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La teoria quantistica dei campi e la fisica della materia vivente. Un’ipotesi sui fenomeni psichici. [Emilio Del Giudice]

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19 Aprile 2014 - 12.38


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di Emilio Del Giudice

La teoria quantistica dei campi e la fisica della materia vivente. Un’ipotesi sui fenomeni psichici

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Premessa di Michele Lucantoni e Domenico Fiormonte

Emilio del Giudice è stato un uomo che non ha mai saltato un appuntamento con l”originalità. La sua, tuttavia, era una originalità più “originale” delle altre: non credo di recare torto alla sua memoria definendola un”originalità del “buon senso”. Nulla vi era, del pensiero di Emilio del Giudice, che provenisse da eccentriche trovate per l”editoria dell”ultimo grido, o che facesse da coreografia alla processione dei recenti occasionalismi da riporto. La sua scienza, come la sua filosofia, era bella e assennata, paragonabile a un mirabile manufatto di artigianato povero che non vuole stupire. Emilio del Giudice non amava confondere i suoi interlocutori, il suo uditorio: era prima di tutto un maieuta, un raffinato divulgatore del sapere “per tutti”, prodigo nel guidare l”altro alla scoperta della verità, quella verità che è sempre semplice, mai ovvia, lontana dagli effetti passeggeri dei più spendibili giochi di prestigio.

La realtà che Emilio ci ha mostrato, procedeva per gradi, con estrema lentezza. Ogni coordinata della parabola ontologica da lui disegnata, veniva dedotta in modo sequenziale a partire da un meccanismo di stallo. Un modello epistemologicamente insufficiente, una teoria scientifica esausta, erano luoghi prediletti per poter depositare quell”inconfondibile seme di ironia, a cui affidava il compito sacro di abitare miti e dogmi dell”industria culturale moderna.

Oggi, scorrendo l”indice della sua inestimabile eredità intellettuale, desideriamo soffermarci sulla preannunciata alleanza tra “buon senso” e talento scientifico, che ha caratterizzato una spregiudicata carriera da pensatore libero.

In questo testo, c”è tutto. Tutto emerge con chiarezza, più chiaro che nella performance orale – bella, divertente, ma in cui il desiderio di Emilio di catturare l”uditorio faceva a volte passare in secondo piano l”importanza, il peso, l”eversività profonda del suo messaggio. Invece, calato il sipario, egli ci offre una costruzione argomentativa quasi perfetta, in cui tutto converge e si risolve nel pirotecnico finale, dove si dicono due frasi sulla coscienza: ma sono frasi che… abracadabra!

C”è tutto. Ci sono le negligenze e le storiche reticenze della scienza. C’è la macchina come metafora della nostra ignoranza e della nostra infantile arroganza. C”è la necessità di un approccio scientifico che includa ciò che fino a oggi abbiamo escluso – chiamandola sfera spirituale, ma che in realtà altro non è se non un modo nuovo di fare scienza. C”è il superamento dell”ossessione del “fare” dell”uomo occidentale – la produzione di energia come scopo essenziale e auto-distruttivo dell”uomo.

C”è lo Yoga, con i guṇa: Rajas, l”energia in movimento, e Tamas, l”inerzia; e c”è il Vuoto – la pausa del respiro del cosmo – come supporto alla ri-generazione. Il vuoto, probabile luogo e mezzo dell’incontro con Purusha. C’è la danza, come strumento di esplorazione della “fase” e di sperimentazione e mimesi dell’Uno. C”è l”amore e la morte. E c’è soprattutto Platone (e Shankara?), che vince sia su Eraclito sia su Parmenide.

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