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Perseguire i profitti o il potere?

Le imprese cercano di massimizzare i profitti? O cercano di massimizzare il potere? La ricchezza genera potere, il potere genera ricchezza – ma non sono la stessa cosa.

Perseguire i profitti o il potere?
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14 Settembre 2013 - 00.55


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di James K. Boyce .


Le
imprese cercano di massimizzare i profitti? O cercano di massimizzare il
potere? Le due cose possono essere complementari – la ricchezza genera
potere, il potere genera ricchezza – ma non sono la stessa cosa. Una
differenza importante è che i profitti possono derivare da una “torta”
economica che si espande, mentre la dimensione della torta del potere è
fissa. Il potere è un gioco a somma zero: più per me significa meno per
te. E per le imprese il perseguimento del potere a volte supera il
perseguimento dei profitti.


Si
prenda, ad esempio, l’istruzione pubblica. Maggiori investimenti
nell’istruzione dall’asilo all’università potrebbero accrescere la torta
complessiva del benessere. Ma ridurrebbero il vantaggio educativo degli
oligarchi delle imprese e dei loro figli istruiti presso scuole
private, e ridurrebbero il potere che ne deriva. Anche se le imprese
traggono beneficio dalla torta più grande prodotta da una manodopera
meglio istruita, esiste una tensione tra ciò che è bene per gli affari e
ciò che è bene per l’élite degli affari.


Similmente,
l’èlite affaristica oggi appoggia le politiche di austerità economica
invece di quelle della piena occupazione, che aumenterebbero la crescita
e i profitti. Questo può avere qualcosa a che fare con il fatto che
l’austerità accresce la disuguaglianza, mentre la piena occupazione la
riduce (dando potere ai lavoratori). Se sbucciamo i vari strati della
cipolla, al centro troviamo di nuovo che quelli al vertice della
piramide imprenditoriale mettono il potere davanti ai profitti.


Come
ulteriore esempio si consideri la politica della regolamentazione
governativa. Le imprese scaricano regolarmente sui consumatori tutti i
costi che sostengono in conseguenza dei regolamenti. Nell’industria
automobilistica, ad esempio, le norme che impongono le cinture di
sicurezza, le marmitte catalitiche e una miglior efficienza nei consumi
hanno fatto aumentare di qualche centinaio di dollari i prezzi delle
auto. Non hanno tagliato i margini di profitti dei produttori di auto.
Se i costi della regolamentazione alla fine sono sopportati dal
consumatore, perché incontrano una resistenza così rigida da parte delle
imprese? La risposta può aver meno a che fare con i profitti che con il
potere. I capitani d’industria sono suscettibili a proposito delle loro
“prerogative gestionali”. Semplicemente non amano che altri dicano loro
cosa devono fare.


In
un famoso documento del 1971 per la Camera di Commercio statunitense il
futuro giudice della Corte Suprema Lewis Powell scrisse: “E’ da molto
passato il tempo in cui i compiti del dirigente esecutivo di una grande
impresa sono assolti mantenendo una soddisfacente crescita dei
profitti.” Per contrastare quello che descriveva come un attacco contro
il sistema statunitense della libera impresa da parte di sindacati,
degli studenti e dei difensori dei consumatori, Powell sollecitava gli
amministratori delegati ad agire “facendo tesoro della lezione che è
necessario il potere politico; che il potere deve essere coltivato
assiduamente e che, quando necessario, deve essere usato aggressivamente
e con determinazione”. Stava predicando a un uditorio recettivo.


L’idea
che le aziende massimizzino ossessivamente i profitti è un assioma di
fede dell’economia neoclassica per principianti, ma teorie alternative
hanno una lunga storia nella professione più vasta. Thorstein Veble,
John Maynard Keynes e Fred Hirsch considerarono tutti la posizione
individuale rispetto a quella altrui come una motivazione
chiave del comportamento economico. Oggi una versione ad effetto di
questa idea si incontra negli adesivi sulle auto: “Chi muore con i
giocattoli migliori vince”.


Nel
suo discorso presidenziale del 1972 all’Associazione Economica
Statunitense, intitolato “Il potere e l’economista utile”, John Kenneth
Galbraith contrappose il ruolo del potere nell’economia del mondo reale
al fatto che era ignorato dall’economia ortodossa: “Nel trascurare il
potere – nel rendere l’economia una materia apolitica – la teoria
neoclassica … distrugge il suo rapporto con il mondo reale.”


Nello
schieramento libero-mercatista dello spettro ideologico, il
perseguimento del potere è presentato come una patologia distintiva
dello stato. L’economista della “Scuola di Chicago” William Niskanen ha
teorizzato che i burocrati del settore pubblico cercano di massimizzare
la dimensione dei loro bilanci, facendone un lasciapassare per “salario,
prerogative della carica, reputazione pubblica, potere, clientela,
facilità di gestire la carica e facilità di operare cambiamenti”. Ha
chiamato questa “l’economia peculiare della burocrazia”.


Ma
il perseguimento del potere non è monopolio delle burocrazie
governative. E’ la normalità anche nelle burocrazie imprenditoriali. Nel
suo discorso presidenziale, Galbraith operò il collegamento: “Tra
burocrazie pubbliche e private – tra la General Motors e il Dipartimento
dei Trasporti, tra la General Dynamics e il Pentagono – c’è un rapporto
profondamente simbiotico.”


Riconoscere
il perseguimento del potere nel mondo reale non solo contribuisce a
comprendere comportamenti che altrimenti sembrerebbero bizzarri.
Reindirizza anche la nostra attenzione dalla dicotomia tra mercato e
stato a una dicotomia più fondamentale: la divisione tra oligarchia e
democrazia.


James
K. Boyce insegna economia all’Università del Massachusetts, Amherst. Il
suo libro più recente è ‘Economics, the Enviroment and Our Common
Wealth’
[Economia, l’ambiente e la nostra ricchezza comune] (Edward Elgar, 2013).


FONTI:
Sarah O’Connor, “OECD warns of rising inequality as austerity
intensifies,” [L’OCSE avverte che la diseguaglianza aumenta con
l’intensificarsi dell’austerità]Financial Times, 15 maggio2013
(ft.com); Lewis F. Powell, Jr., “Confidential Memorandum: Attack on
American Free Enterprise System,” [Promemoria confidenziale: l’attacco
al sistema statunitense della libera impresa] 23 agosto 1971
(law.wlu.edu); John Kenneth Galbraith, “Power and the Useful Economist,”
[Il potere e l’economista utile] American Economic Review, Marzo 1973; William A. Niskanen, “The Peculiar Economics of Bureaucracy,” [La peculiare economia della burocrazia] American Economic Review, maggio 1968. 


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo


www.znetitaly.org


Link: http://znetitaly.altervista.org/art/12288http://znetitaly.altervista.org/art/12288.

Fonte:  http://www.zcommunications.org/pursuing-profits-or-power-by-james-k-boyce.html


Originale: Dollars & Sense


Traduzione di Giuseppe Volpe


Traduzione © 2013 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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