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Riempire gli spazi vuoti

Unione europea. Ci deve essere da qualche parte una riduzione del problema ad una soluzione non semplice che ancora non abbiamo pensato. [Pierluigi Fagan]

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6 Aprile 2018 - 10.04


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di Pierluigi Fagan

Come qualsiasi altra cosa che esiste, anche noi esseri umani siamo soggetti all’imperativo ontologico di adattarci al contesto, pena la fine dell’esistenza. Gli esseri umani hanno sviluppato uno specifico organo per intermediare l’adattamento: la mente. La nostra mente è molto complessa ma lo è meno della complessità naturale ovvero l’insieme di tutto ciò che è. La condizione della relazione tra la nostra mente e il mondo è dunque quella della riduzione, ridurre la complessità maggiore del mondo al livello della minore facoltà complessa della nostra mente. Questa vocazione alla riduzione è dunque per noi naturale ed obbligata e va intesa come un “there is no alternative”. Certo, evolvendo la nostra conoscenza in quantità e soprattutto qualità, si può a sua volta ridurre il rischio riduzione poiché se la riduzione è obbligata va anche detto che essa è sempre soggetta a rischio di perdere elementi essenziali per davvero catturare nella mente il mondo per come questo è e non per come questo ci piace pensare che sia onde infilarlo nello spazio limitato della nostra mente.

Data la premessa affrontiamo il tema: l’unione degli europei. Questo articolo ci dice che i tedeschi si stanno concretamente muovendo per pensare l’introduzione di una clausola di rescissione dal contratto dell’euro. Il Trattato di Maastricht, tra i suoi poco invidiabili primati, ha anche quello di essere l’unico contratto noto a non prevedere la sua rescissione, un moto d’ansia di assoluto nella cangiante relatività eraclitea del mondo. Ma se questi “finché morte non ci separi” sono psicologicamente comprensibili, sappiamo anche che valgono fino a che decidiamo che valgono e quindi sono sempre un ““finché ho voglia di credere “finché morte non ci separi””.

Qual è il punto? Il punto è che il tema di fondo “unione degli europei” è stato ridotto ad una questione economica e la questione economica ad una questione monetaria. La prima riduzione di complessità è figlia dei tempi moderni ovvero la convinzione che i fatti economici siano non solo quelli più importanti nelle moderne società ma la loro stessa essenza, la seconda ovvero ridurre la complessità economica al vincolo monetario è figlia dei tempi specifici dell’alternanza dei paradigmi a governo del pensiero economico.

Sta di fatto che ora ci si accorge che la seconda riduzione di complessità è indebita ma in realtà lo sbaglio di eccessiva riduzione è il primo. Il tema stesso “unione degli europei” andava inteso non come una prescrizione ma come una risultante dell’eccessivo frazionamento del sub-continente. A lungo, questa ricchezza di specie del sub-continente, la sua socio-diversità, è stata per taluni versi un fatto positivo ma con l’alto prezzo correlato del conflitto permanente. In particolare, nella prima metà del Novecento, si è verificato un collasso da convivenza in due puntate che ha prodotto una distruzione complessiva (umana e materiale) non di molto inferiore alla Peste Nera del ‘300. Erano secoli e secoli che ci si ammazzava gli uni con gli altri, per via delle diverse etnie, poi perché io credevo a dio in un modo e tu nell’altro, poi perché questo spazio è mio e non tuo, poi perché il popolo “x” voleva diventare l’aristocrazia continentale e sottomettere tutti gli altri, poi perché ognuno voleva liberare la sua volontà di potenza, poi perché … . Insomma la vestizione del conflitto è cambiata secondo le stagioni ma era la natura del conflitto sottostante derivata da troppi sistemi in uno spazio limitato, il vero motore.

La riduzione del problema dal titolo “troppi galli nel pollaio” al rimbalzante “allora facciamo dei tanti galli un solo gallo”, si è dimostrata una riduzione impossibile, l’applicazione della metafisica neo-platonica che prevede l’Uno ed i Molti come poli unici dello spazio delle possibilità, un riduzionismo troppo semplificato. Oggi e sempre più domani, al problema della eccessiva frammentazione delle nazioni-Stati che connota la realtà geo-storica europea, si somma il problema della convivenza planetaria, un problema che ancorpiù sconsiglia di presentarsi alla competizione per gli spazi nel pianeta finito, rimanendo piccoli, particolari e impotenti.

Lo spazio di coloro che a questo punto si mobilitano per riformare l’eurozona si va riempiendo. Lo spazio di coloro che si battono per eliminarla del tutto si sta ingrandendo. Lo spazio di coloro che hanno creduto di aver così trovato la soluzione al problema dell’unione degli europei si sta contraendo ma lo spazio di coloro che rimangono pervicacemente convinti che esista davvero una possibile prescrizione all’unione di così tante diversità rimane di una sua tenace consistenza mentre si va formando lo spazio dei convinti del “meglio soli che male accompagnati”.

Noi, per istinto naturale, ci dirigiamo sempre più convinti verso lo spazio vuoto, quello che assume come vero il problema di fondo ma false le soluzioni (federali, confederali, solo economiche o peggio monetarie, torniamo ad essere padroni a casa nostra) sin qui elaborate. Ci deve essere da qualche parte una riduzione del problema ad una soluzione non semplice che ancora non abbiamo pensato. Questo spazio vuoto va riempito, questo è il segreto di un adattamento riuscito. Non negare il problema, non negare il fallimento delle soluzioni pensate, non pensare che togliere di mezzo le soluzioni fallaci risolva il problema.

 

 

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