.”

Queste le parole di Gavin Power, vicedirettore del Global Compact delle Nazioni Unite (UNGC), un”organizzazione ombrello che include 45 dei più potenti amministratori delegati appartenenti ad aziende dalla nota sensibilità ambientale quali Coca Cola, Glaxo-SmithKline, Nestle, Merck e Bayer, e che garantisce che a Rio +20 la loro voce sia ascoltata.

Ma il sostegno alla “valutazione” delle risorse naturali esiste non solo o principalmente perché coincide con il volere delle multinazionali. Molti di coloro che approvano questa quantificazione della natura credono veramente che essa aiuterà a tutelare la biodiversità, a rallentare i cambiamenti climatici e a ridurre la pressione sulle risorse naturali.

Più semplicemente, il bisogno di dare il “giusto valore” ad ogni cosa è parte delle basi ideologiche del capitalismo. Nella filosofia capitalista, se qualcosa non ha un prezzo, essa non può avere un valore. Quindi dare il prezzo esatto, o internalizzare i costi, di un bene naturale, vuol dire renderne possibile lo sfruttamento razionale e la simultanea conservazione.

Per chi è prigioniero nel labirinto del sistema di valori capitalistico non c”è contraddizione tra questi due obiettivi: la mercificazione della natura può esser vista sia come un modo per trarne denaro che come un modo per salvarla, come ha perfettamente espresso Ban Ki-moon.

La quantificazione della natura è il logico esito dell”approccio filosofico che il capitalismo ha verso la natura e dunque costituisce un approccio pratico alla “salvezza dell”ambiente”. Il lato qualitativo – non quantificabile – della natura, la bellezza puramente spirituale e stupefacente del guardare ad esempio un”alba, non solo è completamente assente, o sottostimato, è essenzialmente inconoscibile.

Quindi, supponendo che non si sia pronti a sostenere delle riforme della regolamentazione che pongano limiti alle operazioni delle multinazionali e confini che queste ultime non possano superare, o che non si sostenga la rivoluzione, allora non rimane altra opzione che estendere il mercato. Esattamente questo l”obiettivo di Rio +20.

Tuttavia, per chi vuole davvero vedere un pianeta migliore, estenderne la mercificazione di ogni singolo elemento non può essere una soluzione. Prendendo ispirazione delle lotte sorte in vari paesi del mondo nel 2011, l”imperativo è quello di connettere i movimenti di resistenza sociale, e creare nuove alleanze con le organizzazioni dei lavoratori e coloro che nel mondo vengono privati dei diritti, in modo da costringere chi vuole rifilarci false soluzioni ad accettare le modifiche alle regole.

Solo unendo il cambiamento sociale ed ecologico e combattendo su entrambi i fronti, in modo autonomo rispetto ai partiti politici mainstream e creando le nostre organizzazioni indipendenti di lotta, possiamo sperare di fare dei progressi.

Inoltre, è altrettanto fondamentale che coloro che combattono per l”emancipazione sociale, la libertà e il rispetto dell”ambiente riconoscano che il capitalismo rappresenta l”annientamento della natura, e quindi dell”umanità. Un sistema basato sulla cooperazione, sulla democrazia reale, sulla pianificazione a lungo termine, e sulla produzione per i bisogni e non per il profitto, in altre parole socialismo, rappresenta la riconciliazione degli esseri umani con la natura.

E, come notava Marx, il raggiungimento di tale obiettivo sarà necessariamente molto meno violento del processo che ha creato il capitalismo:

“La trasformazione della proprietà privata sminuzzata poggiante sul lavoro personale degli individui in proprietà capitalistica è naturalmente un processo incomparabilmente più lungo, più duro e più difficile della trasformazione della proprietà capitalistica, che già poggia di fatto sulla conduzione sociale della produzione, in proprietà sociale. Là si trattava dell”espropriazione della massa della popolazione da parte di pochi usurpatori, qui si tratta dell”espropriazione di pochi usurpatori da parte della massa del popolo.”

Attualmente viviamo in un”era che è stata definita da alcuni scienziati Antropocene, l”età dell”uomo, per sottolineare quanto drasticamente la civiltà umana abbia alterato la biosfera su una scala dei tempi geologici. Solo rovesciando il capitalismo e muovendoci verso un”economia cooperativa e pianificata basata sulla democrazia e la sostenibilità possiamo procedere verso un”età caratterizzata, per citare Epicuro, come Oikeiotocene – l”età della conformità con la natura.

 

Traduzione a cura di Giovanna Tinè per Megachip. 

* Chris Williams è un attivista ambientale di vecchia data e autore di Ecology and Socialism: Solutions to Capitalist Ecological Crisis (Haymarket, 2010). È preside del Dipartimento di Scienze del Packer Collegiate Institute e professore aggiunto alla Pace University nel Dipartimento di Scienze Chimiche e Fisiche. I suoi articoli sono apparsi su Z Magazine, Counterpunch, The Indypendent, Dissident Voice, International Socialist Review, Truth Out, Terraspheres.com, Socialist Worker, ZNet e Climate and Capitalism.

** personaggio del Candido di Voltaire che rappresenta l”ottimismo sfrenato (n.d.t.)

 

Fonte: http://climateandcapitalism.com/2012/06/22/a-tale-of-two-conferences-the-social-and-ecological-crises-of-capitalism-2/

  

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