di Sandro Vero
1.Il denaro del linguaggio
La moneta è, nell’ambito della merce, ciò che la negazione è nell’ambito del linguaggio: in entrambi i casi si tratta di qualcosa che ha un doppio statuto, elemento fra gli altri del sistema di cui fa parte, ma anche elemento speciale che rappresenta, condensa l’intero sistema, il quale ultimo si ricapitola in esso.
La moneta è merce fra le merci. La sua materialità, la sua fattura di cosa, la rendono oggetto come gli altri, con una sua funzione, un suo valore, la sua possibilità di essere comprata o venduta. Ma è una merce peculiare, giacché in essa si riassume la funzione di equivalente generale che consente lo scambio non solo materiale ma anche simbolico fra le merci. Si può anzi dire che la moneta è la merce in cui si rappresenta, condensata, la caratteristica stessa del sistema dello scambio: non più di un oggetto con un altro in funzione del loro uso, bensì di un bene con un altro in funzione del loro valore.
La negazione è segno fra i segni, elemento linguistico fra gli elementi linguistici, spendibile come gli altri negli atti di significazione. Insieme a questo è però anche un elemento speciale del linguaggio articolato in cui si riassume, condensato, il carattere peculiare della significazione: l’assenza dell’oggetto, della referenza, che sostanzia la funzione rappresentativa del segno, nella negazione è scopertamente indicata. Qualcuno è giunto a considerarla come un segno metalinguistico, dal momento che essa non modifica il contenuto semantico di ciò che il suo contrario affermerebbe, mentre si riferisce al rapporto stesso di significazione, istituisce cioè un sovvertimento del rapporto fra significante e significato, togliendo – forse è più esatto dire riducendo – al primo la connessione automatica col secondo.
Se la moneta è la negazione della merce, poiché in esso tutte le merci si negano in quanto perdono il loro rapporto con la materialità del loro uso, allora possiamo dire che la negazione è il denaro del linguaggio, capace com’è di svolgere contemporaneamente la funzione di chiamare in gioco una cosa (il contenuto semantico non cambia se passiamo dall’affermazione alla sua negazione) e quella di sciogliere il nesso di verità fra l’espressione e lo stato di cose asserito.
2.Negazione e potere
Altrove abbiamo affrontato il tema della negazione in un’accezione piuttosto lineare che è quella del rovescio del potere, vale a dire il suo negativo, riconvertito dal discorso capitalistico contemporaneo in materiale ricchissimo di penetrazione nelle coscienze: tutto un ribollire di contenuti e di valori circolarmente intrappolati in una rete semiotica che non lascia scampo nella misura in cui non si fa scrupolo di adoperare verità e contro-verità, indifferentemente, come sostanza di un’unica forma in costante assetto generativo.
Per la verità, nel discorso che contiene tutto e il suo contrario, non è che si rinunci alla distinzione. Il discorso neo-liberalista persegue una robusta capacità di distinguere fra il diritto e il rovescio delle cose. In più, non si limita a favorirne lo sviluppo, ma addirittura ne accentua la portata, la drammaticità, esibendo una protervia democratica a prova di critica, spacciando la sua famelica volontà di annessione semantica per disponibilità auto-critica, in una guisa che può forse essere adeguatamente esemplificata dal lavoro che Hollywood fa rispetto alle istanze liberal e progressiste inquadrandole nella cornice di un mainstream che accoglie tutto.
La distinzione accurata, sottile, in alcuni casi roboante, serve a imbrigliare le vene emozionali che scorrono sotto la superficie apparentemente uniforme della sintassi di un linguaggio mai pago di colonizzazione, più o meno come accadeva ai missionari cristiani che avvicinavano rispettosamente le culture amerinde, esibendo un atteggiamento di interesse e di consapevolezza della loro diversità, tenendo tuttavia ben fermo il progetto sotterraneo di convertirle all’unica vera religione, quella cristiana.
3. La performatività del “non”
In un succoso saggio sulla “negazione”, Paolo Virno (Saggio sulla negazione: per un’antropologia linguistica, Bollati Boringhieri, Torino 2013) sviluppa un ragionamento – dal carattere avviluppante – sulla potenza generativa e performante del “non” .
La tesi di Virno è sostanzialmente riassunta nella sua caratterizzazione della negazione linguistica come denaro del linguaggio. Come il denaro è insieme merce fra le merci e strumento di valorizzazione astraente, equivalente in grado di commisurare le diverse merci fra di esse:
«Il denaro è la merce che dà conto del valore delle merci; il “non” è il segno che dà conto del valore dei segni».
Entrambi, pur continuando e essere cose fra le cose dentro i loro rispettivi universi, hanno il carico speciale di rivelare e ricapitolare l’intero sistema di cui sono parte.
Il carattere peculiare del segno “non” è quello che gli deriva dal fatto di cristallizzare nella sua funzione la caratteristica di ogni segno e del linguaggio tutto: l’assenza, la latitanza dell’oggetto, la non coincidenza del senso e della denotazione. Tale capacità colloca la negazione in una posizione asimmetrica rispetto all’affermazione, dal momento che mentre quest’ultima si mostra nel suo rapporto più o meno diretto con le cose che rappresenta – sia pure con la limitazione di essere “cose” semanticamente definite e non già ontologicamente date – quella si carica del lavoro di precisare qualcosa sul rapporto stesso: in altri termini, l’affermazione è resa quasi trasparente dalla consistenza dei contenuti invocati mentre la negazione diviene opaca nel suo essere rivolta al rapporto fra espressione e contenuto, forma e sostanza. La negazione lascia le cose dell’affermazione, i suoi contenuti semantici, esattamente al loro posto, precisando al contempo uno scarto, una variazione, una differenza, una non corrispondenza fra l’affermazione stessa e lo-stato-del-mondo.
4.Icone e negativi come dispositivo
Il legame profondo fra icona e negazione da una parte e affetti e passioni dall’altra è capillarmente coltivato ed amplificato dalle logiche emozionali del capitalismo. La negazione, in particolare, ha una funzione fondamentale rispetto agli stati affettivi ed esperienziali del soggetto: istituisce gli uni e gli altri come fatti semantici, emancipandoli dalla loro condizione originaria di contenuti segnalati («io ti odio») ed elevandoli al rango di contenuti rappresentati («io non ti odio»).
Un meccanismo che se fomentato, moltiplicato nei suoi effetti pragmatici, garantisce un risultato sorprendente: lo scollamento dell’identità da una realtà soggettiva necessaria (in quanto reale, unica) e il suo peregrinaggio nomade fra infinite possibilità. Ciò è garantito dalla natura stessa della negazione: nel momento stesso in cui agisce sui contenuti sussunti nella sua rete semiotica ne apre la struttura alla condizione delle infinite possibilità ontologiche («io non sono questo, o quello, ma potrei esserlo, questo, quello e quell’altro!»).