Grazie al progresso noi umani siamo diventati fossili della storia | Megachip
Top

Grazie al progresso noi umani siamo diventati fossili della storia

Perché nel regno del benessere, ovvero l’Occidente in generale ma anche tutti quei Paesi che sognano di diventare “ricchi” come l’Occidente, regna il malessere?

Grazie al progresso noi umani siamo diventati fossili della storia
Preroll

Redazione Modifica articolo

9 Settembre 2016 - 03.47


ATF

di Andrea Bizzocchi

Il progresso e lo sviluppo, lungi dall’aver risolto i problemi
dell’uomo ed avergli portato benessere, lo hanno invece stritolato come
una qualunque preda tra le spire di un boa constrictor. Mi perdonerà chi
mi segue perché ripeto spesso gli stessi concetti, ma poiché considero
la comprensione di questi concetti basilare al fine di comprendere il
mondo in cui viviamo, continuerò a ripetermi. Parto dunque affermando
che nel regno del benessere (l’Occidente in generale ma anche tutti quei
Paesi che sognano di diventare “ricchi” come l’Occidente) regna il
malessere, e questo è chiaro e pacifico ormai da tempo. Negli Stati
Uniti d’America, il Paese che con le buone o con le cattive si propone a
faro del mondo, il malessere impera incontrastato. La devastazione,
l’inquinamento ambientale, la scarsità delle risorse, sono per contro in
continuo aumento e questo va a braccetto con questo malessere che
impera nel regno del benessere. E fin qui nulla di nuovo.

Il pensiero comune (sempre diffidare del pensiero comune perché non è
un pensiero vero ma solamente una “credenza” indotta) crede però che
grazie alla scienza, all’economia, alla tecnologia e a tutti i paradigmi
imperanti nel nostro mondo, riusciremo a salvare capra e cavoli.
Insomma, si inventerà “qualcosa” a misura d’uomo e di pianeta. Ma il
problema di fondo del nostro mondo non è il malessere che regna nel
mondo del benessere o la questione ambientale o quella dello
sfruttamento umano e animale, ecc. Tutto questo, e tanto altro ancora,
sono solo delle semplici e anche ovvie conseguenze del mondo che abbiamo
costruito e del quale, perlomeno le masse (cioè quasi tutti), sono in
qualche modo entusiaste. Ad esempio essere entusiasti del “progresso” (e
dei suoi bracci armati che si chiamano scienza, economia, tecnologia,
ecc.) o anche voler distinguere tra un progresso “buono” e uno “cattivo”
(buono per chi? Cattivo per chi?) significa perdere di vista il
quadro di fondo di chi siamo, di come ci rapportiamo con i nostri
simili, con gli altri viventi, con quell’ambiente che è vivente esso
stesso (e che, fino a prova contraria, ci permette di vivere
).
Significa anche allontanarsi dal cogliere quelle domande esistenziali
fondanti che ci accompagnano in questo breve ma intenso e meraviglioso
viaggio chiamato Vita.

Per andare più sullo specifico, la tecnologia, ad esempio, lo si
voglia ammettere o meno, crea un mondo virtuale che passo dopo passo
sostituisce nella psiche (e non solo) collettiva quello naturale. Non ce
ne rendiamo conto ma per noi la Natura in quanto tale per noi non
esiste più. Dov’è la Natura se viviamo tra riscaldamenti ed arie
condizionate (ci vuole una bella perversione a “condizionare” l’aria ed a
percepire la cosa come un “miglioramento”), se soffriamo il troppo
caldo, il troppo freddo, il troppo vento, la troppa pioggia, se
prendiamo la macchina o qualunque altro mezzo per spostarci ovunque, se
abbiamo paura di invecchiare (di qui il culto del giovanilismo
imperversante) e via andando? La Natura significa semplicemente essere
Natura e non guardarla dal finestrino di un auto o da uno schermo in
alta definizione (la definizione è così alta che l’occhio umano non può
neppure percepirla, ma la gente si indebita lo stesso per comprare la
tivù ad alta definizione perché così gli ha detto la pubblicità e perché
così fanno tutti) e nemmeno fare “imprese estreme” con l’ausilio di
ogni mezzo tecnologico a disposizione. Natura, ad esempio, è guardare il
cielo, sentirsi cielo, essere cielo.

Non cogliamo inoltre il fatto che distacco dalla Natura significa al
tempo stesso distacco da noi stessi (perché siamo Natura) e questo fa sì
che il (non)pensiero comune imperante creda che le soluzioni a tutti i
nostri problemi possano venire non dalla Natura e da un ritorno (per
quanto minimo) ad essa ed ai suoi ritmi, ai suoi modi, ai suoi tempi,
bensì da un ulteriore sviluppo tecnologico. L’“homo naturaliter” è stato
soppiantato da quello scientifico, tecnologico, economico; nel cambio
non ci abbiamo guadagnato.

L’accelerata del progresso ha dunque cambiato, oltre a tutto il resto,
il nostro modo di pensare, di vivere, di rapportarci al mondo, ai nostri
simili, a noi stessi. Il che, tradotto nella sostanza dei fatti,
significa che stiamo male anziché bene, e che andando avanti staremo
progressivamente peggio. Del resto che il malessere nelle sue varie
forme e declinazioni sia la base su cui poggia e prospera il mondo
moderno non è una rivelazione da illuminati. Basta guardarsi attorno per
coglierlo.

Sulla tecnologia il pensiero comune (sempre, sempre, sempre,
diffidare del pensiero comune) è che dipende dall’uso che se ne fa. La
tecnologia invece non è mai, e sottolineo mai, neutrale, non dipende mai
“dall’uso che se ne fa”, semplicemente perché cambia il mondo e
cambiando quel mondo che abitiamo inevitabilmente cambia anche noi
stessi. La tecnologia non è mai estranea al modo di pensare che la pensa, che la concepisce, che la realizza.
La gente non vede nulla di intrinsecamente sbagliato nella
digitalizzazione e nell’artificializzazione delle nostre Vite. Bisogna
invece capire che i rapporti “digitali” non sono rapporti umani e men
che meno naturali. Non possono farci “stare bene” come un tramonto, come
l’ascolto della risacca del mare o del vento che sibila tra le foglie
di un bosco, come l’affetto e l’amore di un nostro simile o anche come
il solo contatto di un animale (pet-therapy e non solo). Quando qualcuno
ha paura di un”ape, di un ragno, di una tempesta o di qualunque altra
manifestazione del mondo naturale, e al tempo stesso non ha paura
dell’auto, del treno, dell’inquinamento, del cibo avvelenato che mangia,
dell’aria ancor più avvelenata che è costretto a respirare, delle
medicine che il medico gli somministra, della tivù, del computer e di
tutto il resto, significa che quel qualcuno non ha più nulla di naturale
in sé. Punto e a capo.

Chiunque abbia cuore e mente aperti è in grado di capire benissimo
che quel mondo “sintetico” che ci viene dato in pasto ad ogni piè
sospinto è l’esatto opposto di quel mondo naturale per cui siamo,
biologicamente e fisiologicamente, fatti, ed a cui, proprio per questo,
apparteniamo. E sempre proprio per questo, l’accelerata di progresso che
stiamo vivendo, ci cambia, ci rende progressivamente più deboli, più
malati, più insicuri, più soli, più persi, più annoiati, sempre più
senza riferimenti esistenziali e valoriali; ci rende sempre più vuoti
sia fuori che dentro, ci spoglia poco alla volta ma sistematicamente di
tutto ciò di cui l’essere umano necessita per stare bene. Non ci vuole
molto a capire che la Natura è viva e uno smart-phone è morto. Possiamo
stare bene se nel nostro quotidiano ci rapportiamo sempre più con ciò
che è morto anziché con ciò che è vivo?

In definitiva la tecnologia ci toglie “vita autentica” e la sostituisce
con dei surrogati di Natura, ivi inclusa della nostra Natura umana; ma
sono, appunto, solo dei surrogati, delle esche velenose ed a rilascio
lento. Questo cambio è letale, assassino, e per cogliere questa
semplicissima osservazione basta osservare la differenza di
comportamento tra un bimbo che vive nella Natura ed uno che vive in una
qualunque città (piena di opportunità e scelte) del mondo progredito. Lo
ripeto: la tecnologia ci ha separato da quel mondo e da quello stile di
vita per cui siamo, psicologicamente, biologicamente, fisiologicamente,
fatti e al quale ci siamo adattati da milioni di anni di Vita su questo
pianeta.

In definitiva è proprio quel progresso che abbracciamo nelle
sue molteplici forme (la civiltà urbana, industriale, tecnologica, ecc.)
ad aver reciso definitivamente quelle radici che ci legavano alla
Terra, che davano un senso alla nostra Vita, e grazie alle quali
, pur con tutte le ovvie “difficoltà” del caso, stavamo bene.
La Vita naturale può essere dura e a volte anche durissima, non è di
certo una passeggiata su un prato fiorito, ma in quella Vita nessuno è
depresso, impasticcato, perso, senza un senso e uno scopo quando si alza
la mattina. Quei pochi umani (gli altri il progresso li ha fatti fuori
tutti) che ancora vivono in un mondo naturale hanno lo sguardo vivo e
non da zombie come quegli pseudoumani che siamo noi diventati nel nostro
mondo sviluppato. Per questo stiamo male e proprio questo è il motivo
per cui questo malessere profondo si manifesta in maniera più acuta in
quei Paesi, Stati Uniti in testa, che sono più “sviluppati”, ovvero quei
Paesi dove c’è maggior ricchezza, maggior economia, maggior tecnologia,
maggior sviluppo. Non è nei paesi “poveri” (a parte il fatto che sono
“poveri” a causa nostra) che regna il malessere ma in quelli ricchi.

Il nostro problema dunque non è inventare le google cars che andranno
da sole guidate da un computer (e così saremo ancor più dipendenti da
esse e da chi le controlla) ma semmai trovare ed inventarsi dei modi e
degli stili di Vita in cui ci si possa smarcare da tutto questo. Il
nostro problema non è inventare le google cars, così come non lo è
inventare nuove pasticche e medicine che ci cureranno, né attendere con
trepidazione i fantasmagorici progressi dell’ingegneria genetica (un
orrore e un delirio indicibili) che ci farà scegliere l’altezza e il
colore dei capelli e quello degli occhi dei nostri figli futuri. Tutto
questo va esattamente nella direzione opposta dello stare bene perché
non fa che renderci più passivi e dipendenti da queste nuove invenzioni e
contestualmente sempre più spaesati e soprattutto impauriti. Perché?
Perché essere dipendenti da qualcosa, che si tratti di scienza,
tecnologia, medicina, economia, lavoro, o anche dalla religione o dal
guru di turno, significa non essere se stessi e dunque non sentirsi
all’altezza della nostra Vita. Significa essere alla mercé di un
qualunque evento esterno che possa verificarsi senza avere le qualità e
potenzialità per farvi fronte. 

La dipendenza da qualcosa, da qualunque cosa, fa sempre stare male perché inevitabilmente crea paura.

Ma vorrei concludere invitando a riflettere che con il folle sviluppo
tecnologico a cui stiamo quotidianamente assistendo (lo facciamo senza
neppure batter ciglio, anzi desiderandolo, addirittura volendogli bene),
stiamo contestualmente assistendo alla scomparsa dell’uomo umano, che è
stato sostituito da quello tecnologico. Forse oggi non lo capiamo per
una mancanza di prospettiva temporale, ma tra soli
venti-trenta-cinquant’anni basterà guardare ai giorni nostri per capire
che stiamo vivendo gli ultimi giorni da esseri umani ancora
abbastanzaumani. Credo che si possa affermare senza timore di smentite
che grazie al progresso noi umani siamo diventati fossili della storia.

 Fonte: http://www.andreabizzocchi.it/2016/grazie-al-progresso-noi-umani-siamo-diventati-fossili-della-storia/

[GotoHome_Torna alla Home Page]

Native

Articoli correlati