La rivoluzione di domani | Megachip
Top

La rivoluzione di domani

Un botta e risposta fra una lettrice e Giulietto Chiesa su Marx, concretezza rivoluzionaria e sopravvivenza dell'umanità

La rivoluzione di domani
Preroll

Redazione Modifica articolo

28 Febbraio 2018 - 23.25


ATF

(Risposta a Ludmilla Prandi)

 

Buon giorno, Giulietto! Qualche giorno fa lessi la sua risposta a Maurizio Razzai. C’ho ruminato sopra, perché anch’io ero rimasta stupita che Lista del Popolo per la Costituzione e Potere al Popolo non avessero almeno costituito una coalizione. Qualcosa della sua risposta non mi convinceva. So per certo che non è vero che Marx è rimasto alla tesi “la storia è sempre stata una lotta di classi”. Lo ha scritto nell’edizione 1848 del Manifesto, ma già nel 1852 nella lettera (5 marzo) a Weydemeyer specificava: “non a me compete il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna e la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, storiografi borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta delle classi ed economisti borghesi la loro anatomia economica. Ciò che io ho fatto di nuovo è stato: 1. dimostrare che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione; 2. che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato; 3. che questa dittatura medesima non costituisce se non il passaggio all’abolizione di tutte le classi e a una società senza classi”. Ma mi chiedo ancora oggi quale è secondo lei la spiegazione degli “eventi che dilaniano la società attuale”. Quale è secondo lei la “teoria del cambiamento nei termini attuali”. Mi è evidente che tutti i critici di Marx e seguaci di Marx candidati in Potere al Popolo che io conosco (Rifondazione Comunista e Rete dei Comunisti in testa) dicono “approssimazioni, semplificazioni, banalizzazioni catechistiche”. Ma mi può indicare, e indicare come a me anche ad altri che condividono la sua tesi che “non esiste e non esisterà una via d’uscita “rivoluzionaria” senza una spiegazione rivoluzionaria della attuale “complessità””, un testo in cui lei ha esposto sistematicamente le sue vedute? La storia del secolo XX è piena di personaggi che hanno proclamato che Marx era superato, e certamente l’adulto che Marx ha analizzato (il capitalismo di libera concorrenza) è diventato un vecchio in preda a deliri di distruzione, ma dove secondo lei è esposta una spiegazione organica, scientifica del corso attuale delle cose? Solo con una spiegazione del genere è possibile definire una linea politica e perseguirla anche se gli inizi saranno difficili e richiederanno un lavoro di luogo periodo. Mi dispiace farle perdere tempo alla vigilia delle elezioni, ma una indicazione precisa aiuterebbe me e oso sperare altri a fare una scelta ragionata. Cordialmente Ludmilla Prandi.

 

Gentile Ludmilla,

grazie per la sua dotta lettera (che supera le mie precedenti conoscenze, non avendo io mai letto la lettera di Marx a Weydemeyer), che mi consente di precisare, per quanto possibile in una risposta via mail, le mie posizioni, rispondendo alle sue domande. 
È vero sicuramente il primo punto di Marx. È talmente vero che esso comporta una analisi delle classi in ciascuna epoca storica in cui esistono le classi. Il che ci dice che, con buona probabilità, il quadro delle classi che Marx stesso analizzò, non è più lo stesso di quello che abbiamo di fronte oggi. Quindi l’analisi dei rapporti di forza e gli obiettivi di ogni fase vanno “calibrati” in base a questi mutamenti. Quando dico che recitare le giaculatorie del XX secolo non serve a farsi capire (e a capire) nel XXI, dico proprio questo. Il secondo punto di Marx si è rivelato errato. La lotta delle classi alla fine del XX secolo “non” ha condotto alla dittatura del proletariato. Ha condotto a una sconfitta del proletariato mondiale, che non prelude a nessuna vittoria futura. Probabilmente lo sviluppo del sistema monetario mondiale (non mi pare che lo si possa definire capitalismo nel senso in cui lo esaminò Marx) condurrà piuttosto alla terza guerra mondiale che non a una qualche vittoria di una classe su un’altra classe. 
Col che si entra in un altro genere di considerazioni. Se la mia analisi della guerra del futuro è corretta (e io credo che lo sia), una “teoria rivoluzionaria” non può che essere una teoria che permette all’umanità di sopravvivere. Ogni altra teoria è soltanto un suicidio, che porrà termine alla vita umana, e a quella dell’ecosistema nel quale la vita umana esiste. C’è la possibilità che qualche segmento dell’ecosistema possa sopravvivere, ma non sappiamo se ciò sarà davvero possibile; dove e in che forma; che tipo di inferno sarà il mondo che sopravviverà. Dunque l’analisi di Marx (insieme alla intera storia della civiltà contemporanea) non sarà più utile per quei disgraziati sopravvissuti. 
Io ho più volte detto che costruire una teoria rivoluzionaria del tempo presente (e quindi comportamenti rivoluzionari coerenti con il tempo presente), presuppone la comprensione della “complessità”. Che è di alcuni gradi superiore alla “complessità” con cui ebbe a che fare Marx. Questo è il compito primario di tutte le forze realmente rivoluzionarie. La parola “rivoluzionarie” implica un’idea del tutto nuova di rivoluzione. In primo luogo rivoluzione delle coscienze, poiché non si potrà capire la complessità senza un salto di qualità — appunto rivoluzionario — delle coscienze. Compito assai arduo perché le coscienze sono ora in gran parte “assets” del nemico, il quale sta dispiegando tutte le sue forze suicide per impedire che un tale salto di qualità diventi possibile, né ora né mai più. Lascio a lei tutte le deduzioni del caso e mi limito a sottolineare la stringente necessità di mettere a punto tutti i nostri orologi, perché il tempo della crisi si sta avvicinando alla velocità del “pensiero” delle tecnologie che hanno prodotto e accompagnato la sconfitta delle plebi del pianeta rispetto ai “padroni universali”. 
Né io né nessuno ha oggi una chiara visione della “complessità”. Una delle responsabilità della “sinistra” è stata quella di non avere compreso il suo arrivo. E dunque di non averla studiata, restando ferma alla complessità precedente. I padroni universali, invece, hanno capito per tempo e hanno studiato i modi per fronteggiare, anzi dominare, la complessità attuale. 
A me pare — tutto quello che conosco mi dice — che neanche loro stanno dominando l’attuale complessità. Per cui stiamo andando, probabilmente, in guerra. Ma sono in grandissimo vantaggio su tutti i “rivoluzionari” nel senso storico del termine. Cioè su di noi. 
Cosa posso dirle? Che quando ho capito cosa stava succedendo, ho cominciato a dirlo. A tentoni, per approssimazioni successive. Ho svolto un’opera pedagogica e metodologica, spiegando, come potevo, con le mie forze e la mia esperienza, dove e come si sarebbe dovuto cominciare a cambiare i nostri paradigmi. Se vuole una piccola rassegna dei miei tentativi, la trova a partire dal mio “La Guerra infinita”, passando per “Zero” (film e libri), per arrivare a “Invece della tempesta”, a “Putinfobia” e a “Caos Globale”. In tutti questi tentativi ho scritto che non basteranno né gli sforzi di un individuo (cosa ormai impossibile), né di una sola civiltà, o di una sola cultura, arrivare a comprendere come uscire da questa svolta epocale. Ma penso che iniziare sia ormai questione imprescindibile. E atto rivoluzionario, adesso, è costruire dovunque organizzazioni politiche (e Stati) che si pongano questo obiettivo. Devo dire che tutta l’esperienza di questi miei ultimi 20 anni ha trovato tra i più acerrimi nemici proprio le organizzazioni delle diverse “sinistre”. Che si sono rivelati i più ottusi degl’interlocutori. Mi sono chiesto molte volte il perché di ciò. Credo sia perché le sinistre erano e sono impedite dal loro stesso, ottuso dogmatismo (che si sposa, in molti di loro, con il cedimento totale, anzi con l’abbandono, delle loro posizioni primigenie e lo sposalizio integrale, non meno dogmatico, con le posizioni del nemico. Vedi in proposito l’evoluzione delle socialdemocrazie europee verso la sudditanza totale alla finanza, oppure la trasformazione del Pci italiano nel PD renziano). Spesso ho scoperto, con sorpresa (ma ho smesso da tempo di sorprendermi), che si potevano trovare interlocutori più facilmente “a destra”, o, per meglio dire, tra persone che non avevano nessuna formazione politica pre-esistente. Cioè che erano (e sono) meno ingessate dalle ideologie, meno incartapecorite (non importa se giovani per età) da letture superate dal tempo. 
Lei ha ragione: sarà un lavoro difficile, e che richiederà tempo. Ma non ne vedo un altro che sia degno di attenzione. Certo, si corre il rischio di vedersi affibbiata l’etichetta di “rossobruno”, o analoghe. Io penso che l’unica strada possibile, per noi, in Italia, sia lavorare per attuare la Costituzione. Anche Calamandrei, o Terracini, se fossero ancora vivi, sarebbero probabilmente definiti in quel modo da molti dei presenti “rivoluzionari di sinistra”.
Cordiali saluti,

Giulietto Chiesa

Native

Articoli correlati