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Perché Jeremy Rifkin sbaglia strada

Ultimamente, si è messo a parlare di "Fine del Capitalismo" sulla base dei nuovi sviluppi della tecnologia. Ma le cose non sono così semplici...

Perché Jeremy Rifkin sbaglia strada
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31 Ottobre 2014 - 00.26


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E” una buona decina di anni che Jeremy Rifkin parla di economia all”idrogeno e di tante altre meraviglie ma, fino ad ora, non si è visto niente di concreto. Ultimamente, si è messo a parlare di “Fine del Capitalismo” sulla base dei nuovi sviluppi della tecnologia. In questo articolo, originariamente pubblicato su “Les Echos” Philippe Bihouix fa notare a Rifkin che le cose potrebbero non essere così semplici.



di Philippe Bihouix.

Jeremy Rifkin è tornato alla carica: dopo la “Terza rivoluzione
industriale”, adesso propone nientemeno che la fine del capitalismo o
quasi, per via della gratuità universale delle comunicazioni,
dell”energia e degli oggetti, i cui costi di produzione tenderanno allo
zero. Dopo la rivoluzione tecnologica delle comunicazioni, verrà quella
di un Internet dell”energia – basato sul dispiegamento massiccio delle
rinnovabili, lo stoccaggio attraverso l”idrogeno e la “smart grid” – e
quella di un Internet degli oggetti, collegati e prodotti a volontà da
stampanti 3D.

La tesi seduce, ognuno ci trova qualcosa di
proprio: vendicatori di un fordismo sfruttatore, edonisti che non ci
vedono la messa in discussione del consumo o della mobilità (al
contrario, tutto sarà gratuito), industriali allettati da nuovi mercati,
ecologisti ingenui che fanno leva su un”energia pulita ed abbondante…
Come sembra radioso il futuro!
Sfortunatamente, Rifkin ha una tendenza comune presso gli economisti:
in nessun caso si occupa della questione della disponibilità delle
risorse fisiche, o della realtà materiale delle sue riflessioni.

E”
il caso delle potenzialità delle stampanti 3D, il cui principio è
quello di depositare strato dopo strato di polimeri o metalli. Una
tecnologia senza dubbio rivoluzionaria e che apre delle prospettive. Da
lì a farne la macchina a vapore del XXI° secolo o dichiarare la
sparizione della produzione classica, ce ne corre.

Poiché le
stampanti non possono sostituire gli impianti per le materie prime, gli
altoforni, le raffinerie (anche bio), le vetrerie e persino le materie
riciclate. Non possono fabbricare oggetti multi-materiali o assemblati:
si può stampare la carrozzeria di un”automobile in resine, ma non un
pianoforte o un computer. Per fondere la polvere di metallo, si usa un
laser a fasci di elettroni, una tecnologia costosa, inimmaginabile per i
privati, quindi le stampanti per consumatori a resina non fabbricano né
chiodi né viti.

Infine, solo le materie prime che consentono la
fusione sono utilizzabili: si continuerà a tessere e cucire i tessuti…
Come fabbricherà Rifkin gratuitamente le bobine di rame dei motori
elettrici per Google Cars, il silicio dei pannelli solari o le camicie
di cotone? Ecco ciò che rende la sua prospettiva ben poco credibile.
Peccato, poiché ha anche delle buone idee, come sulla condivisione ed il
rapporto con la proprietà.

Ma è sulla componente energetica che
Rifkin rimane di gran lunga irrealistico. La sua metafora di un
Internet dell”energia sente l”odore dell”economia “dematerializzata” e
gli permette di evitare le questioni troppo concrete. Sfortunatamente,
non si immagazzina l”energia facilmente come i byte, non esiste una
legge di Moore dell”energia. Per produrre, immagazzinare e trasportare
l”elettricità, anche “verde”, servono grandi quantità di metalli:
platino delle pile a idrogeno, neodimio dell”eolico e delle automobili
elettriche, selenio ed indio dei pannelli solari… ed altri metalli
rari già utilizzati in elettronica, quindi la domanda esploderebbe con
una generalizzazione delle “smart grid”, degli oggetti in rete e di Big
Data. La disponibilità mineraria, già in contrazione, non potrebbe stare
al passo.

Al contrario, stiamo perdendo tempo prezioso. Poiché
non stiamo affatto andando verso la gratuità e l”abbondanza, ma verso
l”impoverimento e la penuria, il nostro sistema industriale è basato su
uno stock di riserve limitato, specialmente minerale. Poiché siamo
affascinati dalle novità high-tech, mentre queste in realtà ci
allontanano dalle possibilità di un riciclaggio efficace e dovremo al
contrario innovare con delle basse tecnologie, più basiche e dalle
prestazioni inferiori. Bisognerà certamente passare per la sobrietà,
poiché non ci sono soluzioni miracolose al vicolo cieco ambientale
attuale. E di grazia, signor Rifkin, visiti uno stabilimento o una
miniera!


* Philippe Bihouix, ingegnere, è l”autore di “L”era del low tech” (Seuil, 2014)



Fonte: http://www.lesechos.fr/idees-debats/editos-analyses/0203853586626-pourquoi-rifkin-fait-fausse-route-1053347.php.

Tratto da: http://ugobardi.blogspot.it/2014/10/perche-jeremy-rifkin-sbaglia-strada.html.

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