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Due conti sul Fiscal Compact e la favola della Regina Rossa

'Qualcuno vorrebbe minimizzare l''impatto del Fiscal Compact. Ma tutto si basa su una fragilissima e inconsistente previsione: l''aumento del PIL. [Aldo Giannuli]'

Due conti sul Fiscal Compact e la favola della Regina Rossa
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22 Aprile 2014 - 11.32


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di Aldo Giannuli.

Il 17 aprile scorso Il Fatto on line ha pubblicato un articolo di Mauro Del Corno,
secondo il quale l’applicazione del fiscal compact, non solo non
costerà affatto i 40-50 miliardi di cui spesso si parla, ma addirittura
ne costerà solo 7: una bazzecola!  A tale confortante conclusione,
l’autore giunge sulla base di brillante ragionamento per cui:

a- il calcolo di 40-50 miliardi è basato
sull’intero ammontare del debito di cui il cui ventesimo si aggirerebbe
intorno a quella cifra, mentre il calcolo va fatto solo sulla parte che
eccede la soglia del 60%
sul Pil;

b- il rapporto debito/Pil può scendere
sia se diminuisce il debito che se sale il Pil, per cui, cala anche il
differenziale da colmare e, con esso, il ventesimo da ritirare dal
mercato;

c- il calcolo del debito va ricalcolato
ogni anno sulla base del triennio precedente ed il pil va considerato al
valore nominale e non netto
(cioè non depurato dall’inflazione: quindi
se c’è una crescita dello 0,5% ed i prezzi aumentano dell’1%, il Pil
nominale è cresciuto dell’1,5%);

d- man mano che il debito decrescerà,
calerà anche l’entità del ventesimo da rimborsare
(l’anno scorso avevo
un surplus di 1.000 miliardi e ne ho ritirati dal mercato 50, per cui
quest’anno il surplus è di 950 e devo ritirarne 47,5 e, per la stessa
ragione, l’anno prossimo saranno 45,12 e via a scalare);

e- siccome il Fmi stima che il Pil
Italiano, nel 2015, crescerà
dell’1,1% e l’inflazione dell’1%, la
crescita nominale sarà del 2,1% e, pertanto, calcolando al 2,6-2,8% la
soglia di crescita necessaria a mantenere il rapporto debito/pil
nell’equilibrio voluto, mancherebbe uno 0,5%-0,7% pari, appunto a circa 5
o 7 miliardi;

f- a migliorare la situazione dovrebbero
contribuire le recenti manovre della Bce (i 1.000 miliardi di liquidità
offerti da Draghi) che dovrebbero avere per effetto quello di
calmierare gli interessi sul debito, con tutto vantaggio dei debitori.

E, mentre ci sono i “gufi” (come il
sottoscritto) che insistono a parlare di cifre iperboliche oltre i 40
miliardi dunque, champagne! Si tratta solo di 5-7 miliardi: robetta!
Siamo sicuri?

Facciamo due conti facili facili.
Abbiamo detto che il debito attuale ammonta a 2.107 miliardi pari al
132,2% del Pil. Tuttavia, per effetto dei nuovi criteri di calcolo del
Pil decisi dalla Ue, il nostro Pil crescerà (sulla carta) del 2,4% e, in
proporzione, calerà il rapporto con il debito. Però, a fine anno
probabilmente il debito sarà leggermente cresciuto per via del disavanzo
(che, peraltro, dovrebbe essere sotto il 3%) e tutto lascia intendere
che il Pil probabilmente sarà leggermente inferiore a quello dell’anno
scorso. Peraltro, in linea con la tendenza degli ultimi tre anni che ha
visto costantemente peggiorare il rapporto debito/Pil, sia perché è
aumentato il debito sia, ancor più, perché è calato il Pil. E infatti,
mentre nel 2011 eravamo ad 120% del Pil, oggi siamo al 132,2%,
nonostante l’inflazione, peraltro limitata, che abbiamo registrato.

Facciamo cifra tonda e calcoliamo che a
fine anno saremo al 130%, il che significa che la quota eccedente è del
70%, pari, a circa 500 miliardi da ridurre per 1/20 che significa una
base di partenza di 25 miliardi
. Mi direte: decisamente meno dei 40 di
cui parlavi. Già, ma molto di più dei 7 gioiosamente calcolati da Del
Corno
: se la matematica è sempre quella, 25 è un po più della metà di
40, ma è 3 volte e mezzo 7. O no?! Dopo vi spiego come si potrebbe
arrivare ai 40 o i 60 stimati
da altri di cui dicevo (per inciso, io
sono arrivato ad una stima fra 40 e 60. Intanto, non capisco sulla base
di quale funambolico algoritmo si calcoli che una crescita nominale al
2,7-2,8% sia sufficiente a mantenere in equilibrio il rapporto
debito/Pil. Per lo meno, me lo si dimostri matematicamente.

Comunque, andiamo avanti. Si dice: il
rapporto debito/Pil scenderà tenendo fermo il debito e facendo crescere
il Pil, anche se, magari, di poco. Ed allora, iniziamo da una cosa: come
si fa a tenere fermo il debito?
Abbiamo introdotto in Costituzione il
pareggio di bilancio, d’accordo, ma come si fa ad evitare un disavanzo
da finanziare con ulteriore debito? Non restano che due strade:
aumentare le entrate dello Stato
(con le tasse, imposte, ticket ecc e
con l’alienazione di beni pubblici) e/o tagliando le sue spese

Per
adesso lasciamo da parte l’alienazione di proprietà pubbliche (le
privatizzazioni), che meritano una trattazione a sé e, comunque,
difficilmente daranno risultati a breve. Dunque, concentriamoci sui due
metodi più convenzionali. Il nostro paese, già prima del governo Monti,
aveva una pressione fiscale fra le più alte del continente, l’ulteriore
giro di vite ha ridotto i consumi e buttato fuori mercato migliaia di
aziende, portando la disoccupazione a livelli altissimi. Difficile
immaginare un ulteriore giro di vite della contribuzione ordinaria e,
peraltro, il gettito fiscale complessivo è calato per effetto della
recessione che ha contribuito ad innescare. 

In ogni caso, va da sé che
ogni eventuale aumento pregiudicherebbe qualsiasi ipotesi di crescita. 

Mi pare, poi, che il ragionamento di Del Corno faccia troppo affidamento
sull’effetto “gonfiante” dell’inflazione, ma non considera il rischio
di una deflazione (rischio tutt’altro che teorico, visto che solo
qualche mese fa, sino ai 1.000 miliardi emessi dalla Bce, se ne parlava
come di uno spettro per l’Europa e non è detto che i 1.000 miliardi
elettorali di Draghi bastino a scongiurare il pericolo anche fra 8-9
mesi). Nel caso di deflazione l’effetto nominale sarebbe opposto e,
pertanto, anche in questo caso il rapporto debito/Pil  peggiorerebbe.

Veniamo, allora, all’altro capo della
questione: la riduzione della spesa, che, a quello che sembra, è
l’orientamento dell’attuale governo. C’è da capire però cosa va
tagliato
, perché anche i tagli possono produrre effetti recessivi: ad
esempio, tutto quello che riduce occupazione o salario anche solo
indirettamente, ha un effetto depressivo sul Pil. Anche la spesa in sé
più inutile o dannosa (gli F35, il ponte sullo stretto di Messina,
l’acquisto di una flotta di auto blu ecc. e via delirando), se produce
posti di lavoro e aumenta la massa di circolante, agisce comunque da
stimolo alla crescita (anche se poi causa altri effetti indesiderabili,
ma questo è un altro paio di maniche e ne parliamo in altra sede). 

La
spesa che va tagliata è quella che, trasformandosi in rendita
finanziaria, non alimenta affatto la crescita. Dunque (oltre che tassare
la rendita finanziaria ben più severamente di quanto non si faccia), è
sulle retribuzioni molto alte che occorre tagliare, perché, come è noto,
la propensione all’accumulazione cresce progressivamente con il reddito
e, dunque, sono quelle retribuzioni che alimentano la rendita
finanziaria.

Renzi – lo riconosco – ha iniziato a
muoversi in questa direzione, ma usando le forbicine per le unghie dove
lo strumento appropriato sarebbe la katana, la scimitarra o, in
mancanza, il machete
. Oppure si può tagliare su spese inutili come
quelle dei fitti per le sedi (spesso pagati a società immobiliari,
banche ecc, cioè rendita finanziaria anche qui), mentre ci sono migliaia
di locali vuoti di proprietà dello Stato, che potrebbero essere
utilizzati allo scopo o almeno permutati.

E’ possibile ottenere risultati
significativi in queste direzioni, ma, pur operando anche con molta
maggiore decisione dell’attuale governo, è difficile pensare che
l’ammontare complessivo di questi tagli possa bastare da solo a
soddisfare le esigenze di pareggio del bilancio
. Anche perché, non solo
noi abbiamo una spesa in buona parte anelastica (interessi sul debito,
pensioni e stipendi ecc.), ma ci sono voci che sono destinate a
crescere: in un paese di età media piuttosto elevata, è logico che la
previsione di spesa per sanità ed assistenza debba necessariamente
crescere. Allo stesso modo, non è facile che la spesa per gli interessi
sul debito possa sensibilmente calare a breve: oggi, c’è stata una lunga
tregua in gran parte motivata dall’arrivo di elezioni “pericolose” e lo
spread è calato a livelli bassi, ma difficile ipotizzare che possa
calare ancora ed, anzi, è consistente il rischio che torni a salire.

Ovviamente, man mano che i titoli di
debito fossero ritirati dal mercato, la pressione degli interessi
diminuirebbe, ma prima che questo alleggerimento abbia effetti
percepibili occorrerebbe attendere qualche anno.

Dunque, le speranze maggiori che
l’operazione riesca si fondano essenzialmente sulla ripresa della
crescita del Pil
, che è l’unica via reale per uscire da questa
situazione. Ma, questo è il punto, dove sta scritto che questa crescita
debba necessariamente verificarsi?
Anzi, come immaginare che essa possa
realizzarsi in condizioni quali

(A) una pressione fiscale a questi livelli,

(B) con una moneta fortissima che frena le esportazioni,

(C) con una riduzione di spesa dello stato che riguardi anche quella di stimolo alla crescita?

Si può sempre provare con una candela
alla Madonna di Lourdes
, ma non mi sento di garantire il risultato. 

Anzi, potremmo anche trovarci di fronte ad un risultato per nulla
auspicabile (che è esattamente quello che temo). Si tratta di questo: la
pressione fiscale ed il contenimento della spesa (necessitati dal
pareggio di bilancio) determinano una costante depressione del Pil, per
cui, nonostante i titoli ritirati dal mercato, il rapporto fra il
residuo stock di debito ed il Pil peggiora, per cui, non solo il famoso
5% annuale non decresce, ma, paradossalmente, sale.

Questo peggioramento (o anche la
semplice stagnazione del rapporto Pil/debito intorno all’attuale 130%)
potrebbe scoraggiare gli investitori e, dunque, rendere più costoso il
rifinanziamento del debito residuo, facendo salire gli interessi. Nel
frattempo, per effetto dell’invecchiamento della popolazione, per
effetto dell’eventuale rincaro degli interessi ecc. la spesa pubblica
torna a crescere, nonostante i tagli. Ma, a quel punto, articolo 81 o
no, si devono emettere nuovi titoli di debito, per cui il debito torna a
crescere mentre il Pil cala. Senza tener conto del rischio di una
ondata deflattiva che “sgonfierebbe” ulteriormente il Pil.

Non ci vuol molto a capire che, se si
determinassero queste dinamiche, ne scaturirebbe una spirale negativa,
che farebbe rapidamente salire l’esborso ben al di là degli attuali 25
miliardi, raggiungendo rapidamente i 40, i 50 o i 60. Questo Del Corno e
quelli come lui non lo hanno messo nel conto.

In economia questo è conosciuto come
“effetto Regina Rossa”
(dal personaggio dell’opera di Lewis Carrol) che
possiamo anche definire del “tapis roulant contromano”, per cui, se
corri alla stessa velocità con cui il tapis roulant va in senso
contrario, sei sempre fermo allo stesso punto, ma se corri un po’ meno
veloce, arretri.

Ammetto che questa è una previsione
pessimistica, ma devo dire che sin qui i fatti hanno dato (purtroppo!)
ragione ai pessimisti: quando nel 2010 tutti avevano intonato il peana
del “la crisi è finita, comincia la ripresa”, pochissimi  sostenevano
che ci sarebbe stata una nuova ondata di crisi per il 2012 , ed essa si è
puntualmente verificata.

Mi si dirà, le stime del Fmi dicono che
nel 2015 cresceremo del 2,1 nominale: vorrei far presente che due
economisti dello stesso Fmi, Hites Ahir e Prakash Loungani, hanno
calcolato che delle 88 recessioni verificatesi nel mondo fra il 2008 ed
il 2012, ne sono state previste, entro il settembre dell’anno
precedente, solo 11; mentre delle 62 verificatesi fra il 2008 ed il 2009
non ne è stata prevista nessuna (“Pagina 99” 19 aprile 2014 p. 30).
Credo che le previsioni degli economisti valgano meno dei sondaggi
elettorali e delle previsioni del tempo a tre mesi
.

Comunque vada nel medio periodo
(vedremo), resta il problema del dove rimediare quei 25-26 miliardi di
partenza. La previsione non difficilissima è una contribuzione
straordinaria: prelievo o prestito forzoso, direttamente dai risparmi in
banca o sulla busta paga, e tassa patrimoniale. Ebbene, sulla tassa
patrimoniale potremmo anche esser d’accordo se colpisse la rendita
finanziaria o le maggiori concentrazioni immobiliari, ma siamo anche
convinti che non ci si proverà nemmeno e la scure (altro che le
“forbicine”) si abbatterà, come sempre, sui ceti medi e bassi. Il fatto
stesso che non se ne parli, per non turbare la campagna elettorale (a
proposito di chi racconta balle in campagna elettorale…), conferma che è
esattamente così che andranno le cose.

Mi chiedete in cosa mi differenzio da Giulio Tremonti su un punto come l’eliminazione delle modifiche costituzionali
che fanno da catenaccio al fiscal compact? Niente, su questo punto
specifico non mi differenzia niente e ritengo doverosa una battaglia su
questo punto per poter rinegoziare l’accordo intergovernativo che ha
generato questo mostro del fiscal compact.

 

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