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da Comidad.org.
Il quotidiano “la Repubblica” qualche giorno fa, a proposito dell”ultima
 sortita europea di Matteo Renzi, titolava trionfalmente: “vince la linea della crescita”, con in sottotitolo una frase-ossimoro attribuita a Matteo Renzi: “chi fa le riforme avrà diritto alla flessibilità“.  
Conta molto poco in realtà la voce grossa che Renzi avrebbe esibito di 
fronte alla Merkel ed alla Commissione Europea, diretta da un personaggio ormai screditato e delegittimato come Juncker. In questo 
caso infatti la vera “flessibilità“, la vera possibilità di deroga, 
rispetto ai “parametri europei” consisterebbe nel non fare le cosiddette
 “riforme”, termine che, nel gergo del Fondo Monetario Internazionale, 
indica una serie di misure di privatizzazione e finanziarizzazione che 
vanno a vantaggio delle solite lobby, ma che, nel complesso, deprimono 
l”economia ed impoveriscono la popolazione, diminuendo drasticamente 
anche il gettito fiscale. La retorica renziana del “fare” si 
identificherebbe quindi con il fare guai. I media contrappongono il 
presunto attivismo di Renzi al presunto immobilismo di Letta, ma anche 
quest”ultimo di guai ne ha fatti parecchi, a cominciare dalla 
privatizzazione delle Poste, che attualmente rappresentano pur sempre il
 maggior datore di lavoro in Italia.
Con la sua maschera da scolaretto impreparato, ma ugualmente saputello e
 insolente, Renzi è certamente un distrattore, ma non è soltanto quello.
 La sua “riforma del senato” in senso regionalistico era apparsa a molti
 come una semplice boutade, un diversivo, ma poi si è scoperto che è un 
modo per garantire l”immunità parlamentare agli amministratori locali. 
Alla stessa maniera, dietro molte cortine fumogene dell”agenda del 
“fare” si riscontrano le stesse costanti di tutti i governi dell”ultimo 
ventennio: le direttive del FMI.
La finta diatriba tra “rigore” e “crescita” prescinde infatti dalla vera
 questione, e cioè che la depressione economica viene usata per 
finanziarizzare l”economia, la società e la politica, trasformando 
cittadini e Stati in debitori. In questo contesto, l”Unione Europea non 
esiste neppure come controparte, ma si configura come una mera provincia
 del FMI.
Per rientrare negli “obblighi europei” – che va tradotto come: “voleri 
del FMI” – non sarà neppure sufficiente una manovra aggiuntiva in 
autunno. Ci sono infatti da versare le ulteriori rate per coprire la 
quota di adesione dell”Italia al Meccanismo Europeo di Stabilità, che 
sarebbe stato più corretto chiamare Fondo Monetario Europeo, filiale del
 FMI. Manovra dopo manovra, l”esito inevitabile sarà di dover richiedere
 prestiti al FMI ed al MES. Non si tratterà di cedere una “sovranità” 
che già non c”è più, ma di esasperare i meccanismi di dipendenza dalle 
organizzazioni internazionali e dalle lobby finanziarie che le 
controllano.
Non si pone quindi il problema di contrapporre una mitica crescita al 
rigore, ma di demistificare il “rigore”, smascherandolo per quello che 
è: un”arma di guerra finanziaria che mira alla destabilizzazione 
economica, sociale politica dei Paesi, in modo da poterli colonizzare 
finanziariamente. 
Se si riporta questa chiave di lettura agli scenari internazionali, ci 
si rende conto che risultano in gran parte superati schemi di analisi 
che funzionavano nel periodo della Guerra Fredda. Se si rimane fermi a 
quei criteri, potrebbe sembrare che la Russia stia segnando molti punti a
 proprio favore. Ad esempio, in questi giorni Putin è diventato il protettore ed il fornitore di armi dell”Iraq sotto la minaccia jihadista. 
Alcuni commentatori cominciano a fare la rassegna degli “errori di 
Obama” (come se Obama contasse qualcosa), “errori” che stanno portando 
alla perdita di alleati storici per gli USA. Particolarmente clamoroso 
appare lo spostamento dell”Egitto sotto l”area d”influenza russa, dopo 
quasi quaranta anni di filoamericanismo puro e duro. Nell”agosto 
dell”anno scorso si avvertirono i primi segnali  di un rinnovato 
interesse egiziano per le armi russe, ed a febbraio di quest”anno è 
giunta la notizia che l”affare era stato fatto: armi russe all”Egitto con il finanziamento da parte dell”Arabia Saudita. 
A maggio in Egitto vi è stata anche la vittoria elettorale del candidato
 sponsorizzato da Putin, il generale Al-Sisi. In base agli schemi della 
Guerra Fredda, lo scacco per gli USA apparirebbe completo. Egitto ed 
Iraq passano sotto l”influenza russa, e l”Arabia Saudita comincia a 
stare con un piede in due scarpe. Eppure la risposta 
dell”amministrazione USA non è stata quella di cercare di riallacciare i
 rapporti con i vecchi alleati, ma di aprire nuovi fronti di 
destabilizzazione in Iraq ed Ucraina. La tradizionale politica delle 
“alleanze” sembra andare in secondo piano, poiché vi sono anche altre 
armi da utilizzare: i prestiti. Gli alleati costano perché bisogna far 
loro prezzi di favore, come sta sperimentando in questi giorni Putin con
 l”Iraq, mentre i debitori li si può trattare da debitori e basta. Oggi 
vi è una diarchia NATO-FMI, ed anche il secondo fa valere le proprie 
specifiche logiche criminali, perciò non vi è più limite alla 
destabilizzazione mondiale; e probabilmente Washington è più la sede del
 FMI che della Casa Bianca. Con le sue “mafialand” in Kosovo ed 
Afghanistan, la NATO sembrava aver toccato il fondo delle possibilità 
dell”umana abiezione, ma il Fondo Monetario riesce a raschiare anche 
quel fondo. 
L”Ucraina è oggi sotto il cappio degli “aiuti occidentali”, cioè un 
prestito di diciassette miliardi di dollari da parte del FMI. L”Egitto 
compra armi russe, ma è ancora in coda all”ingresso del FMI
 per un prestito di circa cinque miliardi, che potrà ricevere solo in 
cambio delle solite “riforme”, cioè macello sociale ed economico. 
Persino l”Iraq, che naviga nel petrolio, è un debitore del FMI.
 Da tre anni l”Iraq non contrae nuovi debiti con il FMI, ma sta ancora 
rimborsando quelli vecchi. Ma i costi della guerra al “Califfato” di 
marca CIA e SAS, espongono di nuovo, e pericolosamente, il governo 
iracheno a dover bussare alla porta del FMI. 
Intanto la posizione di Putin nei confronti del FMI
 è ancora ferma al proporne la “riforma”, con una maggiore apertura ai 
cosiddetti BRICS, i Paesi emergenti, che oggi partecipano al FMI in una 
posizione subordinata. Invece di uscire dal FMI, Putin pensa di rendere 
più democratico il crimine finanziario organizzato.
Fonte: [url”http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=619″]http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=619[/url].
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