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Niente lezioni da chi è complice della violazione dei Trattati

'Una lettera aperta del professor Giuseppe Guarino al commissario Olli Rehn spiega in dettaglio perché l''élite europea sta violando gli stessi Trattati'

Niente lezioni da chi è complice della violazione dei Trattati
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9 Dicembre 2013 - 22.06


ATF

di Giuseppe Guarino*.

Gentile Commissario, ho letto nei trascorsi giorni su
Repubblica e sulla Stampa, quotidiani le cui informazioni sono da
ritenersi attendibili, frasi a Lei attribuite.
Ieri Lei si è
incontrato con il presidente del Consiglio italiano. Sull’esito delle
conversazioni non si leggono notizie precise. Lo si deve all’accumularsi
di nuovi problemi e alla scarsa chiarezza formale che da qualche tempo
caratterizza i rapporti tra l’Ue e gli stati membri. Mi pongo una
domanda. Le è stato attribuito un preannuncio di quanto l’Unione
potrebbe fare. E’ legittimo? E’ corretto? E’ utile? Ritengo di no.

L’anticipazione di provvedimenti non ancora formalizzati
genera turbamenti nei rapporti tra il governo dello stato membro e i
cittadini, mina la fiducia nei confronti dello stato, influisce sulle
decisioni dei mercati.
E’ un costume che si è diffuso nei
rapporti tra Ue e stati membri. Genera confusione. Nella situazione
grave in cui versano parecchi degli stati senza deroga, l’Eurozona e la
stessa Unione, attenersi al Trattato in vigore, e solo al Trattato, è
indispensabile. E’ dovere della Commissione europea rispettare il
Trattato e farlo rispettare. E’ diritto dello stato membro esigerne la
scrupolosa attuazione.

Se non erro, Lei ha assunto funzioni di Commissario europeo il 22 novembre 2004.
E’ probabile, e lo darei addirittura per certo, che nell’assumere
l’Ufficio, Lei non sia stato informato che negli anni dal 1996 al
1.1.1999, gli organi competenti dell’Unione, con una operazione
illecita, nella sostanza truffaldina, a partire dalla data prescritta
per il lancio dell’euro (1.1.1999), avevano sostituito la disciplina
giuridica posta dal Trattato sull’Unione (Maastricht) a base della nuova
moneta, l’euro, con una diversa, anzi opposta, quella del reg. 1466/97.

Sintetizzo, in un modo che spero risulti sufficientemente chiaro, la
differenza tra le due discipline.

Il Tue, con una clausola
giuridicamente qualificabile come “essenziale”, vincolava il sistema a
un obiettivo preciso, quello di realizzare uno sviluppo “sostenibile,
armonioso, non inflazionistico e che rispetti l’ambiente”, che
garantisse anche “un elevato livello di occupazione e di protezione
sociale” (art. 2 Tue). La crescita era la controprestazione dell’Unione a
fronte della rinuncia all’esercizio della propria sovranità cui gli
stati si assoggettavano con l’adesione all’euro. Il compito di
realizzare l’obiettivo è stato affidato dal Tue (Maastricht) agli stati
membri. Vi avrebbero provveduto, nell’interesse proprio e insieme
dell’Unione, avvalendosi di due specifici poteri.

Avrebbero perseguito ciascuno una propria “politica
economica”, il cui oggetto si sarebbe esteso a tutti gli aspetti della
convivenza, anche quelli economici, non dipendenti dalla disciplina
della moneta.
L’Unione si sarebbe limitata a coordinare gli
stati con direttive di massima. Distintamente veniva garantito agli
stati, nel settore specifico della moneta, un secondo potere, quello di
indebitarsi entro limiti indicati che avrebbero evitato che la crescita
assumesse carattere inflazionistico. Al regolamento 1466/97, hanno fatto
seguito due regolamenti, il n. 1055/2005 e il n. 1175/2011. Entrambi si
sono collocati nel solco del primo, aggravandone la disciplina. Le date
mi fanno ipotizzare che Lei abbia concorso alla deliberazione sia della
proposta, che della adozione del secondo come del terzo regolamento,
assumendone la corresponsabilità. Negli stessi anni in cui i regolamenti
del 2005 e del 2011 si aggiungevano al primo, al Tue (Maastricht)
subentravano i Trattati di Amsterdam e di Lisbona, quest’ultimo in
vigore dal 1° dicembre 2009. Il secondo e il terzo Trattato riproducono
testualmente, per la parte che interessa, le disposizioni del Tue.

Non le sembra assurdo che, nonostante l’entrata in vigore dei
nuovi Trattati, la Commissione, di cui Lei fa parte ormai da dieci anni
con responsabilità crescenti, abbia persistito nell’applicare i
regolamenti orientati in una direzione del tutto opposta?

Poiché al 1.1.1999 la condizione di un bilancio in pareggio era presente
solo in qualcuno dei paesi membri, forse soltanto in uno, doveva essere
chiaro che per tutti gli altri il risultato del pareggio avrebbe potuto
essere realizzato solo se fosse stato ammesso l’impiego degli strumenti
indispensabili. In concreto i poteri attribuiti dal Tue agli stati.

L’obbligo generalizzato del pareggio del bilancio li aveva invece soppressi.
Era prevedibile che dai tre regolamenti sarebbe derivata non crescita,
ma depressione. I dati statistici, univoci e impietosi, lo confermano.
Nelle classifiche delle economie che sono cresciute meno fino al
decennio dal 1990 al 2000 non era presente nessuno degli stati Ue. Nel
decennio posteriore al vincolo della parità del bilancio, dal 2000 al
2010, nella graduatoria dei 35 peggiori, figurano l’Italia al terzo
posto, la Germania al decimo, la Francia al quattordicesimo, più altri
10 paesi euro.

Si deduce che il fattore depressivo che attanaglia
l’Eurozona e più in generale l’Unione deve essersi prodotto tra il 1999 e
il 2000.

Se ne trova uno solo, il vincolo del pareggio del bilancio,
imposto con regola generale agli stati dell’euro. E’ questo il fattore
comune della quindicennale depressione dei paesi europei. Gli effetti
sono sotto gli occhi di tutti. Una depressione generalizzata e
progressiva, disoccupazione, imprese costrette a cessare l’attività,
caduta della domanda, deperimento del territorio e dei beni culturali e
ambientali, senso di impotenza, inefficienza delle istituzioni, spazi
crescenti di corruzione e di illiceità. E tanto altro.


Sono persuaso che i titolari degli organi che hanno
realizzato l’operazione surrettizia di sostituzione della disciplina del
regolamento a quella dettata per l’euro dal Tue (Maastricht) non
fossero consapevoli delle conseguenze che si sarebbero prodotte.
Di
queste una è tra tutte la più grave e nello stesso tempo la più
ignorata. Con l’eliminazione di ogni potere degli stati in materia
monetaria ed economica i regolamenti hanno eliminato le condizioni della
“democrazia” la cui base è costituita dal potere periodico di voto con
il quale i cittadini influiscono sugli indirizzi che il governo
adotterà, ai cui effetti gli stessi cittadini saranno assoggettati. Non
si può influire sui governi se i governi sono stati privati della
titolarità di qualsiasi potere. I governanti dei paesi membri che
accedessero alla applicazione del regime instaurato con i regolamenti,
in sostituzione di quelli contemplati dai Trattati debitamente
ratificati, potrebbero, loro malgrado, trovarsi coinvolti in processi
nazionali per attentato alla Costituzione. La responsabilità si
estenderebbe ai Commissari europei.

Il rigorismo che perpetua il golpe dell’euro

Anche nelle condizioni di progressiva e generalizzata depressione, nella
conformazione determinata dalla surrettizia applicazione dei
regolamenti, i titolari di responsabilità nell’Unione e negli stati
membri restano assoggettati alle condotte imposte, senza potersene
discostare. Col tempo si formano usi applicativi. Ma il dato formale è
decisivo. Se vige una fonte di rango superiore è a questa che bisogna
attenersi. E’ un dovere assoluto, specie nel caso in cui l’applicazione
corretta dei Trattati sia l’unico mezzo per uscire dalla gabbia in cui
si è rinchiusi, per tornare al regime di libertà umana, di progresso e
di democrazia in funzione del quale i Trattati sono stati stipulati.
L’autore delle singole condotte, in caso di violazione dei Trattati, ne
assume interamente la responsabilità. Secondo le notizie pubblicate, Lei
avrebbe fatto riferimento a un tetto del 3 per cento
nell’indebitamento, alla necessità di rispettare annualmente
l’equilibrio del bilancio, all’obbligo di introdurre misure
“strutturali”. Nessuno di questi adempimenti è previsto dal Trattato di
Lisbona in vigore dal 1° dicembre 2009. L’art. 126 Tfue, nel n. 2, lett.
a), secondo alinea, dispone che si può andare oltre il 3 per cento
nell’indebitamento se il superamento “sia solo eccezionale o
temporaneo”. L’“eccezionalità” e la connessa temporaneità sussistono
quando il superamento sia dovuto a “eventi al di fuori del controllo
dello stato membro”.

Nel nostro caso l’evento è identificabile nell’obbligo del pareggio del bilancio imposto a tutti gli stati membri,
al quale è stato aggiunto l’obbligo di attenersi al programma approvato
dalla Commissione distintamente per ciascuno stato. Nell’art. 126 Tfue
non si rinviene una qualsiasi clausola che, in modo diretto o indiretto,
possa addursi a sostegno della pretesa di impartire istruzioni
specifiche agli stati. E quanto alle strutture, nell’art. 126 Tfue non
ve ne è alcun cenno, né diretto né indiretto. E’ disposto Lei ad
assumersi la responsabilità di comportamenti illeciti cui si connettono
gravi responsabilità? Una esposizione completa del quadro istituzionale
europeo è contenuta nel “Saggio di verità sull’Europa e sull’euro”,
inserito nel mio sito e riprodotto per intero, per sua autonoma
iniziativa, sul Foglio, quotidiano che ospita oggi questa mia.

La mia
lunga esperienza accademica, professionale, politica, mi induce a
suggerirle di assoggettare le considerazioni che le ho esposto e le
conclusioni del saggio a un critica severa. Sono a disposizione, sua e
dei suoi uffici, per qualsiasi delucidazione. La mia responsabilità è
diversa, ma forse non inferiore alla sua. Se venisse dimostrato che le
riflessioni e le conclusioni che ne traggo sono erronee per
incompletezza o per inesattezza dei dati statistici o documentali o per
illogicità nell’argomentazione, ne darei pubblicamente atto, in modo
immediato. E’ la sanzione massima che può imporsi a un antico e, se
posso permettermi di aggiungere, rispettato accademico. Mi auguro di
avere occasione di conoscerla di persona. Con cordialità e auguri di
buon lavoro!

*Giuseppe Guarino, giurista, classe 1922, uno dei primi professori ordinari di Diritto
pubblico alla Sapienza di Roma, poi anche ministro delle Finanze (1987) e
dell’Industria (1992-’93). Il suo saggio “No euro” è disponibile, a
puntate, qui.

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