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UE: il grande rebus del 2019, tra Parlamento e Commissione

Portare nella futura Commissione una compagine agguerrita per nuove politiche economiche che abbandonino l'austerity germanocentrica? Ci sono molte incognite, e qualche chance

UE: il grande rebus del 2019, tra Parlamento e Commissione
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2 Gennaio 2019 - 19.55


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di Simone Santini.

Nell’area di governo si moltiplicano le voci che indicano le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo come uno spartiacque per il rilancio di una Nuova Europa, più democratica e meno lobbistica, più attenta ai bisogni dei popoli e meno alle regole tecnocratiche. Insomma, l’attuazione del sogno di poter cambiare l’Europa dall’interno.
Perché questo possa realizzarsi, si immagina che avverrà una scossa tellurica, che l’ondata “populista” travolga i vecchi raggruppamenti politici europei ed invada l’emiciclo di Bruxelles. 
Spesso però la percezione non tiene conto dei dati reali. Allo stato dei fatti, se è possibile che l’attuale maggioranza fondata sull’alleanza tra i blocchi storici dei Popolari europei (PPE) e dei Socialisti europei (PSE) più i liberal-democratici dell’ALDE possa naufragare, soprattutto per il tracollo preventivabile dei socialisti, ciò non significa che i cambiamenti possano andare nella direzione sopra auspicata.
Intanto il PPE appare piuttosto stabile nei sondaggi, anche perchè alcune forze cosiddette “populiste” o “sovraniste”, date in ascesa, in Europa fanno parte di quel gruppo. Secondo, la marea populista-sovranista non è poi così soverchiante, tale da ribaltare definitivamente gli equilibri. Terzo, anche se mancasse la maggioranza PPE-PSE-ALDE, essa potrebbe allargarsi a qualche area filo-europeista. Oppure potrebbe nascere un’inedita alleanza tra Popolari e partiti sovranisti del nord e centro-Europa, ovvero un’alleanza liberal-conservatrice, addirittura con venature reazionarie, che con ogni probabilità non vedrebbe di buon occhio le politiche anti-austerity auspicate dai paesi mediterranei, in primis l’Italia.
Perdete ogni speranza o voi che entrate, dunque?
Nemmeno questo è realisticamente pensabile. Il Parlamento che si andrà a comporre sarà, almeno all’inizio, molto frammentato e caotico, faticherà, come si diceva, a comporre una maggioranza solida, all’interno dei vari gruppi prevarranno ancor più che in passato i particolarismi e la composizione dei vari interessi sarà probabilmente caotica, frastagliata e mutevole. 
In tale contesto una rivoluzione è difficile che nasca dal Parlamento, ma l’esplosione delle contraddizioni e l’apertura di una nuova fase potrebbe avvenire non in quella sede (pur sempre secondaria nell’architettura istituzionale europea) ma in un altro centro nevralgico del potere, la Commissione.
Anche questa andrà a rinnovarsi conseguentemente alle elezioni europee, ma con regole molto diverse. Il nuovo presidente della Commissione ha indirettamente una investitura popolare, presentando ogni gruppo politico europeo un proprio candidato di bandiera, secondo una modalità non codificata che è propria del cosidetto neoparlamentarismo. Ha forti possibilità di essere il prossimo presidente della Commissione il tedesco Manfred Weber, attuale capogruppo del PPE, rappresentante della bavarese CSU e alleato di Angela Merkel. Attorno a lui potrebbero dunque costituirsi quelle due possibili maggioranze, a seconda dei numeri, PPE-PSE-ALDE e frattaglie euroentusiaste oppure PPE + Gruppi sovranisti a geometria variabile. Nel primo caso assisteremmo ad una continuità nelle politiche europee finora portate avanti, nel secondo caso ci potrebbe essere una svolta di tipo “trumpiano” ma in quanto tale non necessariamente favorevole ad un allentamento delle politiche di austerity, anzi.
Ma sia il presidente che la squadra dei commissari da lui composta dovrà superare il vaglio e l’approvazione del Parlamento, e qui sta, come nella migliore tradizione, l’inghippo. I commissari non sono infatti scelti dal presidente secondo preferenza e discrezionalità, ma sono indicati dagli Stati membri dell’Unione, ovvero dai rispettivi governi, un commissario per ogni Nazione. E qui le carte andrebbero a rimescolarsi ulteriormente, in un quadro che potrebbe essere già confuso di suo.
La partita si gioca qui. Ora esistono già in Europa paesi con una chiara vocazione anti-austerity: capofila l’Italia, ovviamente, ma al suo fianco potrebbero collocarsi la Spagna (se resisterà nel corso del 2019 il governo di minoranza fondato sull’alleanza tra socialisti e Podemos), il Portogallo, la Grecia.
Il fronte “sovranista” potrebbe spaccarsi perchè se da un lato vedremmo probabilmente, a titolo di esempio, Olanda, Danimarca, Svezia, Austria indicare commissari pro-austerity nei confronti dei mediterranei, al contempo non abbiamo sicurezza sull’atteggiamento di altri paesi come Lettonia, Polonia, Ungheria, Cechia, o altri, che possono avere motivi diversi di euroscetticismo. 
Sarà dunque necessario per il governo italiano intraprendere, fin da subito, una decisa offensiva diplomatica per portare dentro la futura Commissione una compagine agguerrita e possibilmente coesa, se non dal punto di vista ideologico, su alcuni temi chiave della politica europea, su tutti la necessità di approntare nuove politiche economiche che abbandonino l’austerity germanocentrica. 
L’Italia sarebbe favorita in questo confronto diplomatico perchè, per la natura stessa ambivalente del suo governo, ha porte aperte per parlare a spettro variabile sia alla sua “sinistra” (con i paesi mediterranei) che alla sua “destra” (con i paesi nord e centro-europei).
Se tale manovra riuscisse, ecco che dentro la Commissione potrebbe costituirsi un nucleo che, fin dalla composizione e approvazione parlamentare, farebbe esplodere mille contraddizioni e fibrillazioni di difficilissima composizione.
Da lì, tutto potrebbe diventare possibile. Anche che la Ue non possa reggere a tali sollecitazioni. Chissà se a quel punto, per il futuro dell’Italia e della Europa dei Popoli, potrà valere la massima: grande la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente.
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