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'L''ecologia della mente. L''eredità di Bateson'

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5 Novembre 2010 - 15.21


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batesonQuest”anno cade il trentennale della morte di uno dei più grandi pensatori del secolo scorso: nel 1980 moriva Gregory Bateson, definito da qualcuno un pensatore per il XXI secolo, autore di un pensiero fecondo quanto sfuggente ad ogni catalogazione o etichettatura. In occasione del convegno a lui dedicato (6 novembre 2010, presso l”Aula Magna del Rettorato dell”Università Roma Tre) abbiamo pensato di riproporre alcune meditazioni di Rosalba Conserva (apparse sulla rivista “Naturalmente” nel dicembre del 2003), insegnante e profonda conoscitrice di Bateson, che cercano di parlare della scuola partendo da alcuni spunti stimolanti dell”autore di “Verso un”ecologia della mente”.

Si tratta di un testo denso, di una lettura impegnativa, ma crediamo che possa valerne la pena in quest”epoca di tagli e attacchi alla scuola pubblica: quando il livello del confronto si abbassa e si fa rozzo, è bene elevarsi e affinare gli strumenti (a cura di Michele Maggino).

 

Obsolescenza e cambiamento *

di Rosalba Conserva – “Naturalmente”, dicembre 2003.

 

“Sembra che i grandi insegnanti e terapeuti evitino ogni tentativo diretto di influire sulle azioni degli altri e cerchino invece di instaurare le situazioni e i contesti in cui certi cambiamenti – di solito specificati in modo imperfetto – possano avvenire”.

(Gregory Bateson)

 

 

Diversamente dal gruppo minoritario dei ”conservatori” (anziani per età o per mentalità), i più trovano la scuola lontana dai bisogni reali dei giovani, come fosse fuori del tempo, ostile alle novità, obsoleta. Se ciò è vero, e se è davvero conveniente o necessario combattere l”obsolescenza, si tratta di capire chi deve combatterla, come, in quale misura. Prima ancora, però, dovremo chiederci qual è una teoria generale della vita e della conoscenza da cui far derivare piccoli e grandi cambiamenti.

In questo articolo proporrò di ripensare la scuola e la dinamica conservazione/cambiamento attraverso la teoria di Bateson del confronto tra i due processi stocastici relativi al pensiero e all”evoluzione. Per molte ragioni, non ultima quella che insegnanti e studenti acquisiscano una nozione di ”errore” riferita non a singole contingenze né soltanto a teorie pedagogiche, ma riferita a una visione eco-logica del mondo vivente.

 

1. In un lungo e fondamentale capitolo di Mente e natura (1) Bateson vuole dimostrare che l”unità del sistema “combinato” di evoluzione e pensiero è necessaria.

Dei due sistemi, uno, il pensiero, “è dentro l”individuo ed è chiamato apprendimento“; l”altro, l”evoluzione, “è immanente nell”eredità e nelle popolazioni”. Il primo concerne la durata di una singola vita, l”altro numerose generazioni di molti individui. (2)

Sappiamo bene che il tempo dell”evoluzione è di tipo logico diverso da quello del pensiero: i tempi biologici e quelli storici non coincideranno mai. Ma è questo solo un aspetto del confronto tra i due sistemi, che limiterebbe la nostra attenzione alle divergenze. La grande intuizione di Bateson fu quella che, pur differenti nei tempi, evoluzione e pensiero seguono strade parallele: entrambi sono processi stocastici, in parte interagiscono, in parte non comunicano, ma hanno struttura analoga. Analoga infatti è la struttura – doppia – delle loro componenti:

a) una componente conservativa, selettiva, tautologica, che Bateson chiama anche “rigore”;

b) una componente casuale, creativa, aleatoria, che prelude pertanto al cambiamento, e che Bateson chiama anche “immaginazione”.

Il mondo delle ”cose vive” può essere perciò assimilato a una grande ”tautologia”: date certe premesse, dati certi vincoli, date certe possibilità di cambiamento, ogni organismo tende a cambiare mantenendo inalterati i presupposti che garantiscono sia la propria coerenza interna sia la coerenza con gli organismi con i quali esso co-evolve. Se quindi una finalità c”è, nel complicato bilanciamento tra ”nuovo” e ”vecchio” e tra evoluzione e pensiero, questa finalità consiste, in natura, nel generare e rigenerare la vita. “Uno dei grandi errori della biologia di metà Ottocento – osserva Bateson – fu quello di pensare che la selezione naturale fosse una forza che spinge al cambiamento. Non è così: la selezione naturale è una forza che spinge a lasciare le cose come stanno, che spinge a continuare la stessa danza che si stava danzando prima, e non a inventare danze nuove. […] Ciò che si deve fare è cambiare in modo che il sistema dei cambiamenti abbia una certa stazionarietà, un certo bilanciamento o equilibrio… magari complicatissimo. ” (3)

 

2. Limitiamoci ora a considerare il processo del pensiero (dell”apprendimento).

Immersi come sono nell”ambiente e nel tempo, gli individui (o le società) sono come le canne di bambù: rigide e flessibili allo stesso tempo; nel mantenere in equilibrio le due differenti tensioni (verso l”innovazione e verso il mantenimento dello statu quo) oscillano tra “rigore” e “immaginazione”. Le due componenti possono però risultare ”fuori squadra”: è ciò che accade agli esseri umani, i quali, nell”accettare il nuovo, tendono a massimizzare più che a ottimizzare le variabili del sistema in cui sono immersi, e potrebbero quindi mandare gambe all”aria il proprio equilibrio interno (e di conseguenza esterno) fissando una singola variabile che sembra assicurare un (momentaneo) ”benessere” e adattarsi – fino ad assuefarsi – ad essa senza aver adeguatamente verificato a quale tipo logico appartiene l”adattamento che hanno incorporato. Il benessere di un individuo è di tipo logico diverso dal benessere di una popolazione (e viceversa), ed entrambi sono di tipo logico diverso dal ”benessere” delle altre specie, degli ecosistemi e così via. Ed è proprio l”assuefazione – un adattamento di ripiego -, quindi la perdita di flessibilità, ciò che impedisce la ricerca di soluzioni adattative migliori – ”migliori” dal punto di vista dell”ecosistema (e quindi degli stessi esseri umani).

3. Queste che ho appena richiamato sono idee semplici e di una ”verità” quasi indubitabile. Eppure, se guardiamo dentro di noi e intorno a noi, notiamo che sono proprio le idee ”sbagliate” ad avere vita facile. Il fatto è che anche le epistemologie sbagliate funzionano. Ed è per la facile caduta nell”errore (epistemologico) che da sempre gli esseri umani hanno cercato dei correttivi alla loro evidente tendenza alla manipolazione o all”eccesso di immaginazione o all”eccesso di conservatorismo., alla perdita insomma della visione e dell”agire sistemici.

Le società umane costruiscono perciò un”etica del comportamento: leggi civili, religiose ecc. Istituiscono anche luoghi dove istruire i nuovi nati: l”uovo fecondato riparte da zero, i piccoli nascono privi della memoria delle precedenti generazioni: dovranno imparare. Il mutare del tempo esige continui adattamenti: aggiornare, togliere, aggiungere. Per decidere i nuovi confini di ciò che deve essere appreso dai nuovi nati, vengono messe al lavoro commissioni di ”saggi”. Limitarsi ai soli provvedimenti di emergenza potrebbe infatti essere non vitale al sistema. Come ho già detto, serve un quadro teorico generale: che cos”è un uomo, che cos”è la conoscenza?. E i contesti? come dovranno essere ridisegnati? Tra parentesi, sarebbe stupido buttare a mare forme e rituali che identificano un certo contesto senza aver contemporaneamente individuato forme, sì, più attuali, ma che siano analoghe alle precedenti, che svolgano cioè la stessa funzione. (4)

 

4. Resoconti, storie, teorie, tecnologie ecc. costituiscono un patrimonio diffuso nella memoria sociale. Ricorrendo al metodo della doppia domanda, diremo: “Che cos”è un bambino che può acquisire la memoria sociale?; e che cos”è la memoria sociale che un bambino può acquisirla?”

Nessuna società ha mai consegnato precocemente e tutta quanta intera la sua ”scienza” alle nuove generazioni. Oggi, l”accumulo di memoria risulta ingovernabile: e allora, quali conoscenze elementari occorrono per comprendere una società planetaria, che non sembra avere confini?

Invece di dare una risposta diretta torniamo ai processi stocastici.

Proviamo a pensare alla scuola in questi termini: che le due componenti a) e b) del processo del pensiero, vale a dire rigore e immaginazione, siano non solo interne a ogni organismo – sia nei vecchi sia nei giovani – ma anche personificate, in ambito culturale, rispettivamente dalla figura dell”insegnante e da quella dell”allievo. (5)

In teoria, diremo che, essendo il patrimonio delle conoscenze disseminato nella memoria sociale e nelle biblioteche (o in qualcosa di analogo), il gruppo sociale si attrezza per accogliere i nuovi nati ai quali, del vasto accumulo delle conoscenze, trasmetterà ciò che prefigura debba restare ”sempre vero” nonostante i continui e inevitabili cambiamenti. Nella boscaglia africana, sarà sempre vero che qualcuno dovrà allevare il bestiame all”aperto, fabbricare il carbone, costruire recipienti adatti a contenere il latte di cammella ecc.: tutto ciò i piccoli dovranno impararlo. Qui da noi, sulla base di ciò che noi adulti possiamo prefigurare dell”evoluzione sociale e culturale, ci sembra ragionevole affermare che sarà ancora sempre vero (meglio: conveniente) separare la fisica dalla metafisica, insegnare la meccanica prima ancora della robotica, l”uso del microscopio ottico prima ancora di quello elettronico, insegnare a padroneggiare la lettura e la scrittura, ecc.

5. Come ogni processo stocastico, la scuola è rigida e flessibile allo stesso tempo. Può introdurre correttivi che modificano il contesto: un laboratorio anziché un”aula tradizionale, un filmato anziché un libro, ecc.; e tutto ciò comporterà – per chi impara e per chi insegna – adattamento e quindi apprendimenti di differenti tipologie, differenti riguardo sia a ciò che è oggetto di apprendimento, sia al tempo necessario per acquisirlo (per fare un esempio, il tempo occorrente per imparare a usare il computer è di tipo logico diverso dal tempo che occorre per riconvertire una collaudata modalità di spiegazione – tutta verbale, e con il supporto di gesso e lavagna – in una lezione cui facciano da supporto le moderne tecnologie).

Secondo criteri contingenti, sceglieremo le ”nozioni” che vanno mantenute e quelle che vanno aggiornate, cambiate, ridimensionate ecc.; e tuttavia, anche quando nozioni, materie, programmi saranno del tutto nuovi, il sistema di istruzione sarà in ritardo rispetto alla evoluzione delle tecniche e dei linguaggi. Dalla scuola spartana, a quella montessoriana, alla scuola multietnica di oggi, il gruppo dei ”saggi”, agendo da ”filtro critico”, fa sì che – analogamente a quanto avviene nell”evoluzione – tutto cambi affinché resti invariato qualcosa di fondamentale.

Per circoscrivere il numero delle variabili e per poterle controllare e per operare quindi continue ed efficaci correzioni, il contesto entro cui avverrà l”istruzione è bene che rimanga in qualche misura isolato. Prendendo come metafore due differenti tipi di gara: la Formula Uno e la Parigi-Dakar, diremo che la scuola ha scelto come modello la prima: un circuito al riparo da variabili ”fuori controllo”. È vero anche che ciascun allievo ”gareggia” come fosse unico e solo (come fosse sulla Parigi-Dakar), tuttavia si avvale della continua e tempestiva ”calibrazione” suggerita da una équipe di esperti, i quali decidono per lui (non sempre con lui) gli opportuni correttivi. Egli, insomma, è dentro un sistema organizzato, pertanto gerarchico: un sistema (la scuola) che è connesso a e che comunica con altri sistemi (il mondo della ricerca, il sistema legislativo, economico e così via), anche questi organizzati e gerarchici.

Ordine e circolazione di informazione sono quindi necessari. Ma è altrettanto necessario che i sistemi (viventi) ammettano tratti di non-comunicazione o di comunicazione non-diretta fra livelli non-contigui.

Pensiamo, ad esempio, alle leggi di uno Stato, le quali non modificano automaticamente la Costituzione, anzi sono vincolate ad essa, in quanto la Costituzione contiene ciò che deve restare ”sempre vero” (dal punto di vista di una data società, s”intende) qualunque cosa accada. Una ipotetica richiesta della pena di morte o la negazione del diritto d”asilo, pur se plebiscitarie, non passeranno mai direttamente nella nostra Costituzione.

 

6. In ambito scolastico, stabilire una comunicazione non diretta ma mediata fra ciò che i piccoli imparano in contesti ”protetti” (la scuola) e ciò che ”serve” qui e ora alla società, permetterà alla scuola di non incamerare automaticamente le novità che vengono dall”esterno (specie se questo cambiamento segue tempi troppo veloci), e di finalizzare perciò l”apprendimento non a un ”altrove” ma allo specifico contesto entro cui un certo apprendimento si realizza.

Questo perché i piccoli acquisiscano lo stesso o un analogo patrimonio di idee e di conoscenze che ha permesso agli adulti di ora, quando erano giovani, di coltivare e allo stesso tempo temperare l”immaginazione, e affinché siano in grado, poi, di vagliare il nuovo anziché assuefarsi ad esso.

Insomma, come i provvedimenti e le leggi contingenti sono diversi (per tipologia) dalle leggi costituzionali, allo stesso modo gli adattamenti provvisori, di emergenza, nella stesura e nello svolgimento dei programmi di studio – calibrati su quella classe di bambini e non su una ipotetica classe – saranno di tipo logico diverso dalle ”verità eterne” dell”istruzione: leggere, scrivere e far di conto (per ciò che oggi significano).

 

7. A mio parere, noi, oggi, ci preoccupiamo troppo di introdurre nel sistema di istruzione cambiamenti tesi a combatterne l”obsolescenza. Il cambiamento è inevitabile. Infatti la componente creativa del pensiero (dei ragazzi, degli insegnanti) non solo si combina internamente con la componente conservativa, ma quelle due componenti (interne) si combinano, all”esterno, con l”evoluzione sociale e culturale dotata della stessa doppia struttura: il sistema-scuola, quindi, non può non cambiare.

Creatività e immaginazione si alimentano del casuale. Il pensiero cosiddetto divergente non rientra perciò in un ”programma”. A differenza dei contenuti (l”aspetto teorico, normativo, convenzionale delle discipline), quello ”creativo” non è un progetto che la scuola può perseguire finalisticamente, consapevolmente. La scuola crea semmai le premesse, predispone le condizioni perché ciascun allievo liberi una sua autonoma ”immaginazione” che preluderà al cambiamento. Gli educatori possono (anzi: devono) avere cura dei contesti, governare le tante variabili, ma dove e come si manifesterà il cambiamento, questo non spetta a loro specificarlo, né possono prevederlo. E, in generale, non è detto che il nucleo del cambiamento verrà sempre dal versante ”creativo” del pensiero, chiunque sia a sollecitarlo: le variabili dall”evoluzione più lenta, o che al confronto con altre risultano obsolete, potrebbero costituire anche esse un laboratorio di idee – per adesso marginali – che – chissà quando e come – costituiranno il ”punto di svolta”.

 

8. Nessuna specie è al riparo dall”errore di entrare in un vicolo cieco evolutivo; noi però lo sappiamo, tuttavia il fatto che lo sappiamo non ci conduce, automaticamente, a comportamenti coerenti. Viviamo, insomma, in un perenne ”doppio vincolo” che caratterizza forme e modi del nostro pensare e del nostro agire; condizione, questa, non soltanto nostra – di noi ”moderni” (e occidentali) – ma propria degli esseri umani: in ogni tempo e in ogni dove non ci è dato di scegliere una comoda strada tutta a valle o tutta a monte.

Indubbiamente oggi costituisce un vantaggio conoscere la teoria dei sistemi, la teoria del caos deterministico, i criteri del processo di evoluzione e pensiero ecc.: queste teorie suggeriscono criteri di prudenza in chi elabora e mette in atto piani d”azione – in ambito culturale, nella politica, nell”economia, nella strategia militare… Tuttavia quella di velocizzare il cambiamento è una tentazione sempre presente e quasi ineliminabile.

Potrebbe darsi davvero che Bateson avesse ragione quando, nel 1978, scrisse che il tempo è ”fuori squadra” (6), che cioè l”evoluzione delle idee, combinate oggi con una potente tecnologia, stia ignorando i vincoli definiti dalla complementarità tra immaginazione e rigo­re. Di riflesso, la più grande tautologia (l”intera biosfera o parte di essa) potrebbe essersi irri­mediabilmente ”ammalata” (compresi noi), o per dir meglio seguirebbe tempi di ”guarigione” troppo lunghi perché noi possiamo vederne e valutarne gli effetti.

A una distanza maggiore, ogni idea, ogni cambiamento ogni ”guari­gione” potranno apparire appropriati (anche la desertificazione del pianeta: “è ciò che ci voleva!”, concluderà una ”mente” guardando la cosa da una qualche distante ”saggezza” ), ma noi oggi non possiamo sa­perlo perché in questo processo siamo immersi.

 

9. Bateson sembra a tratti ottimista all”idea che l”ecologia della mente e gli strumenti concettuali forniti dalla cibernetica (retroazione positiva e negativa), divenuti senso comune, avrebbero fornito agli esseri umani una più umana filosofia. D”altro canto, però, era pessimista: immaginava se stesso come un “lemming sardonico” che guardando i suoi simili precipitarsi in mare prendesse appunti e dicesse: “Io ve l”avevo detto!”.

“Mi sembra che tu stia dicendo delle sciocchezze – osserva la figlia nel Metalogo “E allora?” (7) -. Non ti vedo come l”unico lemming intelligente che prende appunti sull”autodistruzione degli altri. Non è da te. Nessuno comprerà il libro di un lemming sardonico”. E il padre, con somma ironia, risponde: “Ti sorprenderà sapere quanti libri di lemming sardonici in realtà si vendono molto bene.”.

Prigionieri del ”doppio vincolo”, dicevo, e in eterno. Forse no. Forse una possibile uscita dal dilemma sarà proprio l”ironia: quella straordinaria risorsa del pensiero attraverso cui “si vede la più ampia Gestalt”. (8)

 

Note

(1) “I grandi processi stocastici”, in Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, pp. 195-247

(2) cfr. Mente e natura, cit., pp.199-200.

(3) Una sacra unità, Adelphi, Milano 1997, pp. 415-416

(4) Scrive Bateson: “Tentare di alterare qualsiasi variabile di un sistema omeostatico senza essere consapevoli dell”omeostasi soggiacente è sempre miope e forse immorale“. (Una sacra unità, cit., p.387)

(5) Qualcuno potrebbe obiettare che i ”vecchi” di oggi – gli insegnanti che in gran numero ancora oggi insegnano – sono quelli che da giovani teorizzavano “l”immaginazione al potere”. Forse allora io sbaglio nel pensarli come conservatori per natura o per il ruolo che occupano. Comunque stiano le cose, ciò che conviene considerare è che la relazione tra ”noi” e ”loro” è a un tempo complementare e antagonista. (Noi ci impegniamo a spiegare e a far imparare la struttura metrica dell”endecasillabo, e per far ciò dovremo forzare la resistenza dei ragazzi, i quali intanto si appassionano, e per altre vie, a ben altra musica.)

(6) cfr. l”Appendice a Mente e natura, cit., pp. 285-295.

(7) G. Bateson e M.C. Bateson, Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano 1989, p. 257

(8) Una sacra unità, cit., p. 443

 

la citazione iniziale è presa da Una sacra unità, cit., p.386.

 

* pubblicato sulla rivista “Naturalmente”, bollettino di informazione degli insegnanti di scienze naturali, n. 4, dicembre 2003

 

 

 

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