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La colonizzazione per la via della legislazione bancaria

Nuove normative contabili e sistema finanziario: come affidare a un piromane la difesa di una pompa di benzina. [M. Zanoni]

La colonizzazione per la via della legislazione bancaria
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29 Dicembre 2016 - 05.36


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di Massimiliano Zanoni

Immaginate di volere conquistare nuovi territori civilizzati, pieni di belle città, industrie e ricchi di risparmi. Un tempo avreste mandato i carri armati e la fanteria, ma in oggi, in questo modo, correte il rischio di devastare le città e distrugger le aziende rendendole inutilizzabili, annullando così il beneficio della conquista.

Se volete impossessarvi di un simile territorio e della sua fiorente economia senza deturparlo, vi conviene prendere una banca. Questa raccoglie i risparmi dei cittadini che vi abitano, vi garantisce il possesso degli immobili attraverso i mutui e il controllo delle imprese tramite i relativi prestiti. Se poi le prendete attraverso un’operazione di ‘salvataggio’, come è avvenuto per le banche venete, non vi costa nulla.

Prima però esprimete un desiderio: che i soci attuali vi mettano un bel gruzzoletto sotto forma di aumento di capitale. A quel punto una bella svalutazione degli asset vi consentirà di azzerare il valore della banca e prendervela gratis. Oltre che per effetto della crisi, la svalutazione sopravviene per impatto dell’introduzione di nuove normative, ad esempio quella sui crediti ristrutturarti. Questa impone di classificare come deteriorati crediti precedentemente valutati come performing.

Oppure come la nuova normativa contabile IFRS 9, che introduce il concetto di accantonamento a fronte di perdite previste (e non solo avvenute come previsto dagli attuali principi contabili) anche in seguito alle previsioni disponibili sul ciclo economico e, per alcuni crediti, non si limita a considerare le perdite relative all’anno in corso, ma costringe a includere tutte le perdite previste durante tutta la durata effettiva del credito. Di fatto l’equivalenza capitale – perdita potenziale, consente all’Autorità di Vigilanza di richiedere il versamento di somme crescenti di capitale in momenti di crisi economica.

Pensare che questi innovazioni garantiscano la stabilità del sistema finanziario è un po’ come credere che un piromane possa garantire la sicurezza di una pompa di benzina.

Basilea 3 entra nel gioco ordinando di iniettare più capitale nelle istituzioni finanziarie.

Una normativa di molte centinaia di pagine, disegnata a seguito della crisi del 2008 e pensata per migliorare la solidità del sistema bancario mettendo una pezza ai punti deboli Basilea 2 individuati in:

1. Un livello insufficiente di capitale di buona qualità

2. Effetto pro-ciclico del rating, richiede meno capitale nei momenti in cui il rischio è minore e il capitale più abbondante e viceversa

3. Insufficiente monitoraggio della liquidità

4. Rilevanti perdite sui portafogli di trading

Tra l’altro il Comitato di Basilea riconosce un fatto abbondantemente negato dalla stampa main stream, ovvero che le principali criticità del sistema finanziario risiedono nella finanza privata ed in particolare nelle transazioni cross-border e non nel debito pubblico.

Relativamente al livello di capitale necessari a garantire l’istituto di credito, il nuovo accordo parte dal principio ‘teutonico’ che la crisi fosse causata da un’insufficiente livello e qualità del capitale e che quindi la stabilità del sistema può essere garantita ammassando un ammontare maggiore di capitale primario (CET 1), composto unicamente dalle azioni e dagli utili non distribuiti.

Insomma il leit-motiv è che se volete dormire sonni tranquilli nei turbolenti mari finanziari, dovete imbottire le banche con soldoni sonanti, i vostri risparmi.

Naturalmente le indicazioni teutoniche non mancano di una loro razionalità infatti, con il rating, Basilea 2 aveva introdotto un pesante effetto pro-ciclico ovvero, nei momento in cui l’economia tirava i rating segnalavano poco rischio e il capitale richiesto era ridotto mentre con l’insorgere della crisi il rischio aumentava notevolmente e con esso il capitale richiesto, proprio nel momento in cui si riduceva l’incentivo a versarlo.

La normativa peraltro fissa solo il livello minimo del capitale da detenere, che passa dal 2% al 9,5% dell’attivo ponderato, se si considerano anche i buffer discrezionali (cioè il Capital Conservation e il Counter-Cyclical buffer, ma il requisito effettivo è definito caso per caso (e con criteri peraltro sconosciuti agli umani) dall’Istituto preposto alla Vigilanza Bancaria, il Single Supervisory mechanism (SSm, una sigla sicuramente casuale, ma non nuovissima nel panorama storico degli Unificatori Europei).

L’imposizione del requisito si avvale del bail-in come strumento di persuasione: qualora l’istituto non procedesse con la raccolta di capitale indicato, ovvero voi non foste disposti a conferire i vostri risparmi acquistando una quantità opportuna di azioni, l’Autorità di Risoluzione ‘si è autorizzata’ ad accedere direttamente ai vostri risparmi e impossessarsene senza ulteriori formalità.

In aggiunta agli incrementi di capitale, il regolatore richiede anche un nuovo processo di gestione e controllo della liquidità (di cui, se interessa, potremmo parlare nel dettaglio in un prossimo post), riconoscendo esplicitamente che non vi sia buffer di capitale sufficiente a contenere uno shock di liquidità. In questo modo però, il regolatore nega implicitamente che l’aumento di capitale sia una cura per tutti i malanni e quindi, a cosa serve esattamente il consistente aumento di capitale richiesto dal regolatore? Ci assale il dubbio che sia utile a riempire i forzieri prima dell’assalto finale del capitalista estero.

Così, a chi vi sottolinea quanto marcio vi sia nel ridente capoluogo senese e che il salvataggio della banca non è un affare, dovreste chiedere se Siena e la sua provincia non suscitino invece la brama di tanti stranieri d’oltre manica.

(29 dicembre 2016)

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