di Roberto Siconolfi.
Il No Green Pass, che ha avuto la forza di tenere per circa due anni (comprese le proteste anti-lockdown) le piazze italiane contro uno dei provvedimenti più liberticidi e disumani della storia, è stato un movimento davvero innovativo per varie ragioni.
Un movimento di “cercatori di verità”, verità di ultima istanza sul potere politico.
Tutte le carte si sono scoperte, e i veri uomini (gruppi, famiglie, stirpi) che comandano il nostro mondo si sono “rivelati”, con tutti i loro progetti, senza più intermediari.
Il Movimento No Green Pass è stato una vera e propria diga, a presidio della giustizia, nei confronti delle psicopatie di una élite, quella occidentale, che disprezza il proprio popolo tanto da volerne fare volentieri a meno.
Poi vi è la componente ideologico-politica, il No Green Pass è stato il primo movimento italiano e occidentale di massa – se questo termine ha ancora una valenza –, a concretizzare quella che nel mondo delle idee è stata la battaglia per il superamento delle categorie di destra e sinistra, con tutte le varianti del caso.
Una bella “palestra” in difesa del diritto e dell’umano, all’alba del XXI secolo. Ma anche una grande occasione di confronto, relazione e per “fare comunità”, nell’epoca dell’individualismo, dei social network e del distanziamento sociale.
Senza il movimento No Green Pass, ad oggi, non sapremmo come sarebbe andata a finire, fin dove, come e quando i “nostri governanti” si sarebbero spinti.
Con il Movimento No Green Pass si hanno i primi embrioni di un popolo, che con tutte le difficoltà e le frammentazioni, si affaccia con consapevolezza nuova nell’Europa occidentale contemporanea.
Un risultato non da poco!
Fine Green Pass, oltre il Green Pass
Per certi versi era prevedibile la fine, il “riflusso”, di questo movimento e per un semplice fatto, che esso è appunto un movimento che si batte su un’istanza precisa, o meglio in opposizione a un provvedimento preciso.
Provvedimento che ha avuto un termine, perché sospeso e perché come si suppone sarà ripreso in futuro o trasformato in qualcos’altro.
Poi c’è la componente “postmoderna” che fornisce quel quid di fluidità in più, bypassando ogni forma di organizzazione strutturata, diversamente dal tempo “moderno” dei movimenti di massa e di piazza, strutturati o appoggiati da partiti e sindacati.
Da questo punto di vista il No Green Pass è a tutti gli effetti assimilabile ai Gilet Gialli francesi, movimento che nasce e “aggrega” intorno a specifiche istanze, per poi disciogliersi, rinascere e riaggregare su nuove.
Il movimento Gilet Gialli, una lotta di popolo contro le èlite, “populismo puro” a detta di Alain De Benoist.
Allo stesso modo, il No Green Pass non poteva, non può e non potrà diventare organizzazione strutturata: semplice!
Così come, sempre in quest’epoca, non reggono i partiti e nemmeno più di tanto i sindacati, forse portatori di qualche interesse in più.
Anzi, tutte queste istituzioni (partiti, sindacati, ecc.) calibrate sul modello otto-novecentesco, andrebbero rimodulate se non addirittura fatte da capo alla luce della fluidità postmoderna e di alcuni processi storico-sociali inarrestabili dell’Occidente contemporaneo.
Su tutti quello dell’individualizzazione e tribalizzazione della società, due lati di una stessa medaglia fatta di dissoluzione dei legami umani storici (famiglia, scuola, chiesa, partito, ecc.) in favore dell’individualismo.
E riaggregazione in contesti comunitari di stampo neo-tribale, secondo uno schema ben studiato dal sociologo Michel Maffesoli: comunità metropolitane e localistiche, gruppi e contesti legati allo stile culturale, musicale, artistico e sportivo (rave party e festival, eventi sportivi, ultras, punk, emo, metallari, rapper, centri sociali, gruppi politici radicali, ecc.).
A questo aggiungiamo le ultime novità, ovvero il distanziamento sociale e le community internettiane.
La questione ideologica
In questo humus, in questo quadro storico-sociale e politico, nasce il movimento No Green Pass, il movimento di contestazione al tempo del globalismo, del NWO, della “rete” e della contro-informazione, o forse meglio sarebbe dire della “informazione”.
Un tale movimento non poteva restare in piedi anche oltre il Green Pass, ma può sicuramente trasformarsi in altro “collegando i puntini”, quelli che da un lato consentono di vedere la trasformazione (transizione) storico-politica dei nostri tempi e dall’altro di porre in essere la possibilità alternativa.
E forse il primo sul quale far vertere una progettualità più complessiva è proprio la svolta biopolitica dei “poteri” che, sulla base di menzogne medico-scientifiche (la contagiosità dei non vaccinati su tutte) hanno messo le mani direttamente sul corpo dei cittadini (sudditi).
Ma i punti nodali di questa progettualità non cominciano oggi, e probabilmente nemmeno in un passato recente, ma in un passato recente possiamo trovare le prime battaglie in difesa della sovranità economica, contro l’espropriazione degli asset strategici dell’Italia, e in modo simile dell’intera Europa occidentale.
A cominciare dai servizi pubblici (scuole, trasporti, sanità, ecc.) che devono per forza di cose essere tali e di qualità, in quanto essenziali per la vita umana, oltre che comunitaria.
Proseguendo per le imprese nazionali, dalle grandi alle piccole, fiore all’occhiello della produttività e della genialità italiana e che sono state negli ultimi decenni terra di conquista del grande capitale oppure sacrificate sull’altare della tassazione, del lobbysmo padronale quanto sindacale, e della cosiddetta “distruzione creativa” in economia.
Poi la moneta, che sulla base di una storia oramai di dominio pubblico e che va dalla nascita della moneta a debito con la Banca d’Inghilterra (1694), passando per gli accordi di Bretton Woods (1944) e per la riforma della FED (1977), fino all’Euro (1999) è sempre meno nostra, sempre più nelle mani dell’usura.
Infine, la sovranità in ambito politico-internazionale, che ci condanna ad una subalternità senza precedenti agli USA e alle politiche “neocon”, un vero e proprio impazzimento lucido portatore di catastrofe per tutta la specie umana.
A questo va aggiunto il disvelamento dei 3 grandi inganni ideologici della nostra epoca.
Quello pseudo-umanitario e che spesso va a braccetto l’immigrazionismo.
Ovvero il pretesto della difesa degli ultimi e dei “migranti” al fine di politiche di vero e proprio business umanitario (vedere i casi Kaili, Panzeri, Soumahoro); depopolamento del cosiddetto “terzo mondo”; melting pot e omologazione allo stile di vita occidentale; xenofobia e guerra tra poveri nei quartieri (autoctoni vs. immigrati); schiavismo lavorativo e abbassamento del costo del lavoro grazie all’importazione di manodopera da paesi economicamente arretrati.
Poi l’inganno Gender, che con il pretesto degli innegabili diritti degli omosessuali porta avanti un’opera di ingegneria psico-ideologica, secondo la quale l’identità di genere è un autodeterminabile “costrutto socio-culturale” e non un’essenza permanente spirituale, oltre che biologica, raggiungibile invece con la maturazione della propria vita interiore.
Infine, l’inganno pseudo-ambientalista, che fraintende la saggezza ecologica in favore di un’ideologia a sfondo religioso che mitizza oltre modo la natura, conferendo a un gruppi di eletti e nuovi grandi capitalisti “green” il potere di parlare a suo nome e a discapito dell’umanità stessa.
Un inganno, quest’ultimo, che poi curiosamente tralascia, per interesse, le vere questioni (inquinamento, consumo ingiustificato delle materie prime, deturpazione del paesaggio, geoingengeria) e prevede dei modelli e degli investimenti che con l’ecologia hanno poco a che fare, come il cibo spazzatura, di bassa qualità, o a base di OGM e farina di insetti.
E quell’abuso di progresso tecnologico che, al netto delle utilità, impatta notevolmente sull’ambiente e sulle menti umane.
Riguardo quest’ultimo punto è bene soffermarsi su alcune delle tare culturali presenti nelle nostre fila.
Su tutte il disprezzo pregiudiziale nei confronti della tecnologia, magari abbinato a soluzioni di taglio bucolico, secondo le quali tornare a vivere in natura rappresenta la soluzione a tutti i mali.
E questo al netto dell’importanza del recupero di una dimensione ecologica e valida anche nella coltivazione di prodotti naturali – visti i tempi e viste le possibili carestie venture.
E poi quel cospirazionismo a buon mercato, riscontrabile molto in rete, produttore di fesserie logiche e dell’informazione, oltre che di una visione lugubre della realtà, secondo la quale i giochi sono sempre fatti, il gatekeeper è sempre dietro l’angolo e il nemico è invincibile.
Cospirazionismo abbinato molte volte a quello spiritualismo à la page, semplicistico, puristico, inconcludente, ipocrita, sempre pronto a giudicare l’Ego (altrui) e che sa più di ideologia e di rabbia che di un sano cammino di elevazione spirituale.
Tipi umani e correnti
Ma le idee corrono sulle gambe degli uomini, e dunque, fondamentale è fare anche un’analisi delle personalità, dei “tipi umani” che hanno composto e compongono il movimento No Green Pass e tutte le sue filiazioni e connessioni.
Diciamo che le tipologie sostanziali sono due, e con varie gradazioni si passa da una modalità all’altra.
Da un lato abbiamo un’ala che potremmo definire “estremista”, nel senso dell’atteggiamento, irascibile, irrequieta, irrazionale, sovente propugnatrice di soluzioni senza alcune forma di mediazione, in alcuni casi anche violente.
E ancora, affetta da un atteggiamento idealistico scollato dalla realtà, un purismo con poca astuzia, scarse capacità di immedesimarsi nel popolo e dunque anche di poterlo persuadere, e molte volte a braccetto con le teorie del complotto più esasperate.
Dall’altro un’ala moderata, tendente a risolvere tutto sempre e comunque nella maniera più legalitaria possibile.
Al contrario degli idealisti questi sono affetti dalla real politik, con una tendenza alla manipolazione per fini di potere, alla manovra del “dietro le quinte”.
E poi burocratismo, proceduralismo, democraticità di facciata.
Questi due tipi vanno risolti nella creazione di un nuovo uomo politico, un nuovo uomo politico che abbia il meglio di entrambe le tipologie.
Il nuovo uomo politico non deve riproporre gli schemi conosciuti seppur verniciati da idee “innovative”, popolari e sovraniste.
Deve perseguire virtù, verità e giustizia, e solo ed esclusivamente su questa base le idee e i programmi andranno a buon fine.
Il nuovo uomo politico è “puro come la colomba ma astuto come il serpente” (cit.); ha capacità di visione ma anche concretezza; sa governare il conflitto come la mediazione; agisce con forza ma senza “attaccamento”; è in pace nell’unione quanto nella divisione; non ha pregiudizio alcuno ma sa dire di no quando è il momento; sa prendere tempo ma anche decidere portando avanti la decisione, fino agli estremi se è il caso, sapendo tornare indietro se occorre; fa prevalere la logica nella teoria e nelle idee; sa dare il giusto peso al cuore senza scadere nel sentimentalismo; coltiva una mente lucida e scevra da “oscurazioni”; è umile e non megalomane.
Le possibilità politiche
Sulla base di questa analisi, più o meno risaputa, più o meno in elaborazione nel dibattito pubblico, è d’obbligo tracciare un percorso.
Il cosiddetto “che fare?”, le soluzioni e le pratiche da mettere in campo, per evitare la riproposizione dei soliti discorsi, in atmosfere sempre più sature di “consapevolezza” ma sempre più vuote di azione e dunque anche di risultati.
Sintetizzando le varie posizioni presenti all’interno del movimento, potremmo avere anche un quadro migliore delle vie da praticare per giungere a tali risultati.
La prima possibilità è forse quella più “pensata”, ma anche più scontata per certi versi: il ripristino della buona e vecchia liberal-democrazia, andata a farsi benedire in questi due anni e passa di “reset”.
Un ripristino della liberal-democrazia, magari con un maggiore grado di pluralismo mediatico-politico-culturale, migliorie economico-sociali e ritorni parziali o integrali di sovranità.
Una possibilità che però non ha entusiasmato più di tanto, visti i dati delle ultime politiche (astensionismo e partiti anti-sistema).
Infatti, quale sarebbe la concretizzazione di tutto ciò?
La saga dei partiti anti-sistema, che tra divisioni, personalismo e negligenza hanno fatto una pessima figura alle elezioni, e ancor più pessima dopo le elezioni, e agli occhi della loro stessa base?
O forse proprio il governo Meloni, che attua il più possibile delle politiche di conciliazione tra le esigenze del popolo italiano e il quadro fortemente limitante dei “poteri extra-nazionali” (UE e NATO in primis).
Il governo guidato dall’(ex)pasionaria patriota italiana Giorgia Meloni dimostra quello che accade quando si rimane nel perimetro di un determinato sistema.
E questo non perché ci siano venduti e “gatekeeper” a tirare le fila, cosa che può essere anche vera, ma semplicemente perché non si esce dal gioco dei neocon americani e della Matrix europea.
E se vuoi uscire “non governi”, con tutti i mezzi possibili (vedere la fine del governo giallo-verde e degli stessi Trump e Bolsonaro)!
Poi c’è la via della “società parallela”, con modelli comunitari organizzati per territori e aree tematiche, in relazione tra loro e autonomi dalle istituzioni centrali, oramai completamente invase dalle mafie massonico-finanziarie di marca globalista.
Alla base una rinascita spirituale e antropologica, a partire dunque dall’uomo e per una “evoluzione di civiltà”.
Una via questa più enigmatica, ma forse maggiormente in linea con certe dinamiche storiche, su tutte il passaggio al mondo postmoderno da quello moderno, il padre della concezione statale e istituzionale che noi conosciamo (comprese ideologie, partiti e movimenti di massa).
Se la nostra epoca si è caratterizzata per un forte attacco all’uomo, se le istituzioni oramai sono svuotate di ogni potere a vantaggio di lobby di ogni sorta, allora è proprio dall’uomo che bisogna ripartire, dalla sua difesa ma anche dalla sua rinascita, per tirarlo via dall’abbrutimento disumano, subumano e transumano al quale è stato ridotto.
E sulla base di un nuovo uomo, virtuoso come si diceva prima, costruirne nuove di istituzioni, di tipo comunitario, come in via molto sperimentale sta già avvenendo (scuole alternative, gruppi di medici e di legali, esperimenti sulla moneta alternativa, comunità agricole, gruppi culturali, ecc.).
Tra le due “vie”, alcuni abbozzano anche alla possibilità di forme maggiormente compiute di democrazia, con un associazionismo popolare radicato e partecipato alla base, e con delle istituzioni che rispondano a tale base, o che ne siano l’emanazione diretta.
Oppure la variante più o meno “identitaria”, che compensi la partecipazione popolare con un vertice di élite “sagge”, in una concezione “organica” dello Stato volto a principi spirituali e magari aperto ad Est (vedi eurasiatismo)
Tre modelli anche integrabili tra loro, almeno in via parziale o con fasi di passaggio verso una sempre più compiuta evoluzione
A noi la scelta, la volontà e l’azione!
Di Roberto Siconolfi per ComeDonChisciotte.org
Roberto Siconolfi. Sociologo; collabora con diversi giornali, riviste, centri di ricerca, blog, canali on line e cartacei. Autore del saggio “Il Nuovo Totalitarismo e la Rivoluzione della Coscienza” (Milano, AGA Editrice, 2019). Lavora presso Adv Media Lab, dove con articoli e webinar si occupa del funzionamento dei media e dei fenomeni ad ampio raggio della postmodernità.
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Tratto da: https://comedonchisciotte.org/alla-fine-del-no-green-pass-oltre-il-no-green-pass/.
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